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Un sogno


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/01


di Piero GabellaLŽintroduzione del documento della Conferenza Episcopale Italiana, "Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia" (sottotitolo: Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000), prende ispirazione dal testo biblico di 1Gv 1,1-4: "Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito… il Verbo della Vita…queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia perfetta". Titola poi il primo capitolo: "Al servizio della gioia e della speranza di ogni uomo". Mons. Betori, Segretario Generale della CEI, nella presentazione di questo documento così si esprime: "Dal punto di vista culturale, abbiamo anzitutto una nuova percezione del tempo, caratterizzata dallŽappiattimento sul presente. E uno dei problemi più gravi per lŽannuncio del Vangelo: non può esistere infatti fede cristiana se non nutrita di memoria, Kairos e speranza". Gioia e Speranza sono condizioni essenziali perché il Vangelo possa essere riconosciuto come tale, senza di esse non può esistere annuncio. Nemico che uccide questi stati dŽanimo così fondamentali è "…lŽappiattimento sul presente". Chi è sazio dei beni di questo mondo, tanto desiderati, non cerca "cambiamenti" (appiattimento) tuttalpiù cerca "aggiustamenti" e quindi è privo di speranze.Questi beni, inoltre, sappiamo per esperienza, non sono allŽaltezza di riempire di gioia il cuore dellŽuomo. Chi non possiede, chi è al margine, agogna che qualcosa possa cambiare e quindi spera. A noi cercare nelle esperienze dellŽumano dove si sperimentano gioia, entusiasmo e speranze, a noi farci discepoli per apprendere come si compie il Regno. Il come e il quando ci rimane nascosto.Ricordo, stendendo questo scritto, un atteggiamento che si riscontra dalla lettura delle lettere di S. Paolo Apostolo quando, la certezza della imminente venuta del Signore, viene delusa e ci si deve attrezzare, come Chiesa, ad affrontare un futuro impensato ma coerente con il lento fluire della storia umana e quindi anche con il concomitante fluire del Piano della Salvezza. Penso che ogni vocazione cristiana sia chiamata a vivere una esperienza simile. Tale vocazione nasce con un progetto: lŽ "utopia" del Vangelo. E spontaneo, anche se erroneo, credere che la sua realizzazione avvenga nellŽarco della propria esistenza. Con il passare del tempo ci si accorge che il sogno rimane tale e la realtà è molto più prosastica e lenta. SŽinsinua così, adagio, il compromesso che prende possesso del quotidiano. Il progetto originale ci appare allora veramente come un sogno. Bisogna adeguarsi o si cade nella delusione (prostrazione).Con il Concilio Vaticano II, nella Chiesa, si è vissuto un clima carico di speranze. A sperare erano soprattutto quelle fasce di umanità portatrici di diversità o i gruppi più emarginati dai centri del potere. Le persone che non contavano, quelli che non avevano voce ufficiale e anche se urlavano nessuno li badava, si sono sentiti al centro dei dibattiti e percepivano di essere finalmente valorizzati nella loro dignità. Una sensibilità generale dette lŽimpressione che qualcosa stava cambiando e che ogni uomo, per il fatto di essere tale, era considerato progetto e strumento di Dio. Per questo si sentiva soggetto con il diritto dovere di dare il proprio apporto alla storia, soprattutto alla storia della Salvezza, usando gli strumenti che gli erano più congeniali. Fu in questo clima che fiorirono una infinità di iniziative in ogni ordine e grado. Ci si impegnava con grande entusiasmo. Qualcosa era cambiato e si ebbe lŽimpressione che non sarebbe stato possibile tornare indietro. Giustizia a livello mondiale, fratellanza universale, dialogo con la società, il laicato, le donne, il popolo di Dio, collegialità, pari dignità indipendentemente dal ruolo e dal censo erano diventati luoghi comuni. Ma soprattutto si percepì un senso di speranza che cambiare in meglio non solo era possibile ma di fatto il meccanismo era già in atto. La Chiesa si era aperta alla ricerca di nuovi modi di essere per condividere concretamente con gli "ultimi" con gli "umili" la loro storia, le loro gioie e i loro dolori, le loro fatiche e le loro speranze. è in questo contesto che negli anni Ž70 nasce lŽesperienza di comunità ecclesiali che sono andate a condividere "sul terreno" la stessa vita dei Rom e dei Sinti. Era la Chiesa che si faceva presente attraverso i mandati dei relativi Vescovi.Isaia ci ammonisce riferendo il pensiero di Dio: "…Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri" (Is 55,8-9). I tempi di Dio non sono i nostri tempi! La tentazione che ogni volta ci può trarre in errore è quella di pensare che unŽutopia perché coltivata, amata, e sognata, possa cambiare i tempi della storia facendole saltare i passaggi intermedi di maturazione che la natura umana richiede e che Dio rispetta fino al parossismo di vedere negato il Suo progetto iniziale. Ogni avvenimento, grande o piccolo non ha importanza, non è che un mattone nella costruzione del Regno il cui progetto di attuazione resta nascosto allŽuomo.Il Piano di Dio è sicuramente in divenire ma il come e il quando restano solo nelle mani del Creatore. "Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: "Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?". Ma egli rispose: "Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra (Atti 1, 6-8). La forza che ci viene donata è per essere in ogni situazione testimoni della resurrezione, della venuta dello Spirito, del Regno che è in divenire. Al resto ci pensa Dio.Una componente che richiede lunga e continua maturazione è il nostro rapporto con la ricchezza. Questo travaglio si compie su due piani: a livello comunitario e sociale e sul piano privato e personale. La Chiesa e i credenti non sono esenti da questo sofferto cammino. In una società opulenta il danaro ha un posto fondamentale e tende costantemente a farla da padrone. Egli impone le proprie logiche nelle già complicate dinamiche della vita sociale. Pensare che le paure e le aspirazioni create con la sua potenza si sarebbero arrese al "sogno" senza cercare rivincite è veramente utopico. LŽuomo, riempito di esigenze e di necessità, affascinato dalle lusinghe che la ricchezza offre, non può affrontare il futuro senza porre in essa la propria fiducia. LŽesperienza ci è maestra: essere ricchi vuole dire avere tutte le porte aperte, vuol dire poter comperare tutto spesso anche la verità. Nasce in noi unŽincoffessata fiducia nel potere del danaro che presto diviene totalizzante e che si fa "amore". La controprova di questo sentimento sta nel panico che ci prende al solo pensiero della possibilità di perdere i benefici che da esso ci derivano. E comprensibile allora che per non perdere uno e possedere anche lŽaltro si faccia il tentativo di conciliazione: il danaro serve a compiere lŽopera di Dio.LŽavvertimento di Gesù al riguardo è limpido: "Nessuno può servire a due padroni: o odierà lŽuno e amerà lŽaltro, o preferirà lŽuno e disprezzerà lŽaltro: non potete servire a Dio e a mammona" (Mt 6,24). Siamo tutti dŽaccordo nel considerare i beni in genere e il denaro in particolare come dono di Dio e quindi cose buone, ma ad una condizione essenziale che questi non prendano il sopravvento e ci impongano le loro regole. In una società dove il profitto è lŽunità di misura di ogni valore il rischio è grande. Le comunità cristiane mettono a repentaglio lo spirito evangelico. LŽinteresse invade ogni ambito compreso quello della fede. Un Santo Vescovo e Dottore della Chiesa sottolineò già nel IV secolo questo pericolo con una chiarezza che vale la pena ricordare con le sue stesse parole: "Noi dobbiamo ormai combattere un nemico insidioso, un nemico che ci lusinga, non ci ferisce la schiena, ci accarezza la pancia; non ci confisca i beni per darci la vita, ci arricchisce di danaro per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù chiamandoci al palazzo imperiale; non colpisce i fianchi, prende possesso del nostro cuore; non ci taglia la testa con la spada, ci uccide lŽanima con il danaro" (S. Ilario di Poitiers Vescovo e Dottore della Chiesa. Contra Costantium 5).Ci sono dei momenti nella vita in cui la realtà è molto vicina allŽ "Utopia". Tutto scorre perfettamente. LŽentusiasmo delle strategie si intreccia con lo spirito del Vangelo pregato, annunciato e condiviso. Tutto sembra rispondere alla liberazione dellŽuomo a partire dal più debole socialmente. Tutto trova corrispondenza nel sentire comune di una società in ricerca, che guarda allŽaltro con fiducia, che crede nei principi della propria fede e fidandosi di Dio si rende disponibile a farsi carico delle esigenze dellŽaltro anche se diverso.In altri momenti tutto attorno diviene silenzio e silenzio assordante. Si ha lŽimpressione che le paure abbiano preso il sopravvento su di noi e impongano le scelte di "prudenza". Non si comprende più perché ciò che, solo ieri, era speranza comune oggi viene etichettato con definizioni irridenti e con atteggiamenti emarginanti anche da chi ti era fratello e sostegno nella fatica di essere fedeli al "Sogno". In momenti come questi trova senso ed anima la preghiera del salmista: "Anche lŽamico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno" (Sal 41,10). "Se mi avesse insultato un nemico lŽavrei sopportato; sé fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa" (Sal 54,13-15).Questi sono i momenti in cui ogni certezza si cambia in dubbio: "Avremo sbagliato tutto? Ci saremo forse lasciati abbagliare da verità che non erano tali e che corrispondevano più a nostre recondite rivendicazioni che non alle esigenze del Regno? Eppure questa "utopia", creduta come evangelica, è stata lŽanima dellŽentusiastico impegno di tante persone, la speranza di tante disperazioni, la gioia di tante sofferenze. è così che si sente il bisogno di cercare conferme dai fatti della vita. Ci si rende attenti a tutto nella speranza di trovare segni che ci incoraggino a continuare a sognare. Il Papa che chiede più volte perdono a nome della Chiesa, che indica la santità presente in un popolo emarginato portando allŽonore degli altari un Kalò (Zingaro); un Vescovo che, nellŽanno del Grande Giubileo, h a prestato i suoi pantaloni ad uno Zingaro che li portava corti, per poter entrare a fare la visita giubilare nella basilica di S. Pietro. Questi e tanti altri piccoli e grandi gesti, scelte ed interventi compiuti da comunità di fede o da singoli individui dicono, agli amanti dellŽ "utopia" che si deve continuare a coltivare e concretamente lavorare per il "Sogno" della promessa di Dio.