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L'immigrazione femminile dell'est Europa nel Triveneto


Fondazione Migrantes - Un lavoro che va riconosciuto e regolarizzato


di Alessandro Castegnaro


Nel dibattito, che si è fatto molto vivace in questi mesi sul nuovo disegno di legge sull´immigrazione, è emersa con forza la convenienza, anzi la necessità di regolarizzare il soggiorno di tanti stranieri che, soprattutto nel settore della collaborazione domestica e della cura alla persona, da anni svolgono un lavoro prezioso e apprezzato. Questo in particolare nel Triveneto, dove prevalgono i flussi migratori provenienti dall´Est europeo. A tal fine si sono mobilitate tante forze sociali e gruppi di solidarietà, che ultimamente hanno anche inviato un "Appello ai parlamentari eletti nei collegi del Veneto orientale". Non meno di queste pressioni e appelli vale allo scopo l´indagine condotta dall´Osservatorio Socioreligioso Triveneto sugli immigrati che frequentano i Centri di ascolto delle Caritas locali. Non si tratta naturalmente di un campione che possa essere proiettato sull´intera realtà migratoria del Nord-Est, ma è sempre molto significativo e valido come documentazione di appoggio alla richiesta di procedere alla regolarizzazione della posizione lavorativa e, in concomitanza, del soggiorno.
E possibile condurre un approfondimento sull´immigrazione nel Triveneto avvalendosi di una fonte che, pur non presentando caratteri di sistematicità paragonabili a quella ministeriale, consente di gettare uno sguardo anche sulle componenti irregolari dell´immigrazione e con una certa dovizia di dati.
Si tratta delle informazioni raccolte grazie all´impegno profuso dai Centri di Ascolto Caritas del Triveneto che partecipano al sistema di osservazione Os.Car. (Osret-Caritas), frutto della collaborazione tra L´Osservatorio Socioreligioso Triveneto1 e le Caritas del Nord Est.
Ai Centri di Ascolto si rivolgono persone in difficoltà; vi accedono anche immigrati che, essendo privi di permesso di soggiorno, avrebbero difficoltà a rivolgersi ai servizi pubblici. In linea generale si può ritenere che ai Centri di Ascolto si rivolgano in prevalenza i
mmigrati in fase di inserimento nella società locale, da poco presenti sul territorio, e che quindi i dati raccolti dai Centri riflettano maggiormente l´immigrazione più recente. Vi sono comunque dei soggetti che, pur da molti anni in Italia, manifestano ancora gravi problemi di inserimento e ricorrono perciò al sostegno della Caritas.
I Centri di Ascolto promossi dalla Caritas hanno risentito negli ultimi anni della forte affluenza di immigrati che si è registrata nel Nordest, a tal punto che ormai le persone da essi assistite sono diventati in larga maggioranza immigrati2. Raccogliere dati su tutti gli immigrati che si rivolgono ai Centri sarebbe praticamente impossibile, considerate le caratteristiche di un´affluenza che manifesta punte giornaliere di grande rilievo, tali da finire per "travolgere" i volontari che vi operano. Nei primi sei mesi del 2000 sono stati comunque registrati, in tutto il Nordest, dati relativi a 3.306 persone di cui 2.297 immigrati.
Se si rielaborano i dati di fonte ministeriale (tab. A) in modo da renderli confrontabili con quelli di fonte Osret-Os.Car.3, la distribuzione per aree geografiche degli assistiti dai Centri di Ascolto non appare molto diversa. Segno probabile della funzione "quasi istituzionale", se così si può dire, che questi centri svolgono nell´accoglienza degli immigrati all´interno del Nordest, un´area dove lo scarto tra le dimensioni dell´afflusso e la disponibilità di strutture deputate all´accoglienza è ancora molto ampia.
Se tuttavia si osservano le distribuzioni che emergono distinguendo gli immigrati senza permesso di soggiorno da quelli che invece lo possiedono, il quadro cambia completamente. La maggioranza di coloro che sono privi di permesso proviene dai paesi dell´Est europeo, mentre sono pochi quelli in possesso di permesso di soggiorno, provenienti dalla stessa area, che si rivolgono alla Caritas. Tutto ciò costituisce una spia, come vedremo meglio tra breve, di un´immigrazione proveniente dall´Est che
si è andata stratificando. A vecchie ondate migratorie, provenienti da vari Paesi e dall´area balcanica in particolare, formate da immigrati ormai in via di stabilizzazione e quindi meno bisognosi di quella "prima assistenza" che i Centri di Ascolto offrono, si contrappongono nuove ondate migratorie, provenienti da Paesi diversi dell´Est europeo, ben lungi dall´essersi stabilizzate, per essere in condizione di irregolarità per soggiorno e per lavoro. Se "solo" un terzo del totale degli assistiti dalla Caritas è privo di permesso di soggiorno, la percentuale sale a due terzi considerando i provenienti dall´Est Europeo.
