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Italiani a Casablanca ieri ed oggi
Intervista al missionario d'emigrazione don Cipriano Ferrario

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/02


Il 28 novembre 2001 nella festa di Cristo Re, titolare della chiesa alla Missione italiana di Casablanca, don Elia Ferro, direttore Migrantes, ha reso visita a don Cipriano Ferrario e alla comunità italiana della città e dintorni per incoraggiare un lavoro pastorale iniziato da tempo e ripreso ultimamente dal sacerdote comasco. "Simili visite fanno sentire più vicini alla Migrantes e alla Chiesa italiana!": affermava don Cipriano. LŽoccasione ha offerto la possibilità di celebrare con il Nunzio Apostolico S.E. Mons. De Luca la festa della comunità, di rendersi conto rapidamente della situazione della diaspora italiana e cattolica in Marocco, di prendere contatto con le autorità religiose e civili del posto, di ripartire con ammirazione e riconoscenza per quanti lavorano in situazione di minoranza e di povertà di mezzi pastorali e civili. E dallŽemigrazione italiana nel Maghreb si possono trarre numerosi spunti per ragionare sui tanti modi e sulle varie conseguenze della costruzione di unŽItalia multietnica: proprio partendo dai paesi del nord Africa dove hanno convissuto colonialismo e autoctoni, francesi, italiani, spagnoli... Nel 1911 lŽaggressione italiana alla Libia rese particolarmente difficile ai connazionali emigrati nel Maghreb, particolarmente in Tunisia, rimanere in quel paese: i più agiati dovettero affrontare la rivalità coloniale dei francesi che occupavano il paese; i più disagiati, che occuparono la Medina accanto ai tunisini, cominciarono ad essere visti come colonizzatori dai vicini di casa, come i "cugini francesi". Fu allora che la convivenza cominciò a diventare difficile. Ci furono incidenti e dimostrazioni anche violente per le vie di Tunisi, e molti furono gli italiani che dovettero andarsene e che si spostarono nel Marocco. I primi italiani emigrati facevano i muratori: furono proprio loro a costruire la città marocchina di Casablanca. Tutto quello che i marocchini non sapevano fare e che i francesi non volevano fare, lo fecero gli italiani. Gran parte degli emigrati provenivano dalla Sicilia e cercavano lŽeldorado nel Maghreb: proprio come attualmente moltissimi nordafricani sperano di trovare in Italia. Gli italiani a Casablanca oggi sono meno di tremila, contro i 30 mila del tempo passato. Casablanca non è che un esempio tra i tanti dellŽaltra Italia, poco conosciuta dai più ma che ha costruito nelle città e nel deserto aziende agricole, ospedali, scuole, strade... La presenza pastorale italiana è di lunga data, anche se ora ridotta al lumicino.Don Cipriano tu vivi da poco più di un anno in Marocco a Casablanca. Forse è ancora troppo poco il tempo per avere una visione precisa degli italiani che vi abitano. Che puoi dirci?Alcuni aspetti saltano subito allŽocchio come la grandezza della città che, dicono, conta otto milioni di abitanti. Guardate Milano e moltiplicate per il dovuto lŽampiezza, le industrie, il traffico, lŽinquinamento, i rumori, le disfunzioni e avrete come risultato Casablanca. In una metropoli così gigantesca i mille e cinquecento italiani che qui vivono, diventano veramente insignificanti. Eppure mi sembra molto importante guardare a questa minoranza per cercare di capirla e di comprenderne le scelte, indovinando la fatica, i successi e anche i fallimenti. Parlaci della tua missione e della sua storia, della vecchia emigrazione arrivata in Marocco prima della seconda guerra mondiale.Vivo nel complesso della chiesa italiana al numero 44 del Boulevard Abdelmoumen (una grande arteria che immette al centro città e che ha tre corsie per ogni senso di marcia). Qui sorge il complesso della chiesa italiana: è un seminterrato che comprende un salone-teatro con a fianco dei locali un tempo usati come scuola materna; al piano rialzato vi è la chiesa dedicata a "Cristo Re" con lŽappartamento delle suore e quello del cappellano: al primo piano lŽospizio per anziani. Tutto il complesso è di proprietà del Consolato Italiano. LŽospizio è fatto funzionare dal Consolato tramite il CO.AS.IT (Comitato Assistenza Italiani), la chiesa invece è affidata alla diocesi di Rabat. La combinazione strana è subito spiegata: il complesso italiano