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Missionarietà e mobilità umana nella sua evoluzione storico-giuridica e loro interconnessione


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/01


di Velasio De PaolisIl compito della Chiesa è primariamente di carattere pastorale. A livello generale, il suo compito pastorale, si esercita secondo due schemi fondamentali: il primo è quello della cura ordinaria dei fedeli, che mira alla salvaguardia ed alla crescita della fede di coloro che lŽhanno ricevuta con il battesimo. Il secondo si esprime nella proclamazione delle Buona Novella a coloro che non ne sono ancora a conoscenza. In campo migratorio la Chiesa usa lŽuno e lŽaltro schema.Le motivazioni della pastorale per i migrantiPer la Chiesa la migrazione non è un semplice fenomeno sociale ma una dimensione della sua fedeltà al dovere di evangelizzare. Le cause delle migrazioni sono varie, ma sempre vi risulta coinvolto lŽuomo in tutte le sue dimensioni, quella religiosa compresa. Trovare perciò la chiesa pienamente ed attivamente partecipe lungo il corso della sua storia, è del tutto naturale.LŽevangelizzazione, come, più in generale, il compito pastorale della Chiesa corre sempre su due linee direttrici: la promozione e lŽannuncio. Si tratta di due dimensioni che vanno continuamente riequilibrate per evitare che lŽuna fagociti lŽaltra. La situazione di povertà di precarietà in cui versano i migranti attualmente, spinge a privilegiare lŽaspetto promozionale. Pur ampiamente giustificata, tale accentuazione non può fare passare in secondo piano lŽaltra componente della pastorale: la proclamazione del Regno di Dio. LŽurgenza del fare non deve mortificare la proclamazione delle realtà superiori su cui punta la speranza cristiana.Per capire il senso della pastorale della migrazione è importante, certo, tenere conto delle singole disposizioni; ma ancora è più importante capire le motivazioni che ne sono allŽorigine. Quelle disposizioni sono delle risposte ad istanze emerse da situazioni storiche in cui i migranti sono venuti a trovarsi. Esse saranno meglio comprese se contestualizzate nella loro genesi storica.La pastorale migratoria, quale viene proposta dai documenti della Chiesa è una pastorale a geometria variabile: prevede soluzioni differenziate in rapporto alle condizioni della migrazione stessa. Il numero 12 della istruzione sulla pastorale dei migranti (De Pastorali Migratorum Cura) ne enumera alcune: "durata della migrazione, processo di integrazione (della prima o delle successive generazioni), le differenze culturali (di linguaggio e di rito) la forma del movimento migratorio, a seconda che si tratti di migrazione periodica, stabile o temporanea, di massa, di insediamenti geograficamente concentrati o sparsi. Considerate tali diversità di situazioni non può sfuggire a nessuno, quale sia lŽaspetto principale del servizio che la Chiesa deve offrire alle anime: quello di renderlo e mantenerlo continuamente adeguato alle vere necessità dei migranti".LŽimpegno della Chiesa si è fatto particolarmente forte verso la fine del secolo scorso, quando il fenomeno della mobilità umana ha assunto la consistenza di fenomeno di grandi proporzioni. Allora, dai paesi europei muovevano masse enormi di migranti cattolici verso paesi di oltre oceano. Per ragioni diverse tali cattolici venivano a trovarsi in una condizione di pericolo per la loro fede. Spesso, come nel caso dellŽAmerica del Sud, mancavano sacerdoti; altre volte non ricorrevano le condizioni per la pratica religiosa in quanto le strutture della chiesa cattolica risultavano molto deboli; altre ancora perché, ignari della lingua del posto, i migranti non erano in grado di avvalersi della cura pastorale religiosa che la gerarchia ecclesiastica predisponeva per i fedeli indigeni.Appariva chiaro che in queste condizioni, la migrazione per motivi economici costituiva, di fatto, un pericolo per la salvaguardia della fede. Il rischio destava preoccupazione per i pastori più attenti. Alcuni arrivavano addirittura a scoraggiare la migrazione. Altri, più avveduti e lungimiranti, avendo capito che il fenomeno, oltre ad essere una via al miglioramento economico e unŽutile occasione di arricchimento culturale, non poteva essere arrestato, cercarono