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Gli Orientamenti Pastorali della CEI e Le Migrazioni
Nel documento della CEI quale posto per i migranti?

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/01


di Bruno MioliLa domanda prende contorni più precisi se dal sottotitolo passiamo al titolo dellŽimportante documento: "Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia". Anzitutto va detto che sono proprio i migranti il più eloquente e visibile emblema di un mondo in cambiamento e non solo per la loro mobilità geografica. Ma ciò che preme sottolineare è che i migranti, in una Chiesa che è aperta alla voce dello Spirito, sono allo stesso tempo protagonisti e destinatari privilegiati di fondamentali valori evangelici e dellŽannuncio stesso del Vangelo.Il Santo Padre, la domenica del 20 maggio scorso, salutando i 170 partecipanti alla due giorni con i cattolici albanesi in Italia, ha usato parole che non sono di semplice circostanza: "Un saluto particolare ai partecipanti al convegno Diamo voce ai cattolici albanesi in Italia", promosso dalla Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana. Possa questo incontro nazionale dare un valido impulso al servizio pastorale per i cattolici albanesi, affinché essi siano bene inseriti nella comunità ecclesiale. La Chiesa, infatti, è casa e scuola di comunione e in essa nessuno è straniero".Quattro spunti brevissimi, ma sufficienti per farci spaziare su un orizzonte molto vasto. Primo spunto: lŽauspicio del Papa che il servizio pastorale specifico per i migranti prenda "un valido impulso" anche nel caso degli albanesi. Secondo: grazie a questo servizio, i cattolici albanesi, come tutti gli altri immigrati che ci sono fratelli nella fede, non vengano isolati, ma "siano bene inseriti nella comunità ecclesiale", un obiettivo questo che ha costituito nel giugno scorso il tema della 51a Settimana Nazionale di Aggiornamento Pastorale del COP: "Gli immigrati interpellano la comunità cristiana". Terzo spunto: "la Chiesa, casa e scuola di comunione" e pertanto di autentica integrazione nel caso dei migranti: parole che ritroveremo nella conclusione di Orientamenti pastorali, dove viene citata la "Novo millennio ineunte" (n. 5). Di conseguenza, e questo è il quarto spunto, "in essa - cioè nella Chiesa - nessuno è straniero", affermazione tanto cara al Santo Padre, a più riprese da lui ripetuta dopo che lŽha enunciata in forma solenne nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Migrazioni del 1996. Piace trovare una significativa variante di questa formula anche nel testo che stiamo analizzando, là dove si dice: "Il viandante, lo straniero non sono cittadini qualunque nella Chiesa".La citazione appena riportata è tratta da uno dei cinque passi di Orientamenti, che nel secondo capitolo per cinque volte ci mettono di fronte ai migranti e alle migrazioni. Sono apprezzabili questi riferimenti espliciti, ancora più apprezzabile è lŽimpostazione generale del discorso: ci sembra infatti che il migrante (e chi per missione ne condivide "le angosce e i dolori, le gioie e le speranze") nel leggere questi testi vi si trovi a suo agio, percepisca che si parla anche di lui non soltanto in modo generico in quanto anche lui è un cristiano o almeno un essere umano come gli altri, ma proprio perché rientra nella categoria specifica della mobilità umana.Ci torneremo su questo capitolo secondo, per constatare con soddisfazione che il migrante non sfugge allŽattenzione della Chiesa italiana, ma prima ci domandiamo: il capitolo primo, quello che invita a "tenere lo sguardo fisso su Gesù, lŽinviato del Padre", ha anchŽesso qualcosa di particolare da dire al migrante, può anchŽesso in certo senso essere letto in chiave migratoria o… porta troppo in alto, così da sorvolare sulle povere vicende umane? Diciamo che questa