di Cristo Re è sorto agli inizi degli anni Ž50 per volontà degli stessi italiani coordinati e stimolati dai frati francescani di Bologna che qui operavano. Al momento dellŽindipendenza del Marocco dalla Francia (1956) non conoscendo bene lŽevoluzione degli orientamenti del Governo marocchino nei confronti delle proprietà straniere e ancor più cristiane e per meglio garantirsi contro eventuali espropri, tutto è stato intestato al Consolato e allo Stato Italiano. Qui vivo dal settembre 2000, in un ambiente che alle sue origini era circondato da palmeti e che oggi è immerso tra palazzi, condomini e rumore.LŽorigine degli emigrati più anziani?Nella Casa di Riposo del complesso attualmente ci sono dodici pensionati, dieci italiani, una francese e una spagnola. LŽetà dei nostri ospiti varia dai 65 ai 95 anni. Naturalmente questi anziani sono una fonte inesauribile di notizie. A Casablanca gli italiani che hanno più di sessantŽanni sono nati quasi tutti in emigrazione. La maggior parte di essi non in Marocco ma in Tunisia. Però i loro padri o, addirittura, i loro nonni provenivano dalla Sicilia. Se si chiede loro di che nazionalità sono, essi rispondono che sono innanzitutto siciliani e poi italiani: una battuta o ci può essere una spiegazione diversa? I loro genitori sono nati allŽinizio del secolo scorso, i nonni nellŽOttocento a cavallo dellŽunità dŽItalia: questi nipoti, ormai anziani, per un processo di cristallizzazione del linguaggio tipico tra gli emigrati, conservano ancora il ricordo di unŽItalia ancora non unificata? Potrebbe anche essere. Sta di fatto che in Sicilia verso la fine dellŽOttocento una spinta emigratoria ha convogliato molte famiglie in Tunisia che allora dava garanzie di lavoro e di stabilità. Poi, nei primi decenni del Novecento, il flusso si è spostato più a occidente e precisamente in Marocco sulle coste dellŽA-tlantico. Alcune famiglie sono passate dal Marocco allŽAmerica (Stati Uniti e Canada), altre invece si sono fermate in quella piccola città che era Casablanca e hanno contribuito non poco al suo sviluppo. Infatti i francesi, arrivati in Marocco con il Protettorato nel 1912 hanno subito scelto Casablanca come porto principale e sede del loro governo: da qui il suo decollo e il richiamo di tanti emigrati.Il tuo quartire è il MaârifIl quartiere del Maârif è oggi uno dei tanti agglomerati di Casablanca: è centrale, ma allŽinizio del secolo era periferia circondata da palmeti. Ebbene, proprio al Maârif si concentravano tanti operai e artigiani provenienti dallŽItalia, dalla Spagna e da altre nazioni europee. Si calcola che i soli italiani fossero venti mila. Anche oggi passeggiando per il nucleo centrale del Maârif si respira aria di grosso paese italiano degli anni cinquanta con le sue vie e viuzze animate, negozietti, bettole, botteghe artigiane, sale da cinema, case basse con terrazzo tutte a ridosso una allŽaltra, con al centro la chiesa. Ma appunto la chiesa indica molto bene come sia cambiato il quartiere dopo lŽindipendenza del Marocco. In pratica gli stranieri non sono stati mandati via ma di fatto non incoraggiati a restare. Pertanto molti hanno trovato soluzioni altrove e la numerosa comunità occidentale si è assotigliata sempre più con il conseguente arrivo, nelle case lasciate vuote, di famiglie arabe. Lentamente ma inesorabilmente la maggioranza del Maârif si è ritrovata non più occidentale ma marocchina. Anche la chiesa, dedicata a S. Antonio di Padova, era diventata inutile e così fu venduta e trasformata in Centro Culturale, un Centro Culturale ben tenuto, veramente caratteristico per lo stile inconfondibile di chiesa e in mezzo ad una zona pedonale (così rare in Casablanca).La lingua dei nostri italiani?UnŽaltra caratteristica di questa antica emigrazione è la lingua. I nostri italiani non comunicano in italiano. A scuola e nel quartiere hanno imparato il francese e lŽarabo e sono queste le loro lingue, specialmente il francese. LŽitaliano lo capiscono (forse) ma fanno fatica ad esprimersi in esso. Del resto in casa hanno parlato un misto di italiano e siciliano. Per dire "sono molto stanco" si può facilmente ascoltare "sono tutto fatigato" che è la traduzione maldestra di una identica espressione francese. Verso il 1950 i primi bollettini della parrocchia "Cristo Re" erano tutti in italiano, ma progressivamente sono diventati