di predisporre le forme di pastorale adeguata alla nuova situazione. Anzi, sulla scorta dellŽinsegnamento della storia e di unŽesperienza ininterrotta, videro nella migrazione una via per la stessa espansione della fede in altri paesi. Una visione che portava a vedere la migrazione inscritta nel disegno di Dio.La costituzione apostolica Exsul FamiliaIl succedersi delle ondate migratorie, appena interrotte dalle due guerre mondiali che hanno segnato la prima metà del secolo scorso, ma riprese con maggiore vigore al loro termine, radicavano la convinzione che il fenomeno migratorio sarebbe durato nel tempo. DallŽesperienza precedente la Chiesa trasse motivi di riflessione ed elaborò una pastorale ordinata e organica per lŽassistenza agli emigrati che emanò nella forma autorevole di Costituzione Apostolica, chiamata, dalle parole iniziali, Exsul Familia Nazarethana. Vi venivano stabiliti i principi che, in seguito, avrebbero avuto grande sviluppo. In particolare si affermava il principio che da parte della Chiesa, si deve offrire ai migranti la stessa cura ed assistenza pastorale di cui godono i cristiani indigeni. Da qui il naturale passaggio alla necessità dellŽassistenza mediante un sacerdote della stessa lingua del migrante. Il migrante, infatti, proprio per la sua situazione personale non è in grado di avvalersi di quelle istituzioni che la chiesa normalmente prevede per la cura pastorale dei suoi fedeli, ossia delle parrocchie e dei sacerdoti che le reggono, proprio perché non possiedono la lingua del migrante. Ne segue la disposizione data ai vescovi di costituire parrocchie o istituzioni analoghe per i migranti cattolici nelle quali la pastorale viene affidata a sacerdoti della loro lingua.Le direttive vengono documentate e avvalorate da riferimenti alla storia e allŽesperienza della Chiesa, che considera lŽesperienza del passato come normativa per il futuro, particolarmente per quanto riguarda il principio del sacerdote della stessa lingua e della parrocchia personale.La pastorale configurata dalla Exsul Familia non ha altro scopo che quello di adattare alla situazione del migrante cattolico la struttura della pastorale ordinaria che la Chiesa prevede per la preservazione e la crescita della fede dei fedeli. Essa è al di fuori dalla prospettiva propriamente missionaria, ossia della conversione degli indigeni al cristianesimo in vista della "implantatio ecclesiae" nei loro paesi, anche se non si astiene dallŽadottare istituzioni tratte anche dallŽesperienza missionaria, della "missio cum cura animarum", le cui origini sono da rinvenire nellŽesperienza della Congregazione De propaganda fide, dalla cui competenza, del resto, dipendevano allora le Americhe, verso cui si dirigevano i flussi più intensi delle migrazioni.Il Concilio Vaticano IIQuesta impostazione della pastorale dei migranti rimane sostanzialmente uguale fino al Concilio Vaticano II. Questo consesso straordinario tratta degli emigrati sotto diversi aspetti e in diversi documenti; lŽargomento dellŽassistenza pastorale si concentra al n. 18 del decreto sullŽUfficio dei Vescovi, Christus Dominus. Il quadro delle migrazioni appare sotto un profilo sociologico con motivazioni e, quindi, con denominazioni diverse, (profughi, esuli, studenti esteri ecc.): tuttavia, da un punto di vista pastorale, tali gruppi vengono accomunati tutti nellŽunica categoria di persone che, in quanto residenti fuori dalla loro patria, non possono avvalersi della cura pastorale ordinaria. Occorre dunque una pastorale integrata di alcune particolarità che lŽadattino alla cultura e sensibilità di quel determinato gruppo di migranti e che, per questo, si chiama specifica.Il Motu proprio Pastorali migratorum cura elŽIstruzione De Pastoralis migratorum curaLe direttive del Concilio Vaticano II furono attuate, qualche anno dopo, nel 1969, mediante il motu proprio Pastoralis migratorum cura di Paolo VI e lŽIstruzione De Pastorali migratorum cura della Congregazione per i Vescovi. LŽintera materia della pastorale per i migranti viene rimeditata e riorganizzata, in base anche agli atti del Concilio. I Padri conciliari, infatti, non ritenendo opportuno scendere a determinare norme eccessivamente dettagliate, che avrebbero assorbito eccessivo spazio e tempo, affidarono