Un passo ulteriore per comprendere di che tipo di immigrazione si tratti può essere fatto se si considera il genere di questi immigrati, che risultano essere per circa due terzi donne.
La tabella B indica come quasi la metà dell´immigrazione proveniente dall´Est europeo che si rivolge ai Centri di ascolto sia costituito da donne prive di permesso di soggiorno e come i singoli Paesi si distinguano nettamente in base alla composizione per genere e possesso di permesso di soggiorno.
Le donne rappresentano la maggioranza in quasi tutti i Paesi indicati (salvo Macedonia e Kosovo). In alcuni di essi la (nuova) immigrazione sembra quasi esclusivamente formata da donne (Polonia, Russia, Ucraina, e Bielorussia). Questi ultimi Paesi sono anche quelli da cui sembrano affluire in grande maggioranza donne presenti nel Nordest senza un regolare permesso di soggiorno. Tra coloro che provengono dai rimanenti Paesi, al contrario, le donne o sono in minoranza (Macedonia e Kosovo), o sono in maggioranza con il permesso di soggiorno (Albania e Serbia), oppure vi è un rapporto più equilibrato tra le donne dotate di permesso e quelle prive (Croazia e Romania).
Per riassumere si notano alcuni Paesi (Polonia, Russia, Ukraina, e Bielorussia in particolare), dai quali l´immigrazione appare piuttosto recente, ed essenzialmente caratterizzata da donne prive di permesso di s
oggiorno.
Per comprendere meglio di che tipo di immigrazione si tratta è possibile utilizzare alcuni altri dati offerti dalla fonte Osret-Os.Car.: la condizione anagrafica, il tipo di convivenza in Italia e le richieste avanzate ai Centri di Ascolto.
Più di due terzi delle donne provenienti dall´Est sono coniugate, ma solamente meno del 20% vive con propri familiari (Tab. C) e solo il 15% delle coniugate è qui con i propri figli. Tutto questo dice che non si tratta, nella maggioranza dei casi, di donne giunte in Italia a motivo di ricongiungimento familiare, ma di donne che sono in Italia senza parenti, per trovare lavoro. Vedremo subito che genere di lavoro.
Una parte di queste donne vive da sola o in qualche centro di accoglienza (circa un terzo). Quasi la metà vive "con altre persone o in altra famiglia". La dizione è ambigua, inevitabilmente, e non sappiamo queste "altre persone o altre famiglie" di che nazionalità siano. Ma vi è ragione di credere che si tratti in prevalenza di italiani.
Queste donne sono qui infatti, in maggioranza, non per inserirsi nel sistema produttivo del Nordest, che pure potrebbe offrire loro numerose opportunità occupazionali, ma per trovare un lavoro presso le famiglie, e non per svolgere il consueto compito di collaboratrici domestiche, ma per prendersi cura di persone che hanno bisogno di assistenza continuativa a motivo della loro condizione di non autosufficienza e i cui familiari non sono in grado di occuparsene stabilmente a causa dei loro impegni lavorativi. Si tratta, come è facile intuire, in grande prevalenza di anziani.
Del resto, ciò appare tra le righe anche dalle loro richieste ai Centri di ascolto. Se prendiamo il totale degli immigrati, solo il 36,2% si rivolge ai centri per chiedere lavoro, se prendiamo le donne con permesso di soggiorno la percentuale sale al 48,2%, se prendiamo le donne prive di permesso si arriva al 66,1%.
A completare il quadro informativo la tab. D consente di vedere come ci siano Paesi di
origine da cui quasi tutte le provenienti che si rivolgono ai Centri di ascolto sono in Italia senza familiari (Ucraina, Moldavia e Bielorussia in particolare); Paesi da cui una maggioranza ancora estesa viene senza parenti (Polonia e Romania), mentre le immigrate dall´Albania (ma il discorso potrebbe valere anche per il Kosovo, o la Serbia) sono in assoluta prevalenza presenti nel Nordest con altri parenti.
L´ultima osservazione è che mentre le donne provenienti dall´Est Europeo che sono qui con permesso di soggiorno sono in maggioranza (58%) accompagnate da familiari, quelle che ne sono prive sono quasi sempre sole (89%).
Quanto visto permette di dire che i modelli migratori delle donne provenienti dai diversi Paesi dell´Est europeo sono con tutta evidenza molto differenziati. A donne provenienti dall´area balcanica, che sono qui con i familiari ed il cui inserimento appare abbastanza avanzato, si affianca una maggioranza di donne che giungono qui dai Paesi nati dalla dissoluzione della ex Unione Sovietica, prive di permesso di soggiorno e di sostegni parentali.
