» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
Immigrati: accogliere e farsi accogliere
Grandezza dei piccoli gesti

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/02


IMMIGRATI: ACCOGLIERE E FARSI ACCOGLIEREGRANDEZZA DEI PICCOLI GESTI
di Bruno Mioli
Accoglienza è parola che evoca sentimenti profondi e motivazioni altrettanto profonde, in modo tutto particolare per il cristiano. Perché accogliere? “Perché Cristo ha accolto voi”, formula del tutto corrispondente a quella paolina che detta il tema di questa giornata delle migrazioni. Sentimenti e motivazioni che nella misura in cui sono autentici e profondi si traducono in gesti concreti, in testimonianze eloquenti di accoglienza.
Grandi centri di prima e seconda accoglienzaParlando di accoglienza balzano in primo piano quelle opere grandi che fanno necessariamente notizia, e sono una teoria interminabile anche nel nostro mondo ecclesiale quelle case o centri di accoglienza che ospitano per un tempo più o meno prolungato immigrati e profughi appena approdati sulle coste italiane o appena pervenuti in qualche complesso urbano dove un qualche lavoro per campare lo si trova, ma la casa proprio no. Questi grandi complessi, dove ogni anno trovano accoglienza decine di migliaia di senza tetto, fanno opera squisitamente evangelica, che è conosciuta ed apprezzata anche da chi vive ai margini della Chiesa. Ci sono tuttavia tante, tantissime altre iniziative di accoglienza che non fanno altrettanto notizia, perché hanno dimensioni modeste, sono a misura di piccole comunità, di singoli cristiani o singole famiglie. Proprio di queste intendiamo dire qualche parola, spigolando di qua e di là in quell’immenso campo della fantasia creatrice tipica della carità cristiana, che produce a gettito continuo cose belle, cose nuove nella semplicità di chi non cerca di essere reclamizzato, con attenzione che “non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua mano destra”.
Piccoli gesti di accoglienzaE appunto su queste cose piccole che vogliamo fissare l’attenzione, infatti proprio perché piccole sono alla portata di tutti, hanno un loro fascino e sono stimolanti. Talora solo in apparenza sono piccole: sparse qua e là costituiscono o possono costituire una fitta rete. Così ad esempio quella fitta rete di famiglie (ogni anno sono sulle cinquanta mila) che nei mesi estivi accolgono in casa, secondo i programmi del Comitato per i minori presso la Presidenza del Consiglio, bambini stranieri particolarmente cagionevoli di salute o comunque bisognosi di cambiare aria, particolarmente quelli che provengono dall’area di Cernobyl in Bielorussia.Accogliere bambini è sempre impegno e sacrificio, ma dopotutto piacevole e quasi spontaneo. Per gli adulti è un po’ diverso, ma anche qui i casi si moltiplicano: un padre gesuita chiede ai suoi superiori di poter riservare la sua pensione per l’affitto di un appartamento a Vicenza, dove anche agli immigrati è facile trovare lavoro se si di-spone di un alloggio: l’anziano gesuita vi ospita quattro rifugiati politici, al massimo per 9 mesi, quel tanto che consente loro di guardarsi attorno per trovare qualche buona opportunità e, mettendo da parte il risparmio dei nove mesi, poter provvedere dignitosamente al caso loro. L’esperimento sta funzionando bene, anche perché ha acceso la fantasia di altri gruppi di solidarietà ed è diventato contagioso anche in altre città.Non vengono accantonati certi casi scabrosi, ad esempio in favore di straniere sottratte alla tratta della prostituzione. Ci sono famiglie che se le portano in casa per un periodo di rifugio sicuro e di ricupero ed anche perché facciano pratica di quei lavori domestici che consentirà di trovarsi un lavoro ed avviare una vita nella normalità. è di questi ultimi mesi la notizia che nel settore ovest di Roma un gruppo di comunità religiose si è accordato per mettere a disposizione parte delle loro case, ormai eccessivamente ampie per le loro ridotte attività, a beneficio di questa categoria di straniere o per mamme con bambino. Altre case vengono aperte o ristrutturate per l’accoglienza dei minori non accompagnati, dei richiedenti asilo o degli studenti universitari. A costoro non si dà solo un tetto e un posto a tavola: si dà il calore di una vita di famiglia e la fiducia di un futuro meno incerto. E tanto si riceve: piace sentire da certi genitori che nei loro figli, da questo a tu per tu con coetanei stranieri, qualcosa è cambiato; e piace sentire da famiglie religiose che proprio in questa apertura anche logistica allo straniero hanno riscoperto la bellezza e attualità del loro carisma.