agli atti conciliari non pochi suggerimenti, con la raccomandazione di prenderli in considerazione quando si fosse passati alla rielaborazione dellŽintera materia. Seguendo questa linea, lŽIstruzione integra le direttive conciliari con elementi di grande interesse. Ricordiamo, per esempio, il concetto di migrante da un punto di vista pastorale: è il fedele che, trovandosi a dimorare fuori della propria patria o nazione ha bisogno di una cura pastorale specifica attraverso un sacerdote della stessa lingua non essendo nella condizione di avvalersi della cura pastorale ordinaria (Cf. DPMC, n. 15).Una pastorale ordinariaLa pastorale per i migranti si modella su quella ordinaria dei fedeli, in quanto deve consistere nellŽoffrire ad essi la stessa assistenza di cui usufruiscono gli indigeni, ma adattata alla situazione del migrante. Il principio viene inserito in una riflessione di vasta portata. Non è più la visione contingente della fede in pericolo, che giustifica tale pastorale, ma, positivamente, il diritto al rispetto del proprio patrimonio culturale, che si impone anche nella cura pastorale. Questo diritto viene visto in più ampio contesto di diritti di cui il migrante è titolare anche in quanto uomo; soprattutto viene visto nel contesto di una ecclesiologia che apre la Chiesa particolare al respiro della Cattolicità. In questa prospettiva viene a cadere anche il limite, posto dalla Exsul familia, dellŽassistenza pastorale fino alla terza generazione, e viene affermato il diritto allŽassistenza ai migranti fino a che ne sussiste un reale bisogno. LŽapertura di una tale prospettiva porta ad amplificare anche il quadro delle strutture di assistenza e a precisarne i criteri di impiego; si va dalla parrocchia personale fino alla figura del semplice cappellano.La responsabilità riconosciuta al vescovo diocesano ed alla conferenza episcopale accresce nei singoli ordinari lo stimolo a farsi carico dei migranti. La prospettiva rimane sempre quella di una pastorale per i fedeli cattolici, che, con una pastorale di emergenza, devono essere aiutati nel loro cammino di inserimento nella Chiesa locale, da effettuarsi quando siano in grado di avvalersi del ministero ordinario dei sacerdoti nelle parrocchie territoriali.Le direttive del codice del 1983Questi principi sono stati accolti, per la prima volta, nellŽattuale ordinamento canonico della Chiesa. Ed è chiaro che lŽinserimento della pastorale per i migranti in quella ordinaria dellŽordinamento canonico conferisce ad essa un peso di grande rilievo.Più che nella lettera dei singoli canoni, che pure sono numerosi e rilevanti, lŽinteresse del nuovo codice per la pastorale della mobilità umana, va ricercato proprio nellŽecclesiologia del Vaticano II, del quale "il codice", secondo lŽaffermazione di Giovanni Paolo II, è lŽultimo documento. Lo stesso Sommo Pontefice ci dice inoltre che il codice "in un certo senso potrebbe intendersi come un grande sforzo per tradurre in linguaggio canonico questa stessa dottrina cioè lŽecclesiologia conciliare".Su queste fonti si fonda sostanzialmente la cura pastorale dei migranti, cioè lŽattività mediante la quale la Chiesa continua la missione che Cristo le ha affidato nel mondo delle migrazioni. EŽ unŽattività ordinata ed istituzionalizzata che si svolge non nei confronti del fedele, considerato come singolo, ma del fedele in quanto inserito in una comunità. Da un punto di vista pastorale, quando si parla del migrante perciò ci si riferisce sempre ad una comunità di migranti per i quali la Chiesa organizza e svolge la sua attività pastorale.Una pastorale transitoriaLa cura pastorale per i migranti è per natura sua provvisoria e transitoria anche se la legge non stabilisce in modo perentorio nessun termine per la sua cessazione. La struttura organizzativa pastorale non è sostitutiva, ma cumulativa con quella parrocchiale territoriale, in quanto la chiesa prevede che prima o dopo cessi il motivo che ha dato origine a tale pastorale. EŽ per questo che non si conoscono nella chiesa istituzioni di carattere pastorale che assurgono a livello di struttura diocesana. La lingua e la cultura, pur essendo un motivo fondamentale che dà ragione della pastorale specifica, non ha valore in sé, ma svolge la funzione di veicolo