Pur essendo coniugate sono qui da sole e lavorano presso famiglie che hanno al proprio interno anziani non autosufficienti bisognosi di assistenza continuata. Un profilo sociologico di queste donne rimane da scrivere. Una parte di loro rimane per periodi piuttosto brevi; altre assommano diversi periodi di permanenza, avvicendandosi con altre parenti ed amiche presso le stesse famiglie; altre ancora rimangono per periodi più lunghi.
I percorsi attraverso cui giungono in Italia meriterebbero un´indagine specifica, ma è probabile che essi siano abbastanza strutturati e vedano l´azione di organizzazioni malavitose.
Molte di loro hanno livelli di scolarizzazione elevata. La tab. E riporta i dati relativi alle donne di cui i Centri di Ascolto sono riusciti a raccogliere il livello di scolarizzazione.
Tra le donne prive di permesso di soggiorno6 le laureate sono il 15%, mentre il 40% circa possiede un di
ploma di media superiore, un altro 37,8% possiede un diploma professionale che in molti casi potrebbe essere congruente con l´attività svolta (settore assistenziale e infermieristico). Vengono segnalati casi di donne laureate in medicina che svolgono questo genere di lavoro.
Essendo clandestine e fuori regola sotto il profilo dei rapporti di lavoro, la visibilità sociale di queste donne è scarsa, anche se la loro presenza è ben nota alle famiglie.
Nel periodo di permanenza i loro orari lavorativi sono molto estesi, fino a coprire spesso l´intera giornata. Ciò permette loro di spendere cifre relativamente modeste per il sostentamento, tanto più che molte volte sono ospitate direttamente dalle famiglie, e quindi di accantonare risparmi che possono risultare interessanti, considerato il livello di reddito nei paesi di provenienza. Il fatto che sono qui da sole dice che, nella maggioranza dei casi, le loro strategie migratorie sono a termine e che esse non pensano di stabilizzarsi in Italia. Il loro obiettivo è accumulare un certo risparmio per far fronte alle esigenze che incontrano nel paese di origine. Ciò naturalmente nella maggioranza dei casi, dato che, viceversa, alcune di loro sono interessate a rimanere ed in alcuni casi manifestano l´esigenza di trovare una nuova collocazione, dopo aver perduto il lavoro che svolgevano in precedenza.
Queste donne sono bene accette dalle famiglie, perché i loro costi sono piuttosto bassi e, di fatto, i soli sopportabili da famiglie con redditi "normali"; consentono di mantenere l´anziano in casa senza ricorrere alla sua istituzionalizzazione; permettono di coprire lo spazio temporale, necessariamente molto ampio, non coperto da altre forme di assistenza domiciliare eventualmente offerte dai servizi locali. Svolgono quindi compiti essenziali per quel genere di famiglie, oggi prevalenti nel Nordest, in cui entrambi i coniugi lavorano.
La presenza di queste donne pone, d´altra parte, gravi problemi, data la loro collocazione
irregolare e l´impossibilità, stante la normativa vigente, di regolarizzare la loro condizione anche per quelle famiglie che sarebbero interessate a procedere in questo senso. Questa presenza è il riflesso di una società che invecchia senza aver predisposto adeguati strumenti, a prezzi sostenibili, per affrontare il nodo dell´assistenza agli anziani7 e che, per ragioni difficili da comprendere, non accetta di riconoscere l´apporto di queste donne, aprendo loro percorsi specifici e praticabili di regolarizzazione.
Colpisce il fatto che, mentre le esigenze di manodopera derivanti dal sistema produttivo riescono a farsi sentire ed hanno accesso al sistema politico, anche se poi le risposte appaiono pure in quel caso insufficienti, le necessità che sono all´origine dell´utilizzo di donne immigrate da parte delle famiglie non abbiano trovato ancora alcuna voce in grado di farsi ascoltare, costringendo le famiglie stesse a vivere in situazioni di rischio facilmente immaginabili e le immigrate a non avere alcuna cittadinanza riconosciuta, neppur minima.
La loro presenza, certamente destinata a crescere - è facile prevederlo se si considerano da un lato la tendenza all´invecchiamento e dall´altro la scarsa disponibilità di servizi socio-sanitari a basso costo - dovrebbe almeno indurre a modificare l´immagine del clandestino, che nel Nordest molto spesso non è, come di solito si crede, "un maschio minaccioso con la pistola in tasca", ma una donna che ha lasciato la propria famiglia altrove ed è qui per assistere i nostri "nonni", quelli stessi nonni cui noi non sappiamo più dare la cura di cui hanno bisogno.