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Un silenzio ingiusto verso l'emigrazione italiana

Fondazione Migrantes

di Graziano Tassello


INTRODUZIONE
"Da parte delle nostre Chiese di partenza si è registrata e si registra indifferenza verso chi emigra, da parte di quelle di accoglienza freddezza e sospetto, giudizi sommari e pregiudizi, ostacolo all´integrazione, nei confronti degli immigrati, degli zingari e di quanti sono costretti per ragioni di vita alla mobilità; si aggiungano forme più o meno larvate di razzismo, concezioni devianti di nazionalismo, negazione di rispetto per le minoranze etniche: sono atteggiamenti di cui è salutare prendere coscienza alla luce del Vangelo, in vista di un deciso impegno di conversione… Il Giubileo, per essere autentico, deve dare occasione a un ripensamento critico in cui il problema dei migranti e dei profughi non sia colto dal solo punto di vista sociale, assistenziale, caritativo, giuridico o altro, ma sia assunto davanti a Dio ricordando il monito biblico: "Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l´amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d´Egitto" (Lev 19,34) e quello più stringente di Gesù: "Ero forestiero e mi avete ospitato" (Mt 25,35)".
Così leggeva una nota di "Migranti-press" del 4 ottobre del 2000 nell´ambito dell´Anno Giubilare. Giovanni Paolo II aveva in precedenza chiesto perdono per le ingiustizie commesse dalla Chiesa lungo la storia e il Presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale della mobilità umana, l´arcivescovo giapponese Stephen Fumio Hamao, così si era espresso: "Preghiamo perché nella contemplazione di Gesù, nostro Signore e nostra Pace, i cristiani sappiano pentirsi delle parole e dei comportamenti che a volte sono stati loro suggeriti dall´orgoglio, dall´odio, dalla volontà di dominio sugli altri, dall´inimicizia verso gli aderenti ad altre religioni e verso gruppi sociali più deboli, come quelli degli immigrati e degli zingari".


INSEGNAMENTI DELLA STORIA
La Chiesa non si stanca di interrogarsi e di chiedere perdono per gli
errori commessi, ma è altresì impegnata nel campo della tutela dei diritti, indicando e sollecitando tutte quelle misure che garantiscano la dignità di ogni migrante. A tutti gli effetti la questione migratoria è una questione di giustizia che comporta non solo il rispetto per la persona, a prescindere dal suo passaporto, ma altresì la costruzione di un nuovo ordine internazionale basato sulla condivisione dei beni e sulla solidarietà, in grado di produrre uno sviluppo il più possibile uniforme e di arrestare i movimenti forzati dei popoli.
La storia di numerose migrazioni è spesso segnata da ingiustizie. Si può prendere a modello la vicenda della diaspora italiana nel mondo per verificare la validità di tale affermazione.
Chi, dalla seconda metà dell´Ottocento, è costretto ad emigrare poiché non sembrano esistere alternative al famoso detto "O rubare o emigrare" mette in luce un sistema iniquo, accettato quasi come ineluttabile dalla nazione. Tanti cittadini sono costretti a cercare altrove ragioni per sopravvivere e pianificare il futuro. E nella nuova terra di adozione lo stato di partenza non sempre li protegge in questo processo di sradicamento e di trapianto. In tutte le fasi che accompagnano l´esodo e il trapianto riscontriamo, infatti, atti ingiusti perpetrati ai danni degli emigrati. Il trattamento al porto di partenza, le condizioni a bordo delle navi utilizzate dalle compagnie di navigazione e, soprattutto, il lavoro previo di reclutamento da parte degli agenti di emigrazione con le loro promesse irreali sottopongono il migrante a vere forme di schiavitù. Con gli italiani in partenza per oltreoceano prende avvio lo sfruttamento del trasporto umano che alla fine del ventesimo secolo assumerà le forme di una vera organizzazione internazionale del crimine, molto più redditizia del traffico di droga.
L´insediamento in terra straniera costringe il migrante ad accantonare numerosi suoi diritti (educazione, pratica religiosa, vita familiare, alloggio dignito
so): nella prima fase del suo iter migratorio egli si vede costretto a concentrare tutta la sua attenzione a problemi legati alla sopravvivenza economica.
La priorità data all´aspetto economico si coniuga spesso con la mentalità del posto che considera il migrante un mero bene economico: un modello che con sempre maggiore frequenza adottano oggi tante economie di mercato la cui politica è quella di bypassare tanti diritti umani basilari dei lavoratori stranieri. Si tratta non di rado di lavoro stagionale che impedisce alla persona sposata di vivere con il coniuge e con i figli. Le difficoltà frapposte ai ricongiungimenti familiari, le precarie condizioni di alloggio, i pregiudizi nei confronti di una cultura ritenuta inferiore, lo sfruttamento del lavoro femminile e minorile, il lavoro nero, la strategia assimilatoria sono tutti indici di mancanza di giustizia sia da parte del paese ospitante che del paese di partenza, a cui si cerca di porre rimedio con trattati bilaterali o multilaterali.
Di fatto le istituzioni raramente danno prova di un impegno globale verso la diaspora, delegando molto del lavoro socio-culturale alle missioni e al volontariato associativo, messi a dura prova dalle tante inadempienze e sempre emarginati quando si tratta di spartire potere e mezzi finanziari. Cresce così il numero di persone senza un volto, senza la possibilità di esplicitare pienamente la potenzialità della propria cultura, condannate alla invisibilità politica ed emarginate da una patria che non nutre interesse nei loro confronti. L´emigrato è quasi costretto a costruirsi da solo il suo futuro.


