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Quale futuro per l'Argentina? Intervista a mons. G. Garlatti, vescovo di San. Rafael


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/02


Guillermo Garlatti è nato nel 1940 a Forgaria del Friuli (UD). A nove anni emigra in Argentina con i genitori. A La Plata compie i suoi studi e la formazione sacerdotale. Ordinato sacerdote nel Ž64, ha svolto il suo ministero a La Plata, impegnato soprattutto nel seminario diocesano nella formazione dei sacerdoti. Nel 1994 è eletto Vescovo Ausiliare della Plata, nel Ž97 viene nominato vescovo della diocesi di San Rafael, una diocesi arrampicata sulle Ande.Si parla molto in Italia del momento difficile che sta vivendo lŽArgentina. A suo giudizio, quali sono le maggiori cause di questa "tragedia"?Due cause convergono a creare lŽattuale difficile situazione e ambedue sono state denunciate dai Vescovi in molte occasioni. Innanzitutto cŽè una grande crisi culturale interna dellŽArgentina. Si tratta di una corruzione che ha toccato profondamente tutte le strutture politiche ed ha portato una degradazione molto forte in tutto il sistema sociale, culturale, economico e politico. In fondo si tratta di una crisi profondamente morale.CŽè poi unŽaltra situazione che credo non dipenda da noi. Mentre per quanto finora detto, noi argentini abbiamo una grande responsabilità. Questa seconda causa si inserisce in una situazione globale che impedisce ai nostri paesi di avere opportunità concorrenziali eque per fare del commercio, per immettere i nostri prodotti sui mercati internazionali. Penso sia una iniquità grande per esempio il non poter esportare prodotti agricoli o la carne a causa di impedimenti dovuti a tasse molto alte. Si tratta di protezionismi imposti dai grandi paesi e particolarmente dallŽUnione Europea e dallŽAmerica, insomma dai paesi sviluppati che impediscono di fare un commercio equo. Questo rende molto difficile lo sviluppo del paese.è possibile uscire da questa crisi e quali sarebbero le misure da prendere?Abbiamo sempre una speranza: pensiamo sia possibile superare questa crisi. In primo luogo è necessario un rinnovamento grande di mentalità. Come cristiani affermiamo che deve realizzarsi una conversione molto forte in tutti gli ambiti della società, nelle strutture politiche, economiche, culturali, ecc. Questo passo è assolutamente necessario. è molto importante in questo momento la formazione dei dirigenti politici. Al riguardo è urgente far conoscere e stimare la dottrina sociale della Chiesa. In questo settore dobbiamo lavorare in profondità. Ritengo poi che particolarmente nei paesi sviluppati si debba creare una coscienza nuova verso i paesi meno sviluppati ed indebitati. Per questo motivo la nostra Conferenza Episcopale si è messa in contatto con la Santa Sede, con la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ed anche con la Conferenza Episcopale Spagnola. In questi giorni il Presidente della nostra Conferenza avrà contatti con il Cardinale Ruini. Penso che le Chiese dei diversi paesi possano avere un peso molto forte per spingere a questa mentalità solidaristica che porti ad un cambiamento delle regole attuali che danneggiano i paesi deboli.Le Chiese in Argentina come si sono mosse per aiutare la nazione e specialmente chi più soffre?La Chiesa in Argentina è molto impegnata in questo momento. Essa svolge un ruolo molto importante nel tavolo del dialogo tra il governo, i partiti politici e le diverse istituzioni di tutto il paese per arrivare ad un consenso su un piano concreto di ricostruzione nazionale. In questo momento la Chiesa in Argentina è lŽistituzione più credibile. Ciò può costituire un rischio per lei stessa. Tuttavia non si poteva fare un passo indietro perché era in gioco il bene comune. Per i più poveri, per esempio, la Caritas dellŽArgentina si è molto esposta e fa quasi lŽimpossibile a tutti i livelli: creando posti di ristoro, di distribuzione di vestiti, di assistenza sia a livello diocesano che nazionale. Di grande aiuto ci è stata la Caritas della Spagna che il 24 febbraio ha fatto una colletta per la Caritas dellŽArgentina raccogliendo più di 5 milioni di dollari. In questi giorni ci sono stati contatti con la Caritas Italiana per vedere quale sia il modo migliore per concretizzare una solidarietà cristiana tra di noi.Si parla molto di italo-argentini che chiedono di rientrare in Italia. Cosa pensa di questo movimento di ritorno?Credo che voi siate in grado di conoscere molto bene questo fenomeno. In Argentina la popolazione è più del 40% di origine italiana. Il nostro paese ha ricevuto moltissimi italiani quando lŽItalia si trovava in difficoltà economiche e sociali molto gravi, e questi hanno potuto ricostruirsi una vita. LŽattuale situazione critica in Argentina invoglia molti italo-argentini a ritornare in Italia in cerca di lavoro e di una vita dignitosa. Ne ho incontrati molti anche a Roma. Noi cerchiamo il più possibile di trattenere in patria soprattutto le forze giovani. DŽaltronde siamo anche consapevoli della situazione molto difficile che vivono, particolarmente coloro che hanno figli. Non è facile trovare un lavoro, quindi è logico che si tenti di ritornare in Italia. Con le autorità italiane in Argentina da molti anni insistiamo per far loro capire, senza che si adotti alcuna discriminazione verso altre nazionalità, che lŽingresso dei discendenti italiani - avendo essi più affetto e amore per lŽItalia - è una via che porta più facilmente allŽintegrazione nelle varie regioni italiane. Questi italo-argentini hanno la stessa cultura, le stesse