attesa non rimane delusa.Nel primo capitolo infatti fin dallŽinizio (n. 12) si afferma, con richiamo a S. Paolo, che Cristo ricapitola in sé tutte le cose ed in particolare tutte le vicende umane. Non si fa nessuna forzatura alla Parola di Dio se diciamo che fra queste vicende hanno una forte sottolineatura quelle migratorie. Gesù viene presentato come lŽinviato dal Padre (n. 11), colui che, uscito dal Padre e venuto nel mondo, di nuovo lascia il mondo per tornare al Padre (cf. Gv 16,28); in altre parole il mistero dellŽincarnazione viene presentato entro il quadro di una grande avventura migratoria. E altrettanto il mistero della redenzione: un grande "esodo" che ricapitola lŽesperienza fondamentale dellŽantico popolo dellŽAlleanza. è importante sottolineare che non solo Giovanni dà ai fatti pasquali questo significato globale di esodo (cf. n. 23), ma anche Luca (9,31); in Matteo poi questa ricapitolazione in Cristo dellŽEsodo antico si fa esplicita nel racconto e nella interpretazione della fuga di Gesù in Egitto e del suo rientro dalla terra dove si erano rifugiati gli antichi padri.In questo episodio dellŽinfanzia, come pure in quello del rifiuto dellŽospitalità, che ha costretto il figlio di Dio a nascere fuori casa e fuori patria in una stalla, comincia ad avere drammatico riscontro lŽesperienza più amara del migrante, quella della non accoglienza che diventa anche rifiuto e violenta intolleranza, per cui opportunamente si cita al n. 13 la constatazione fatta da Giovanni (1,11): "Venne tra la sua gente, ma i suoi non lŽhanno accolto". Chi ha provato sulla sua pelle qualcosa di simile, ben comprende quanto sia vero che "Egli ha condiviso in tutto la nostra condizione umana" (cf. Eb 4,15 e Preghiera eucaristica IV) e che, in Cristo, Dio stesso "si è comunicato e si comunica mediante una profonda condivisione dellŽesperienza umana (n. 14).Naturalmente tutto ciò si è verificato nella forma più tragica nellŽora della passione (nn. 22-23), ma è stato sperimentato più volte da Gesù pure durante "il ministero pubblico" (cf. n. 18), cioè in quella fase itinerante della sua vita nella quale lui, Figlio dellŽuomo, non aveva una pietra dove posare il capo (cf Mt 8,20) e veniva allontanato dai villaggi, compresa la sua Nazareth (cf Lc 4,29). Però fin dallŽinizio della sua vita pubblica, si legge al n. 20, Gesù fa risuonare "la buona notizia per i poveri, i prigionieri, gli oppressi…, proclama e inaugura lŽanno di grazia del Signore, annuncia che saranno i piccoli e gli umili a regnare" (cf. Lc 4,14-21; Mt 5,3-12). Una pagina in cui tanti emigrati non faticano a riconoscersi.Questo Gesù che "è passato facendo del bene", ha accolto con affetto e gratitudine le attenzioni verso di sé, in particolare lŽospitalità, tanto che "le pagine evangeliche sulla casa di Betania sono tra le più affascinanti di tutta la Scrittura" (n. 21). Sappiamo bene che lŽaccoglienza ospitale da lui ricevuta durante la sua vita terrena si prolunga nella storia perché è ancora lui che si accoglie quanto si apre la porta e le braccia al fratello: "Chi accoglie voi, accoglie me" (Mt 10,40) e "chi accoglie uno di questi piccoli nel mio nome, accoglie me" (Mc 9,37). E alla fine della storia sullŽaccoglienza si baserà la sentenza definitiva del Giudice: "Venite, benedetti dal Padre mio… perché ero forestiero e mi avete ospitato - via, maledetti… perché non mi avete ospitato" (Mt 25,35ss). Molto opportunamente in Orientamenti pastorali viene citato S. Giovanni della Croce: "Alla sera della vita, saremo giudicati sullŽamore" (n. 30).Si potrebbe proseguire in questa lettura "sapienziale" (non sembri presuntuoso il termine), sulla scorta di altri documenti della Chiesa, anche nellŽinoltrarci ora nel secondo dei due capitoli che costituiscono il corpo degli Orientamenti pastorali. Non sarebbe difficile