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Alla scuola di colui che è totalmente diverso da ciò che umanamente siamo


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/02


di Paola Francesca di Gesù
Le piccole sorelle di Gesù sono una comunità internazionale di 65 nazionalità, presenti in molti paesi del mondo, con una speciale consacrazione per il mondo dellŽIslam. Costituiscono piccole fraternità che assumono lo stile di vita delle persone fra le quali si trovano. LŽesperienza che presentiamo è esemplificativa di tante altre situazioni e di tanti altri vissuti.Quando nel 1977 partii per la prima volta per la Siria sapevo ben poco di cosa avrei scoperto, trovato in una società ben diversa da ciò che io conoscevo fino ad allora. Oggi, rileggendo la quotidianità vissuta in questi anni, con i suoi momenti di entusiasmo o di monotonia, mi rendo conto che la parola "diversità" è diventata per me sinonimo di ricchezza, di quello scambio reciproco di ciò che è lŽaltro e di ciò che io sono. Sono profondamente convinta che è nella misura in cui abbiamo avuto lŽoccasione di incontrare concretamente lŽaltro nella sua diversità che tanti pregiudizi e tante paure svaniscono per far spazio alla fiducia reciproca, alla stima, allŽamicizia.Il primo impatto con la Chiesa locale mi fece sentire improvvisamente in un giardino con tanti bellissimi fiori dai colori e profumi diversi: la ricchezza dei riti orientali con le loro connotazioni proprie, ortodossi e cattolici, mi ha fatto forse un poŽ girare la testa allŽinizio! Queste liturgie che hanno le loro radici nelle prime comuntà cristiane di Gerusalemme e Antiochia, così dense di spiritualità, così piene di simboli, che ci fanno entrare in ritmi diversi, a poco a poco sono diventati per me una sorgente che mi disseta sul mio cammino verso Dio.LŽamicizia con i vicini, con i giovani si concretizzava anche nel lasciarmi trasformare dal loro modo di pregare, di vivere la quaresima e le altre grandi feste liturgiche. Attraverso loro e con loro ho imparato anche ad entrare in relazione con chi ha una fede diversa dalla mia, scoprendo giorno per giorno il mondo musulmano in cui la chiesa locale si trova immersa per essere testimone di Cristo. Attraverso le mille occasioni della vita quotidiana (prendere lŽautobus, fare delle spese, lavorare...) ho imparato ad avvicinarmi e lasciarmi avvicinare, a lasciar cadere le mie paure, le mie false sicurezze, i preconcetti e le false conoscenze per ascoltare chi è diverso a me perché mi possa far conoscere il tesoro che lo abita.Ad Aleppo ho lavorato in un istituto per persone anziane e per bambini e giovani profondamente handicappati. I residenti, il personale e i volontari erano tutti musulmani, tranne tre o quattro persone che come me avevano fatto la scelta di testimoniare la propria fede cristiana mettendosi al servizio dei più emarginati. Con i compagni di lavoro cŽera molto rispetto della nostra diversità, ma tra noi regnava anche una grande sintonia nel testimoniare insieme, al di là della diversità delle nostre religioni, il valore della vita, il valore profondo di ogni persona anche se sfigurata fisicamente e psichicamente dalla malattia. I degenti erano spesso persone rifiutate dalla propria famiglia, persone cui la società non lascia che un minimo spazio; spesso la loro capacità di creare una relazione passava solo attraverso lo sguardo, a volte nemmeno questa espressione era possibile. E pertanto siamo stati davvero tanto amici! Ogni volto, ogni nome, resta impresso in me: mi hanno dato tanto e mi hanno permesso di donare a mia volta.ŽAdla era una donna anziana allettata, di poche parole, ma sempre sorridente anche quando gli ultimi mesi della sua vita il suo corpo era coperto di piaghe. Ogni giorno con Hana, una ragazza ventenne, vivevamo momenti intensi occupandoci di lei, medicandola, cambiandole la biancheria, ecc. poi a poco a poco ŽAdla cessò di lottare e il momento del Grande Incontro si avvicinò. Un giorno, prima di lasciare il lavoro, andando a salutarla come ogni giorno, mi resi conto che probabilmente non avrebbe atteso il nostro ritorno lŽindomani. Andai da Hana e lŽincoraggiai a prendere un momento per leggere il Corano vicino ad ŽAdla per sostenerla in questŽultima tappa. La mattina dopo, quando arrivai, ŽAdla era già nella stanza mortuaria, ma con Hana siamo andate a darle lŽultimo addio insieme.Momento di silenzio forte e denso, non esito a chiamarlo di amore e di amicizia, amicizia tra noi tre, amicizia con Dio: cristiana e musulmana ci sentivamo nella sua Presenza. Poi Hana mi espresse il suo desiderio di cantare certi passi del Corano, così come si usa fare, ma...aveva paura di disturbarmi. Che delicatezza! La incoraggia e la sua voce fresca che cantava la clemenza e la misericordia di Dio risuona ancora oggi nel mio cuore. Credo che il vero rispetto sia esprimere ciò che siamo, i nostri credo, le nostre abitudini lasciando allŽaltro la libertà di fare altrettanto, di essere se stesso. Per vivere questo però è necessario conoscersi, accettare lŽalterità, lasciando cadere i pregiudizi che tanto spesso ci abitano, le etichette preconfezionate da cui spesso siamo bombardate senza nemmeno rendercene conto.Spesso ciò che non conosco suscita paure, fantasmi e non è facile prendermi distanza per accettare di lasciarmi provocare da chi non conosco ancora. I primo passi nellŽamicizia con Hana erano incerti, timidi, lŽavrei facilmente etichettata come fanatica e fondamentalista per il suo modo di vestire, comportarsi, parlare e probabilmente anche lei avrebbe potuto definirmi così. Oggi ci arricchiamo a vicenda, coscienti di ciò che ci avvicina e di ciò che ci separa.LŽaltro, Colui che è totalmente diverso da ciò che umanamente sono, mi invita a mettermi alla sua scuola: farmi prossimo e/o lasciare che chi mi è accanto lo possa diventare per me. Allora lŽalterità per cui siamo creati diventerà sorgente di vita, di fratellanza, di speranza.