UNA DIASPORA LASCIATA AI MARGINI
Tutto questo avviene perché il metro di giudizio con cui si interagisce con la diaspora italiana nel mondo si basa prevalentemente su un´ottica assistenzialistica ed è difficile accettare l´italiano all´estero come un protagonista. L´adozione di questa visione mantiene gli emigrati in meri oggetti di carità e non soggetti a pieno diritto dello s
viluppo e perpetua scelte che ledono la dignità della persona. Uno status di perenne emergenza e di provvisorietà svilisce il valore degli italiani all´estero e non favorisce la crescita della virtù civile della partecipazione. Per tanti italiani i cittadini residenti all´estero non hanno alcuna "storia da raccontare". L´ottica della provvisorietà, che ha prevalso in tante scelte di governo, costituisce il filo rosso anche in prese di posizione e strategie pastorali di istituzioni ecclesiastiche che hanno giudicato l´arrivo degli immigrati italiani come un avvenimento cui far fronte con risposte di emergenza in attesa del tempo dell´ordinarietà quando l´assimilazione totale nel sistema locale sarebbe divenuta realtà.
L´ingiustizia più grave subita dalla diaspora italiana è la rimozione del fenomeno dalla memoria collettiva: ignorato da letterati, cineasti e uomini di cultura (è facile constatare come il verismo in letteratura, il neo-realismo nel cinema e gli interventi degli intellettuali italiani sorvolino il più grande fenomeno sociale dell´Itala post-unitaria o lo considerino insignificante per lo sviluppo sociale dell´Italia), non entra nei testi di storia e solo raramente diventa soggetto di qualche seminario di studio e di qualche ricerca a livello universitario.
Ma esistono anche tante altre ingiustizie quotidiane, come la sperequazione di fatto portata avanti dagli interventi delle singole regioni per i corregionali all´estero, la mancata informazione di ritorno, la distribuzione dei fondi assegnati alla diaspora in modo non del tutto trasparente, spesso legata a correnti ideologiche e non a situazioni oggettive, la neghittosità nel proporre interventi mirati per far fronte alle povertà materiali o morali (ad es. il fenomeno della droga) presenti in alcune comunità, l´incapacità di offrire servizi tempestivi per una cronica mancanza di strutture e di personale, una prassi burocratica talvolta maldestra se non addirittura cinica.