o forzato anche qui leggere il discorso generale, valido per ogni individuo e ogni situazione, in chiave migratoria, facendoci scorrere davanti in primo piano il vasto e complesso mondo delle migrazioni. Ma in questo capitolo il compito è facilitato dal fatto che per cinque volte, come si è già detto, il tema migratorio ricorre in modo esplicito.Sia qui consentita una digressione: quando la Migrantes ebbe tra le mani la prima bozza del documento, subito rilevò che alle migrazioni non si faceva nessun esplicito riferimento, mentre nei precedenti Orientamenti pastorali per gli anni Ž90, Evangelizzazione e testimonianza della carità, per sei volte vi si ritornava in forma molto puntuale e incisiva. Dal momento che il comitato di redazione del nuovo documento ecclesiale aveva sollecitato i vari organismi della CEI a dare suggerimenti e contributi per la stesura definitiva, la Migrantes si fece premura di inviare un ampio esposto con indicazione dei punti precisi del testo dove sembrava possibile e opportuno richiamare in modo più o meno esplicito il tema delle migrazioni. Pare non sia stata una fatica sprecata e la Migrantes lo rileva con una certa compiacenza.Veniamo ora a presentare questi passi dove alle migrazioni si fa almeno un rapido accenno, di cui si comprenderà tutta la portata se il breve testo viene collocato nel suo più ampio contesto.Partiamo dal testo che ricorre per ultimo, quasi alla fine del documento, perché il discorso qui sviluppato si aggancia agli Orientamenti pastorali per gli anni Ž90, sopra citati, le cui "istanze… mantengono tuttŽintera la loro validità", quindi anche le sei istanze ivi contenute, relative al fenomeno migratorio. Qui si parla dei "cristiani…chiamati a farsi prossimi agli uomini e alle donne che vivono situazioni di frontiera:… i poveri, gli immigrati, le tante persone che faticano a trovare ragioni per vivere e sono sullŽorlo della disperazione". Può essere equivoco per non dire fuorviante accostare, come si fa qui, immigrati e poveri, quasi che sia oggi che in prospettiva i due termini dovessero coincidere ed essere interscambiabili. Diciamo decisamente di no, anche per quanto riguarda la situazione italiana: non tutti gli immigrati oggi presenti in Italia sono in condizione di miseria e nemmeno di povertà, non tutti quelli che oggi stanno lottando per uscire dalla precarietà e dalla dipendenza domani saranno ancora in questo stadio. Però non si deve neppure chiudere gli occhi di fronte alla realtà e non vedere che la spinta ad emigrare, oggi, è la povertà talora estrema, e che questa condizione accompagna spesso il migrante, anche dopo il primo impatto col nuovo ambiente, per lungo tempo, per troppo tempo.Perciò va colto di buon grado lŽinvito che conclude il paragrafo: "Ai credenti è chiesto di prendere a cuore tutte queste forme, nuove e antiche, di povertà e a inventare nuove forme di solidarietà e di condivisione". E viene citata la parola audace della Novo Millennio Ineunte, n. 6: "è lŽora di una nuova fantasia della carità".DallŽultima citazione alla prima: le migrazioni non sono solo povertà e problema, sono pure risorsa; anzi soprattutto risorsa sotto lŽaspetto, oltre che economico e demografico, anche culturale: "I grandi movimenti migratori accentuano la condizione di multiculturalità, nel duplice versante di risorsa e di problema". Il duplice versante è stato brillantemente ed ampiamente illustrato dal S. Padre nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di questŽanno. Guai a dimenticare la possibile ambivalenza del pluralismo culturale. LŽaspetto problematico o decisamente negativo si riscontra "quando il desiderio dellŽincontro con lŽaltro si traduce in passivo adeguamento alla massificazione o quando la scoperta della ricchezza dellŽincontro tra culture diverse scade a indifferentismo verso