della fede e di aiuto alla sua crescita. La pastorale per i migranti non nasce come strumento per conservare la cultura o la lingua di un popolo; solo prende atto che una determinata comunità ha una lingua e una cultura ed esercita la sua attività spirituale salvifica attraverso di essa o nel rispetto di essa. LŽattività pastorale non viene svolta per tenere in piedi una comunità linguistica o culturale. Non rientra negli scopi e nella finalità della Chiesa.Una pastorale specificaLŽunificazione della pastorale delle componenti della mobilità umana sotto un unico dicastero, se da una parte ha conferito maggiore rilevanza al fenomeno della stessa mobilità umana, dallŽaltra può concorrere ad indebolire la specificità della pastorale delle migrazioni. I Padri Conciliari hanno insistito sulla pastorale specifica delle migrazioni a differenza di quella di altri fenomeni della mobilità umana in generale. I due termini che rientrano nella denominazione del dicastero cui è demandato il compito della pastorale della mobilità umana sono i migranti e gli itineranti. LŽelemento che differenzia i due gruppi sono da una parte il "dimorare" allŽestero (Cfr. n. 15 DPMC: per i migranti nel senso tradizionale, per i rifugiati, e gli studenti esteri), e dallŽaltra lo spostamento continuo richiesto da scelte culturali o imposto da esigenze professionali (nomadi, marittimi, aereonaviganti, camionisti, turisti ecc. ).Le motivazioni della specificità della pastorale delle migrazioni sono diverse e più pertinenti di quelle relative ad altri fenomeni della mobilità. Va tenuto presente che quella dei migranti non è una categoria da paragonarsi a quelle per le quali le parrocchie organizzano una pastorale particolare, quali, per esempio, i giovani, le persone sposate, gli operai, gli impiegati ecc. Questi gruppi, da un punto di vista culturale e linguistico, sono parte integrante della comunità locale, mentre i migranti, da quello stesso punto di vista, pur appartenendo territorialmente ad una comunità locale, costituiscono anche una comunità a sé, in base al fattore culturale e linguistico. Da qui la necessità di una pastorale fondata su elementi propri. Quelli in particolare che riguardano il rispetto del patrimonio culturale, la necessità di un sacerdote della propria lingua e, naturalmente, lŽesigenza di strutture specifiche permanenti tipiche della pastorale dei migranti. Per conservare poi la caratteristica propria di pastorale specifica, essa deve essere una cura dŽanima stabile, permanente e comunitaria. Là dove mancassero questi elementi non si potrebbe parlare propriamente di una pastorale per i migranti uguale a quella di cui godono gli indigeni.Questa forma di attività pastorale ha risposto alle esigenze profonde della comunità cristiana ed ha aiutato tante persone a conservare e a crescere nella fede. La storia è lì a dimostrare che là dove i fedeli cattolici sono stati accompagnati nel loro trapianto in altri paesi, non solo hanno conservato la fede ma hanno trovato un terreno fertile per approfondirla, personalizzarla e per testimoniarla con la vita. Hanno dato origine addirittura a nuove Chiese. "Spesso allŽorigine di comunità cristiane oggi fiorenti troviamo piccole colonie di migranti che sotto la guida di un sacerdote si radunavano in modeste chiese per ascoltare la parola di Dio e Chiedere a Lui coraggio di affrontare le prove e il sacrificio dalla loro dura condizione" (Messaggio 1990).Pastorale per i migranti ed evangelizzazioneMa nel campo migratorio la Chiesa ha esercitato anche lŽattività evangelizzatrice. Le migrazioni, quale veicolo di annuncio del messaggio cristiano, hanno rappresentato una costante nella storia della Chiesa e dellŽevangelizzazione di interi paesi. LŽattività evangelizzatrice può esercitarsi attraverso un duplice movimento: quello di avvicinamento della Chiesa alla missione quando il vangelo è portato ai non cristiani nei loro paesi, ma anche quello di avvicinamento della missione alla Chiesa quando sono i non cristiani che entrano in contatto con la Chiesa. Le migrazioni consentono alla Chiesa di svolgere il suo dovere di evangelizzare sia nellŽuno che nellŽaltro senso. La Chiesa (i migranti cristiani) che va alla missione. I migranti cattolici che si fanno veicolo di fede presso