IL RISCHIO DELLA INVI
SIBILITA´ NELLA SOCIETA´ DI ACCOGLIENZA
Ma le forme di ingiustizia nei confronti della diaspora italiana non sono da addebitarsi soltanto ad inadempienze da parte italiana. Anche nella patria di adozione - tralasciando gli evidenti successi di taluni emigrati in campo economico e politico - l´italiano all´estero corre il rischio di far parte di una comunità invisibile perché si ritiene che i "problemi" posti alla società siano originati da gruppi immigrati più recenti. Anche nei paesi importatori di manodopera straniera prevale un metro di giudizio che porta a valutare le migrazioni prevalentemente in termini di "emergenza" invece di accettarle come un fenomeno strutturale per la società, e quindi un evento ordinario.
Risulta alquanto tormentata la nascita di una società "plurale" e si riscontra ancora molta incapacità, o riottosità, a mettere in comunicazione tutti i diversi membri che la compongono, senza che si debba per questo rinunciare alle proprie specificità. Si concede un contentino di facciata, ponendo l´accento sulla valorizzazione del fattore etnico, ma ciò non significa concedere automaticamente parità piena di diritti.


NUOVI SCENARI
Non mancano segnali positivi e atti riparatori nei confronti della comunità emigrata. L´istituzione di un ministero per gli italiani nel mondo e la concessione dell´esercizio del diritto di voto ai cittadini italiani residenti all´estero con la possibilità di eleggere propri rappresentanti costituiscono un segnale forte di democrazia partecipata e cancellano una grande macchia nella storia della democrazia italiana. La nuova legge di fatto permetterà a tanti emigrati di esercitare per la prima volta il diritto di voto. Forse prende l´avvio una fase che porterà al superamento di quella opposizione alla diaspora tutta italiana, fatta di indifferenza e di snobismo verso gli italiani all´estero e frutto di una mancata cultura dell´emigrazione.
I meccanismi di partecipazione della comunità si sono affinati col tempo ed u
n buon funzionamento dei Comites e del CGIE possono garantire un dialogo reale fra le parti e far sentire le istanze della base presso le istituzioni. Sarebbe, tuttavia, una illusione ritenere che la riforma legislativa sul voto e le altre strategie messe in atto possano colmare i tanti debiti di giustizia accumulati nei confronti della diaspora. Il confronto tra comportamento italiano verso la sua diaspora e lo stato delle migrazioni nel mondo se, da un lato, ci permette di sottolineare gli aspetti positivi o le carenze della nazione di partenza, d´altro canto esso mette in luce la funzione propedeutica che l´Italia può svolgere nei confronti degli altri immigrati attraverso i suoi gesti di giustizia nei confronti della diaspora. L´esperienza di oltre cent´anni di emigrazione ha permesso, seppure con molta lentezza, la formulazione di alcuni valori etici su cui si basa, ad esempio, la Convenzione dei diritti del lavoratore migrante e della sua famiglia che definisce i diritti di cui sono portatori tutti i migranti e, di conseguenze, invita a mettere in atto tutte le strategie necessarie perché tali diritti vengano garantiti. Anche nei documenti della Chiesa si trovano spesso riferimenti diretti in proposito, come il diritto di emigrazione e di immigrazione, il diritto di ritorno nel proprio paese, il diritto ai ricongiungimenti familiari, l´innato diritto a conservare e sviluppare il loro patrimonio etnico, linguistico e culturale, il diritto alla libera integrazione ecclesiale, il diritto a ricevere l´assistenza pastorale e gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa.
In una era come quella attuale dove l´economia gioca un ruolo trainante nel processo di globalizzazione, il rischio è che tutta la questione dei diritti fondamentali rimanga una mera ricerca teorica e il migrante venga sempre più considerato merce di scambio. Essere voluti da un punto di vista soltanto economico significa non essere accolti in modo umano. L´accento sulla centralità della p
ersona, anche migrante, porta a sviluppare una visione politica nuova in cui alla visione nazionalistica dello Stato, dove ci sono una maggioranza dominante e delle minoranze che devono inserirsi in essa, subentra la pratica della "democrazia culturale" che punta sulla armonizzazione e comunione delle differenze ed esalta il diritto alla propria identità culturale sulla base del dialogo e della comunicazione tra tutti i partecipanti.