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Il problema delle navi sequestrate e l'AMI

Fondazione Migrantes

di Giacomo Martino

"Stella Maris è da lungo tempo l´appellativo preferito con cui la gente del mare si rivolge a Colei nella cui protezione ha sempre confidato: la Vergine Maria. Gesù Cristo, suo Figlio, accompagnava i suoi discepoli nei viaggi in barca, li aiutava nelle loro fatiche e calmava le tempeste. Così anche la Chiesa accompagna gli uomini del mare, prendendo cura delle peculiari necessità spirituali di coloro che, per motivi di vario genere, vivono ed operano nell´ambiente marittimo".
In questo modo incomincia il Motu proprio sull´Apostolato del Mare del Papa Giovanni Paolo II del 31 gennaio del 1997 in cui il Santo Padre rivolge uno sguardo di particolare considerazione ai nostri fratelli naviganti.

MARITTIMI: FRATELLI SCONOSCIUTI
Fratelli che vivono in prima persona il dramma della migrazione in ogni porto che toccano.
Fratelli ovunque stranieri nel perenne peregrinare lontano dalle famiglie, dagli affetti più cari, dalla vita sociale ed anche dalle proprie comunità ecclesiali.
Fratelli, ultimi fra gli ultimi, sparsi sulle acque del globo senza potersi incontrare mai per gridare la propria sete di giustizia per un trattamento più equo e dignitoso.
Fratelli imbarcati ed a volte sfruttati in un gioco di bandiere "ombra" di paesi senza leggi sul lavoro e sulla sicurezza della navigazione.
Fratelli spesso dimenticati anche da una Chiesa solitamente viva ed attenta alle molteplici realtà sociali che la circondano ma che rivela un deprecabile oblio per quanti si muovono sugli altri due terzi della superficie terrestre costituiti dal mare.
è proprio a queste persone, senza differenze di religione, lingua o cultura, che si rivolge l´Opera dell´Apostolato del Mare che è l´organizzazione che, come recita sempre il citato documento pontificio: "promuove la cura pastorale specifica rivolta alla gente del mare e mira a sostenere l´impegno dei fedeli chiamati a dare testimonianza in questo ambiente con la loro vita cristiana".

UN RAPPORTO DEI SINDACATI
Peter Morris, commissario dell´International Commission on Shipping (Icons) afferma, dopo aver svolto indagini in tutto il mondo, che il 10-15% dei marittimi imbarcati sulle navi della flotta mondiale lavorano in condizioni di schiavitù. Mancano gli standard di sicurezza, si vive con orari di lavoro interminabili e paga minima. I commissari Icons affermano di aver avuto notizia di marittimi scomparsi dopo contrasti con ufficiali o della predisposizione di liste nere per chi aderisce ai sindacati. Il rapporto denuncia, infine, che una parte del mondo amatoriale tollera ed anzi si avvale di navi sub-standard a danno della gran parte di armatori che operano lecitamente con navi adeguate alla normativa internazionale. L´ILO (International Labour Organization) attraverso alcune Convenzioni (in particolare la n.147) istituisce dei minimum standard lavorativi accettabili a livello internazionale a bordo di navi mercantili riguardo la sicurezza, la sicurezza sociale, le condizioni a bordo di impiego e disposizioni di vita che devono essere osservate dai paesi firmatari.
Esistono nell´ambito del lavoro marittimo problemi di giustizia estremamente gravi come quello della riduzione degli standard di sicurezza o dell´invecchiamento dell´età media delle navi, che aumenta il numero di naufragi e di marittimi che muoiono in mare sino alla riduzione al minimo degli equipaggi o alla frammentazione dei gruppi nazionali che accresce il senso di frustrazione e di isolamento del marittimo.
Il doppio registro contabile per le paghe "ufficiali" e per quelle "effettive" ed altri problemi come le carenze dell´assistenza medica e sanitaria o delle garanzie assicurative fanno si che, nella realtà dei fatti, la vita del marittimo sia veramente lontana dall´idea romantica, che molti hanno, di una vita di piaceri ed avventure in terre lontane.

E´ GRANDE IL NUMERO DEI MARITTIMI
I marittimi relegati in porto ai margini delle nostre città non si presentano, purtroppo, come un vero "problema migratorio" in quanto non hanno fisicamente il tempo di "darci fastidio", di farsi sentire nelle loro necessità, nelle loro urgenze. Per l´Apostolato del Mare di ogni paese il numero dei marittimi che interessa non è solo quello degli indigeni (degli italiani) che possono essere pochi, ma quello delle migliaia di naviganti, non importa di quale provenienza, che fanno scalo nei porti locali e che, per la consistenza del loro numero, dei loro problemi e necessità, dovrebbero interpellare all´occorrenza la comunità ecclesiale, che invece, nella maggioranza dei casi, rimane indifferente.
Proprio per questo la Chiesa è chiamata a cercarli tenendo presente che, complessivamente, costituiscono una vera città in continuo movimento da una sponda all´altra degli oceani.
Chi pensa a loro? Che cosa fa la Chiesa o la società civile per questi "stranieri in ogni porto"? Quale assistenza, anche solo umanitaria, verso persone che provengono da nazioni equatoriali con un piccolo bagaglio estivo e transitano nel Mediterraneo, durante il freddo inverno, con un salario mensile inferiore ai 150 dollari?