la verità". Ma questo pericolo (chiaramente evitabile, non è infatti una fatalità) non deve mettere in secondo ordine i fermenti positivi dellŽincontro multiculturale, perché "questi fermenti possono essere estremamente fecondi se si saprà coniugare ricerca dellŽautenticità e accettazione dellŽalterità". è unŽoperazione che non scatta automaticamente, esige preparazione, pazienza, costanza nel reiterare i tentativi ed è da mettere in conto anche una certa sofferenza iniziale per la difficoltà di intendersi, di armonizzare le diversità e gli immancabili insuccessi. Insomma il bene in gioco è molto alto, ma cŽè un prezzo da pagare.Questo prezzo può dare pretesto ad atteggiamenti di emarginazione e di sfruttamento verso lŽimmigrato, come la secolare esperienza emigratoria degli italiani documenta abbondantemente. Talora a spingere in questa direzione di intolleranza e di sopraffazione intervengono anche fattori politici o ideologici. I vescovi parlano chiaro: "Il cristianesimo non può accettare… la logica del più forte, lŽidea che la presenza dei poveri, sfruttati e umiliati sia frutto dellŽinesorabile fluire della storia… Su questo punto il cristianesimo non può scendere affatto a compromessi: il povero, il viandante, lo straniero non sono cittadini qualunque per la Chiesa"."La logica del più forte" va sostituita dalla logica del "farsi prossimo": unŽimpresa ardua perché non riguarda soltanto singoli individui ma una mentalità comune, dentro e fuori la Chiesa, e quando questa diventa dominante o almeno tale da condizionare gli orientamenti politici, può trasformarsi in legge dello Stato. Orientamenti pastorali ne prendono atto: "è indubbio che, nella mentalità comune e di conseguenza nella legislazione, si diffondono su diversi argomenti prese di posizione lontane dal Vangelo e in netto contrasto con la tradizione cristiana". Questo avviene in "questioni assai delicate come i problemi… dellŽeconomia e delle migrazioni dei popoli". Questioni che vanno affrontate non soltanto in termini di carità "facendosi prossimo", ma in termini di giustizia con una adeguata legislazione; o, in altri termini, facendosi prossimo non soltanto chinandosi a medicare il malcapitato, ma dandosi da fare perché la strada da Gerusalemme a Gerico diventi più sicura.Guardando al caso italiano, anche la Migrantes ha in più occasioni riconosciuto che la nuova legge sullŽimmigrazione, la n. 40 del 1998, pur avendo diverse pecche e lacune, regge su un impianto generale solidamente valido e che pertanto sarebbe doveroso, per chi intende soppiantarla con altra legge, dire apertamente che cosa in concreto egli vuole raggiungere e perché tale obiettivo non è raggiungibile con una più coerente applicazione ed eventuale correzione di quella vigente. Il cambiare per cambiare disorienta, è disservizio, rischia di ridursi a un buco nellŽacqua. Più che inventare una nuova legge sullŽimmigrazione, ci si affretti ad approvare la legge sui rifugiati e richiedenti asilo che ancora manca: per questa carenza i drammi si moltiplicano e lŽItalia si va accumulando pesanti responsabilità anche di fronte allŽUE e alla società internazionale. Coerenza cristiana spinge singoli e gruppi a fare la propria parte perché questa grave lacuna legislativa venga colmata.Al n. 58 si torna a parlare di "terreni di frontiera", ma questa volta in termini positivi, anzi portando il discorso allŽapice della missione della Chiesa, che è lŽevangelizzazione; e le migrazioni ci vengono presentate appunto come areopago di evangelizzazione. Il testo questa volta è piuttosto ampio: "Occorre inoltre tener presente che ormai la nostra società si configura sempre di più come multietnica e multireligiosa. Dobbiamo affrontare un capitolo sostanzialmente inedito del compito missionario: quello dellŽevangelizzazione di persone condotte tra