i non cristiani assumono di fatto il ruolo della Chiesa che va alla missione. "Il compito di annunciare la parola di Dio affidata da Gesù alla chiesa si è intrecciato fin dallŽinizio con la storia dellŽemigrazione dei cristiani" (Messaggio 1997 n 2).Oggi però il quadro delle migrazioni va cambiando radicalmente. Mentre da una parte diminuiscono i flussi di migranti cattolici, dallŽaltra aumentano quelli dei migranti non cristiani che vanno a stabilirsi in paesi a maggioranza cattolica.La missione (migranti non cristiani) che va alla ChiesaGli immigrati non cristiani che vanno nei paesi di tradizione cristiana costituiscono un caso esemplare della missione che va alla Chiesa. Ed è su questo versante dellŽevangelizzazione degli immigrati non cristiani che la situazione storica oggi impone una riflessione.Anche al riguardo la Chiesa ha registrato esperienze positive. Ricordiamo quanto il Papa affermava nel Messaggio della Giornata del migrante 1990: "A causa delle migrazioni popoli estranei al messaggio cristiano hanno conosciuto ed apprezzato e spesso abbracciato la fede, grazie alla mediazione dei loro stessi migranti, che dopo avere ricevuto il vangelo delle popolazioni presso le quali erano stati accolti, se ne sono fatti portatori al loro ritorno nel paese di origine". Il caso del Giappone merita di essere raccontato. Dal 1551, quando S. Francesco Saverio approdò in Giappone, fino a qualche decennio fa, la comunità cattolica di quel paese, nonostante le grandi risorse economiche e umane prodigate, stentava a superare le 200.000 unità. In questo ultimo decennio si è raddoppiata grazie al ritorno in Patria di 200.000 giapponesi che avevano abbracciato la fede cattolica in Brasile dove erano partiti come emigrati allŽinizio del secolo scorso ed alla fine della seconda guerra mondiale. Da precisare che questi giapponesi diventati cattolici sono stati ammessi non come immigrati generici (lŽimmigrazione è proibita) ma in quanto persone di origine giapponese.La pastorale dei migranti riguarda la vita delle singole diocesi sotto la responsabilità dei vescovi. Per questo al Concilio le questioni ad essa attinenti furono assegnate alla commissione sui vescovi e il governo delle diocesi (De Episcopis et de dioeceseon Regimine). E il diritto canonico, nel descrivere lŽufficio pastorale del vescovo nella sua triplice dimensione profetica, sacerdotale e regale, non manca di sottolineare che è suo compito esprimere la cattolicità della chiesa, considerando "affidati a sé nel Signore i non battezzati, affinché risplenda anche per loro la carità di Cristo, di cui il vescovo deve essere testimone di fronte a tutti" (Can. 383, § 4).Di uguale preoccupazione risente il Canone 771, § 1, quando parla della sollecitudine che i pastori dŽanime, "soprattutto i Vescovi e parroci", debbono avere affinché "la parola di Dio venga annunciata anche a quei fedeli, i quali per la loro condizione di vita non usufruiscono a sufficienza della comune e ordinaria cura pastorale o ne sono totalmente privi". EŽ un discorso generale, questo, che va inserito, in una visione più ampia del ministero pastorale della Chiesa. Il § 2 dello stesso can. 771 lo evidenzia: "Essi provvedano pure che lŽannuncio del vangelo giunga ai non credenti che vivono nel territorio dal momento che la cura pastorale delle anime deve comprendere anche loro, non altrimenti che i fedeli".I sacerdoti addetti alla cura di anime dei migranti sono missionariLŽistruzione De Pastorali migratorum cura chiama "Cappellani o Missionari" i sacerdoti che hanno ricevuto dal vescovo lŽincarico di esercitare la cura pastorale per i migranti. Di fatto nella pratica prevale la parola missionario. Nel linguaggio tecnico questa parola si coniuga con le iniziative con cui i divulgatori del vangelo, andando nel mondo intero, svolgono il compito di predicarlo in mezzo ai popoli e ai gruppi umani che ancora non conoscono Cristo (Ad Gentes, n. 6). Lo stesso documento però riconosce che il compito missionario è uno ed immutabile in ogni luogo anche se in base al variare delle circostanze non si applica allo stesso modo. Le differenze non nascono quindi dalla natura intrinseca della missione, ma solo dalle circostanze in cui questa si esplica. Di fatto la parola missionario sembra