Accogliere non è solo dare alloggioEsempi da ammirare anche quando non si ha la concreta possibilità di sperimentarli in casa propria. Comunque hanno la bellezza e il valore dell’ospitalità anche casi più semplici e meno impegnativi, che sono alla portata di tutti. Che dire, ad esempio, dell’invito a tavola ad un immigrato che vive in solitudine o ad un piccolo nucleo familiare, magari in occasione del Natale o della Giornata Nazionale delle Migrazioni? Della generosità di una mamma italiana, che disponendo di una baby sitter per la cura del suo bambino, si prende in casa anche il piccolo della colf straniera durante le sue ore di lavoro? E dell’alunno di quinta elementare che è incoraggiato dai suoi genitori a tirarsi in casa l’amichetto di classe, per fare i compiti assieme in una specie di doposcuola familiare? In questo stile qualsiasi incontro anche occasionale, qualsiasi servizio prestato può trasformarsi in gesto di accoglienza se, al di là delle cose che si dicono o dei servizi che si prestano, si fa attenzione alla persona dello straniero, ci si rapporta con lui manifestando simpatia, partecipazione ai suoi problemi, gusto del rapporto personale. Ed è cosa elegante se, anche per evitare ogni atteggiamento di superiorità e di protagonismo nei confronti dello straniero, si colgono le buone occasioni per farsi accogliere: non è lui che viene da me, sono io che vado da lui, approfittando di ogni buon motivo o pretesto; il mio gesto rafforzerà in lui una positiva immagine di sé, sarà per lui una prova molto persuasiva che è oggetto di apprezzamento e di rispetto. Ognuno può rendersi conto che non si tratta di cose difficili o troppo impegnative: basta alzare la cornetta del telefono per chiedere un’informazione, bussare alla porta della vicina di casa per un saluto, ricordare con un piccolo regalo il compleanno del bambino, invitare all’incontro serale in parrocchia, fare assieme quattro passi fuori casa o una visita in ospedale.
L’accoglienza liturgicaE infine non si dimentichi l’importanza forse decisiva dell’accoglienza liturgica: qualche segno, da parte dell’assemblea e dei singoli partecipanti (ha la sua forza anche una calorosa stretta di mano) che veramente si fa parte dell’unica Chiesa, dove le diversità non impediscono di sentirsi tutti uguali e tutti fratelli. Questa vicinanza e partecipazione viva all’azione liturgica non mancherà di avere la sua spontanea ripercussione anche fuori della Chiesa e in questo caso non si è selettivi verso quelli della nostra stessa fede, si è aperti con tutti: una testimonianza di vivere civile, di vicinanza solidale e di cordialità fraterna che, come ben sappiamo, ha già in se stessa una forte carica evangelizzatrice. Non è ingenuo attendersi che gli immigrati siano occasione di una nuova primavera, non solo per loro e le rispettive famiglie, ma per le nostre stesse parrocchie. Ma c’è anche chi teme una brutta stagione burrascosa dall’arrivo di tanti stranieri, per di più non cristiani e si predispone ad affrontarla da una trincea di autodifesa piuttosto aggressiva. Accoglienza? Per costoro è parola enfatica e irrealistica, carica di pretese e di ingenuità. Ma non c’è da disarmare neppure di fronte a queste resistenze. La Giornata Nazionale delle Migrazioni ci spinge, con gesti semplici ma eloquenti, con parole calme e persuasive, a far breccia anche in questo groviglio di umori e pregiudizi, facili anche a tradursi in innominabili comportamenti. In agosto nella parrocchia di Poggio Imperiale, da 10 anni accogliente verso gli albanesi, 14 di loro hanno ricevuto il Battesimo: l’esempio incoraggia e fa intravedere per le nostre parrocchie, forse anche per le nostre famiglie, una nuova primavera.