noi dalle migrazioni in atto. Ci è chiesto in un certo senso di compiere la missione ad gentes qui nelle nostre terre. Seppur con molto rispetto e attenzione per le loro tradizioni e culture, dobbiamo essere capaci di testimoniare il Vangelo anche a loro e, se piace al Signore ed essi lo desiderano, annunciare loro la parola di Dio, in modo che li raggiunga la benedizione di Dio promessa ad Abramo per tutte le genti" (cf. Gen 12,3).Per cogliere tutta la ricchezza di questo passo, cominciamo a porre attenzione a quellŽiniziale "inoltre", che ci rimanda al paragrafo precedente: lì si parla di "forme di dialogo e di incontro con tutti coloro che non sono partecipi degli ordinari cammini della pastorale": tali sono, in via generale, tutti i migranti, anche coloro che sono cattolici o cristiani, almeno per il fatto di provenire da nazioni a maggioranza cattolica e di aver ricevuto da piccoli il battesimo: "Qui si incontrano battezzati da risvegliare alla fede, ma anche sempre più numerosi uomini e donne, giovani e fanciulli non battezzati… Diventa difficile stabilire i confini tra impegno di rivitalizzazione della speranza e della fede in coloro che, pur battezzati, vivono lontani dalla Chiesa, e vero e proprio primo annuncio del Vangelo. Su questi terreni di frontiera va incoraggiata lŽopera di associazioni e movimenti che si spendono sul versante del Vangelo".Qui troviamo, da una parte, la giustificazione della "pastorale specifica" verso i migranti "che non sono partecipi degli ordinari cammini della pastorale" e, dallŽaltra, un appello a quanti, già adulti nella fede, sono in grado di cogliere "nella vita quotidiana, nel contatto giornaliero nei luoghi di lavoro e di vita sociale" le varie "occasioni di testimonianza e di comunicazione del Vangelo". Nel seguito del discorso si parla di "itinerari di iniziazione e di catecumenato vero e proprio" (n. 59). Ormai a tutti è nota la novità di questi anni, come tra i catecumeni che durante la veglia pasquale si accostano al battesimo gli stranieri costituiscano la maggioranza. Questa novità non riguarda semplicemente i migranti, ma lŽintera comunità cristiana che, proprio nelle migrazioni può scoprire la missio ad gentes a portata di mano.Questo è il titolo della conclusione di Orientamenti pastorali, un titolo che fa anche al caso nostro, particolarmente per quella seducente presentazione della Chiesa, già enunciata allŽinizio, quale "casa e scuola di comunione".Anche nei confronti dei migranti e della pastorale migratoria sono di vitale attualità i cinque impegni proposti al n. 67 per tutta la Chiesa italiana:- "lŽimpegno per una pastorale della santità", che ci sollecita tutti a farci prossimi nello spirito delle beatitudini a questi fratelli che, venuti da lontano, rischiano di rimanerci lontani anche se materialmente presenti tra noi;- "la comunicazione del Vangelo…a quanti vivono nellŽindifferenza e ai non cristiani, qui nelle nostre terre": la messe è abbondante anche tra i migranti, ma gli operai rischiano di rimanere troppo pochi, distratti, scarsamente operosi;- "il rinnovamento della vita delle nostre comunità", dilatando gli spazi della carità, attraverso unŽaccoglienza veramente fraterna a questi nuovi arrivati;- "il percorrere vie di comunione", dando questo significato altamente ecclesiale ed evangelico a tutto il discorso sul pluralismo etnico e culturale;- "lŽimpegno dei fedeli laici" sia italiani che stranieri perché siano "nella società e nei diversi ambienti di vita, capaci di vigilanza profetica e costruttori di una nuova città terrena in cui regnino sempre di più la giustizia, la pace, lŽamore".Utopie? Già, nella misura in cui ci meritiamo il rimprovero di "gente di poca fede". No, nella misura in cui, alzando la testa, rispondiamo allŽinvito audace come un imperativo categorico: "duc in altum!".