meglio applicarsi allŽattività che i sacerdoti svolgono tra i migranti. Infatti il modo concreto con cui si svolge la loro missione è profondamente segnato dalla realtà missionaria.LŽEnciclica Redemptoris MissioLŽEnciclica Redemptoris Missio, datata 7 dicembre 1990, presenta al riguardo un messaggio chiaro. Parlando, nella seconda parte, degli immensi orizzonti della missione ad "Gentes" e dei fenomeni sociali da evangelizzare (le grandi città, dove sorgono costumi e modelli di vita nuovi; i giovani che in numerosi paesi sono più della metà della popolazione) mette in evidenza quello dei migranti non cristiani che giungono assai numerosi nei Paesi di antica Cristianità, creando occasioni nuove di contatti e scambi culturali e sollecitando la Chiesa allŽaccoglienza al dialogo allŽaiuto e in una parola alla fraternità. "La Chiesa deve assumerli nellŽambito della sua sollecitudine apostolica" (Redemptoris Missio, n. 37 b). Nel n. 82 della Redemptoris Missio, con riferimento agli immigrati, si rileva che la "presenza di questi fratelli (gli immigrati non cristiani) in paesi di antica cristianità è una sfida per le comunità ecclesiali, stimolandole allŽaccoglienza al dialogo, al servizio alla condivisione, alla testimonianza ed allŽannuncio diretto. In pratica anche in questi Paesi i cristiani si formano gruppi umani e culturali che richiamano la missione ad gentes".Il fenomeno dellŽimmigrazione continua ad attivare nella chiesa la carità per quanto riguarda lŽaccoglienza e la ricerca del lavoro o dellŽalloggio. EŽ il primo passo naturale e indispensabile, molto simile, del resto, a quello che molti missionari compiono in terra di missione, occupandosi degli ammalati, dei poveri, degli analfabeti. Che è poi lo stile seguito dal Signore che, secondo gli Atti degli Apostoli, introduce lŽattività missionaria ponendo dei fatti da cui fa scaturire lŽinsegnamento (At. 1,1). Le molteplici guarigioni dimostrano certo la sua grande compassione di fronte alle miserie umane. Nella prospettiva del Signore in esse è implicito il segno di salvezza spirituale. Compiendo quei gesti Gesù invita alla fede, alla conversione, al desiderio di perdono. Lo stesso stile seguono gli apostoli che, ritornando dalla missione, raccontano al Signore quello che avevano fatto ed insegnato (Mc, 6, 30).Per il credente, lŽannuncio di Gesù è il primo atto di carità verso lŽuomo, al di là di qualsiasi gesto di pur generosa solidarietà. "LŽevangelizzazione costituisce il primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascuno uomo ed allŽintera umanità" (RM, 1). LŽesortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, n. 22, da parte sua afferma "non cŽè vera evangelizzazione, se il nome, lŽinsegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazareth, figlio di Dio, non siano proclamati".Non possiamo dimenticare quanto osserva Il Santo Padre nel messaggio 1997: "LŽimpegno della chiesa per i migranti non può ridursi ad organizzare semplicemente strutture di accoglienza e di solidarietà. Questo atteggiamento mortificherebbe le ricchezze della vocazione ecclesiale, chiamata in primo luogo a trasmettere la fede".Possiamo allora intendere bene ciò che insegna il Papa nella Redemptoris Missio, quando afferma che "Cristo è il compimento dellŽanelito di tutte le religioni del mondo e per ciò stesso ne sono lŽunico e definitivo approdo" (N. 6).Nel messaggio della giornata della Pace 2001 leggiamo questa annotazione: "Nella prospettiva poi del dialogo tra le culture, non si può impedire allŽuno di proporre allŽaltro i valori in cui crede, purché ciò avvenga in modo rispettoso della libertà e della coscienza delle persone. La verità non si impone che in forza della verità stessa, la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore".Tra i valori in cui si crede va annoverata la religione. Va proposta senza arroganza ma anche senza complessi. Nella parabola del Seminatore, Gesù dice che questi "uscì" e non si dice che sia mai rientrato. Continua a buttare il seme senza sapere in antecedenza quanto di esso cadrà sul terreno buono e quanto in quello infruttuoso. Il lavoro della semina non deve essere calcolato, cauto, previdente, ma generoso ed abbondante, senza scegliere i terreni e gettare i semi in alcuni sì ed in altri no.