bilingui: i nostri italiani preferiscono leggere in francese.Si sono dovute fare delle scelte imbarazzanti?Con mia meraviglia ho trovato tante persone che ormai sono di nazionalità francese, però di genitori italiani. Come spiegarlo? Innanzitutto bisogna ricordare che è pressoché impossibile diventare marocchino. Per avere la cittadinanza del Marocco bisogna fare anche la professione di fede islamica. Questa regola fa in modo che gli stranieri, figli e nipoti compresi, rimangano sempre stranieri. Inoltre durante la seconda guerra mondiale lŽItalia e la Francia erano nemiche. Gli adulti maschi italiani si sono trovati di fronte al dilemma e ad una scelta imbarazzante: o diventare francesi o subire il campo di concentramento. Chi ha fatto una scelta e chi lŽaltra. Dopo la guerra poi lŽItalia, piena di problemi comŽera, non ha fatto nulla per i suoi cittadini allŽestero. Di nuovo per comodità molti si sono fatti francesi. Tanto più che al tempo del Protettorato, la Francia concedeva la cittadinanza francese su semplice richiesta a tutti i non marocchini che fossero nati in Marocco durante la sua amministrazione. Solo ultimamente è stata approvata la legge che permette il voto degli italiani allŽestero: ma ancora una volta, con grande delusione degli italiani, non si è fatto ancora molto per farla conoscere e renderla applicabile.Il lavoro di questi emigrati?Passeggiando per il Maârif si possono ancora notare tracce italiane e indovinare il lavoro che facevano i nostri connazionali. Qualche negozio di abbigliamento conserva ancora un nome nostrano, oppure alcune botteghe artigiane, come le falegnamerie, hanno una chiara origine italiana; per non parlare poi di tutto quello che richiama la "pizza" diffusa in tutta Casablanca ma che forse ha avuto il suo battesimo marocchino proprio al Maârif. In pratica gli italiani erano operai ed artigiani: falegnami, elettricisti, meccanici, fabbri, idraulici, carrozzieri, imbianchini, ecc… Alcune ditte si sono poi specializzate sia nella costruzione di case che nellŽasfaltatura di strade. Non di rado si trova qualcuno che con orgoglio può dire di aver avuto una ditta che ha contribuito alle grandi opere marocchine come il mausoleo di Mohammed V° a Rabat o la moschea Hassan II° a Casablanca.Una testimonianza del tuo vivere tra musulmaniA metà ottobre si è tenuto a Rabat un colloquio tra le Chiese del Maghreb e quelle subsahariane: molti giovani dellŽAfrica Nera si riversano nei paesi nordafricani per studio (la maggior parte), per lavoro o semplicemente per tentare il grande balzo verso lŽEuropa. Questo crea delle situazioni nuove nel Maghreb perché più abituati a veder emigrare la gente e perché quelli che arrivano non sono tutti mussulmani. Per la mentalità araba tutti i popoli del Terzo Mondo sono mussulmani, mentre il cristianesimo è un fatto occidentale: come è possibile - si chiedono - che africani neri siano cristiani? Di fronte a questo fenomeno del tutto nuovo per lŽAfrica, i responsabili pastorali di vari paesi si sono ritrovati a Rabat per uno scambio di opinioni e per scegliere alcune linee pastorali comuni. Erano presenti al colloquio vescovi del Maghreb e del sud del Sahara con religiosi, religiose e laici, studenti compresi. In attesa del rientro (anche qui lŽemergenza si è manifestata con voli cancellati, sospesi o rimandati), per il vescovo di Dakar in Senegal è stato organizzato un incontro con gli studenti neri francofoni la sera di mercoledì 17 ottobre a Casablanca e vi ho potuto partecipare. Intanto la stragrande maggioranza dei giovani africani non era a conoscenza che esiste una comunità cattolica nel Maghreb: sapendo che i paesi arabi sono mussulmani, si sono meravigliati di trovare anche qui dei cristiani che frequentano luoghi di culto e di incontro, perfino dei centri giovanili. Questi giovani a loro insaputa - spiegava loro il vescovo - si sono ritrovati con una vocazione alla quale non avevano mai pensato: quella di essere i primi testimoni di Gesù nellŽambiente studentesco o lavorativo che li accoglie se non proprio alla pari, certo non come colonizzatori. La loro testimonianza risulta ancora più preziosa. Non è una loro scelta ma una chiamata - insisteva il vescovo - che denota lŽassoluta libertà di Colui che chiama e la necessità di una risposta coraggiosa, lieta e intelligente.(intervista di don Elia Ferro)