tradizioni e per queste ragioni credo che lŽItalia in questo momento (e la stessa Chiesa) dovrebbe sostenere tale "immigrazione".Quale contributo hanno dato gli italiani allo sviluppo dellŽArgentina?Come dicevo precedentemente, circa il 40% della popolazione argentina è di origine italiana. Quale contributo hanno dato? Anzitutto il lavoro, il senso della famiglia, la responsabilità; i genitori hanno sempre dato ai loro figli una buona educazione. Ora i figli sono diventati anche degli ottimi professionisti: molti sono dirigenti nei vari campi della scienza, della tecnica e anche della politica e hanno in modo determinante contribuito allo sviluppo di molte regioni dellŽArgentina e non solo a Buenos Aires. Io vivo adesso non lontano da Mendoza, dove si coltiva maggiormente la vite e la frutta e sono moltissimi gli italiani che hanno aiutato enormemente a migliorare lŽagricoltura. Ma anche a Cordoba, nel Chaco, a Santa Fè il loro impegno è stato di grande aiuto per lŽeconomia in generale.Sono inseriti e attivi anche nelle Chiese locali?Si può dire che lŽemigrazione italiana è stata una forte iniezione di fede per lŽArgentina. Da noi moltissime comunità cristiane sono nate dallŽispirazione e dal trasferimento di devozioni "trasportate" dallŽItalia. Quando ero a La Plata tutti gli anni incontravo le diverse comunità italiane emigrate del nord Italia (Veneto, Friuli), dal centro e dal sud dellŽItalia per celebrare le feste religiose secondo la loro tradizione. Questo ha fatto sì che le comunità si inserissero nelle parrocchie. Voi sapete molto bene che sono moltissimi i sacerdoti argentini che provengono da famiglie di origine italiana. Ricordo che in Argentina solamente noi vescovi di origine friulana eravamo qualche tempo fa 8/9. Di origine italiana evidentemente sono molti di più e questo fa capire come i cristiani italiani si siano bene inseriti nella Chiesa argentina. Forse anche per questo motivo la Chiesa argentina ha avuto sempre una grande apertura verso tutti gli immigrati.Nella sua diocesi qual è la situazione degli italo-argentini? La situazione è un poŽ comune in tutto il paese. Esiste una crisi economica molto profonda. Ora sono rimasti pochi vecchi immigrati, però sia i figli che i nipoti mantengono sempre vivo e molto forte lŽamore per lŽItalia. I sacerdoti vengono chiamati sempre per le feste, per visitare i centri. Abbiamo parecchi centri italiani anche nella mia diocesi di San Rafael e facciamo tutto il possibile per mantenere alta la fede e la speranza dei nostri "connazionali". Una diocesi povera, quella di San Rafael, ma che accoglie immigrati anche di altre zone, per esempio quelli del Cile. Essendo terra di confine abbiamo anche gruppi cospicui di boliviani impegnati nellŽedilizia e nelle aziende agricole.CŽè un progetto con il quale la sua diocesi intende riavvicinare e rianimare la "nostra gente" per una più intensa collaborazione ecclesiale?Sì, nella nostra diocesi, io ci sono da appena cinque anni, ho potuto constatare che lŽattenzione verso gli immigranti viene dalla fine del secolo XIX quando le prime immigrazioni si sono colà insediate. Sono venuti gruppi di italiani, gruppi di francesi e spagnoli. La prima parrocchia per esempio a San Rafael, nata in quei tempi, era di origine italiana. Era la parrocchia di SantŽAmbrogio costruita e formata dagli italiani in modo che la Chiesa fosse sempre preoccupata ed accogliente verso gli immigrati. Abbiamo anche un sacerdote di Parma che assiste i gruppi di immigrati, ed in modo particolare gli italiani o comunque i discendenti di italiani, da ormai 30 anni. è Padre Franco Reverberi, il quale coordina un poŽ tutte le iniziative riguardanti gli immigrati. Ma ci sono anche altri sacerdoti nelle cui parrocchie operano i rappresentanti di altre nazioni cercando di coordinare anche le loro devozioni.Come possono oggi lŽItalia e la Chiesa in Italia aiutare la sua nazione e le vostre Chiese locali?A mio avviso è molto importante lŽinfluenza costante delle Conferenze Episcopali nazionali per migliorare le relazioni dei paesi ricchi con quelli del terzo mondo. Questo è fondamentale, perché nonostante gli aiuti materiali che riceviamo, la situazione non cambia. Ripeto: è necessario cambiare le condizioni socio-economiche e politiche nelle relazioni tra i paesi. Ritengo che le Chiese dŽEuropa possano aiutare moltissimo sotto questo punto di vista, ma anche a livello di dirigenti politici, economici. A trasformare la nostra società potrebbe contribuire, molto più che altri aiuti, anche un ringiovanimento delle nostre strutture politiche, economiche e culturali.Ciò che accomuna le Chiese nella solidarietà e la comunione tra esse è la carità, che è il segno più grande del messaggio evangelico. Sarebbe bello che dirigenti di paesi industrializzati potessero avere degli interscambi dal punto di vista professionale, con corsi appropriati, con quelli per esempio argentini, per creare una sorta di classe dirigente. Qui in Italia come in altri paesi dŽEuropa avete una generazione di dirigenti ben formati, ben preparati. Questi potrebbero darci un contributo decisivo vista la simpatia molto grande per lŽArgentina. Perché gli argentini hanno un amore molto forte, molto grande per lŽItalia e non soltanto adesso, in questo momento di crisi, ma da sempre. Per questo io mi appello sempre alle autorità diplomatiche italiane: "Dovete pensare più a questa formazione e promozione culturale e professionale che ad altri aiuti". In fondo questo è il modo migliore per mantenere viva la cultura, la tradizione, i grandi valori umani e cristiani dellŽItalia nel mondo.