LE STELLE MARIS IN ITALIA
In Italia un qualche impegno di accoglienza da parte della Chiesa locale si riscontra nei porti di Savona, La Spezia, Livorno, Cagliari, Civitavecchia, Messina, Palermo, Augusta, Pozzallo, Taranto, Ancona, Ravenna, Rimini, Trieste e Venezia.
Impegno che, nonostante la buona volontà e gli sforzi dei responsabili locali e l´entusiasmo di molti volontari, rimane alquanto lontano dall´ideale ma che, comunque, si inserisce fattivamente nel fronte dell´Apostolato del Mare mondiale che conta nel mondo 150 centri Stella Maris di cui cinquanta ecumenici e il coinvolgimento di oltre 350 Sacerdoti, garantendo una presenza capillare della Chiesa nei porti di tutto il mondo.

IL DRAMMA DELLE NAVI SEQUESTRATE
In Italia, sono oltre 25 le navi sequestrate per motivi di sicurezza o per inadempienza contrattuale dell´armatore. In parole povere parliamo di centinaia di persone, solo in Italia, lontane da casa per mesi e a volte per anni. Parliamo di famiglie intere, abbandonate, distrutte da gravi situazioni economiche e personali. Una normativa inadeguata fa si che gli equipaggi rimangano a loro volta relegati su queste navi ; arrestati senza colpa, cittadini del porto in cui si trovano senza alcun diritto; nemmeno quello di allontanarsi troppo dalla nave. Abbandonare l´imbarcazione, senza il consenso dell´armatore inadempiente, significa perdere ogni diritto al salario maturato, diventare dei clandestini in Italia ed una sorta di disertori nel proprio paese.
Quali feste si prospettano per gli equipaggi delle navi sequestrate a Trieste, Venezia, Savona, Genova, La Spezia, Ancona, Bari, Brindisi, Ravenna, Napoli, Augusta e chissà in quali altri porti? Per molti è già il terzo o quarto Natale fuori casa, lontani dalle mogli e dai sorrisi dei figli; distanti dalle proprie comunità ecclesiali. La loro colpa è solo quella di aver cercato un lavoro per guadagnare onestamente i quattrini da portare a casa.
L´azione dell´Apostolato del Mare si muove in accordo alle succitate convenzioni ILO, con l´aiuto dei sindacati internazionali e propri avvocati o centri mondiali per la difesa dei marittimi. In particolare in Italia tutta questa materia ha grossi buchi legislativi che non solo non risolvono problematiche ormai quotidiane ma le prolungano sino a tempi indefiniti. Valga un esempio per tutti quello della famigerata nave arrestata a Napoli da oltre otto anni sulla quale un marittimo è già morto d´inedia e per mancanza di cure.
Burocrazie, armatori scappati, navi inutili dopo anni di sosta, non servono neppure a pagare il biglietto per rimandare questa povera gente nelle proprie case. Chi torna al focolare domestico lo fa con la vergogna del galeotto rilasciato all´improvviso, con l´imbarazzo di non avere di che pagare i debiti che la famiglia ha accumulato durante la lunga assenza, vivendo un´estraneità dalle comunità cristiane che, a causa del loro lavoro, sono già molto lontane.
Ci si deve muovere mantenendo una precisa identità di Chiesa che, come il Cristo, annuncia la lieta Novella, la libertà ai prigionieri, senza scadere nei due estremi della predicazione senza concretezza da un lato o, d´altra parte, di una promozione di cavilli e leggi che pur giuste, senza la capacità di metter l´uomo in primo piano, resterebbero lettera morta.
La Chiesa nell´Apostolato del Mare ha imparato a dedicarsi, nel pieno rispetto degli uomini e donne che ha di fronte, non per far loro semplicemente "la carità". Essa si sforza silenziosamente, nel rispetto dell´altrui dignità, di essere accogliente facendo sì che questi schiavi del mare, anche solo per un attimo, si sentano in famiglia, accolti nella "casa lontano da casa". Questo è il carisma essenziale dei centri di accoglienza della Stella Maris, questa è la realtà di una Chiesa che ha ancora il coraggio di uscire dai recinti per cercare l´ultimo, il dimenticato, quello che non interessa a nessuno.
Da Gerusalemme a Gerico la strada è ancora lontana e piena di feriti da soccorrere e di Sacerdoti e Leviti che passano oltre facendo finta di non vedere. Nell´esperienza di una missio quotidiana con le visite a bordo e l´accoglienza ai Centri, l´Apostolato del Mare, impara non solo a cercare il suo prossimo ma, attraverso laici e sacerdoti, si fa prossimo dei tanti fratelli e sorelle abbandonati. Spesso non abbiamo occhi per vedere e combattere le ingiustizie sotto casa mentre rivolgiamo il nostro pensiero a chi soffre lontano. La paura di "mescolarsi" a questa gente e combattere in prima persona queste ingiustizie ci fa divenire compassionevoli verso coloro che ci stanno sufficientemente lontani per non intristirci con i loro racconti familiari, per non sporcarci con le loro mani sudice d´olio di macchina, per non puzzare dei loro vestiti maleodoranti. è facile buttare lo sguardo oltre l´orizzonte e, guardando una nave, pensare al gioco romantico di qualche crociera di divertimento senza avere il coraggio di abbassare lo sguardo e coinvolgersi con tutta questa gente che tocca i nostri porti, sfiora le nostre coste e grida il bisogno di giustizia. Dobbiamo coinvolgerci e comprometterci perché le parole di Gesù "Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli" non siano parole senza significato, svuotate dal cinismo degli uomini che non hanno più occhi per vedere, cuore per amare.