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Mio fratello? Quello proprio no!


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/01


-MIO FRATELLO? QUELLO PROPRIO NO!I ROM: NUOVO MILLENNIO?di Cristina SimonelliDi fronte alle grandi sfide del millennio, di fronte alla prospettiva di un mondo globalizzato, di fronte a problemi di enorme portata sembra fuori luogo e fuori tempo parlare di un piccolo popolo, anzi di un gruppo a cui molti non sono disposti neanche ad attribuire questa identità. Sarebbe ingenuo tuttavia pensare che il modo in cui ci accostiamo alle minoranze non sia toccato dai grandi processi in atto: di fatto anche i "piccoli" problemi vengono percepiti in un ampio orizzonte, che in parte li modifica e certo modifica il nostro modo di percepirli e di rapportarci nei loro confronti.Viviamo infatti in unŽepoca in cui come non mai veniamo raggiunti da notizie, sollecitazioni, appelli, informazioni a ritmo vorticoso ed assordante. Facilmente la reazione è un misto di sentimenti di impotenza e di indistinti sensi di colpa a cui spesso segue il fastidio e la voglia di essere solo lasciati in pace. Questa confusa percezione deve essere accolta, affrontata ed ordinata. In questo concreto terreno "pubblico" e civile si misura anche la nostra spiritualità e il nostro linguaggio interno, gergo rassicurante, deve essere tradotto per diventare parola comprensibile.In questo orizzonte, il testo della Genesi che ci viene proposto è sintetizzato in un grido, la voce di Dio che risuona con forza: "dovŽè tuo fratello?". Ma sarebbe ingenuo pensare che questa percezione sia immediata e scontata. Anche la lama a doppio taglio della voce di Dio passa attraverso lŽesperienza di Elia: sullŽHoreb, non nel vento, non nel fragore, ma in una brezza sottile, in una "sottile voce di silenzio" può ascoltare la voce di Dio. Anche in questo mondo globale e in questo tempo complesso che sono lŽaffascinante, anche se spesso drammatica, terra in cui siamo chiamati a ricevere, vivere, comunicare il Vangelo, non è scontato percepire quella voce. Non è scontato poter accogliere quella voce perché, mescolata a frastuoni di ogni genere, ha bisogno di vigilanza; non è scontato perché chiede costantemente conversione; non è scontato perché esige speranza.Vigilanza: espressione che sta bene in chiesa, soprattutto in tempo di Avvento. Ma come possiamo tradurla? Forse possiamo far tesoro di ciò che abbiamo tante volte ascoltato e a nostra volta insegnato e meditato, anche se in contesti diversi. Tante volte certo abbiamo sentito parlare della necessità di far silenzio interiore, di dare uno spazio di ascolto e di discernimento per capire la propria vocazione, per fare il punto della propria vita, come un esame di coscienza. E come ci diceva la nostra antica tradizione spirituale, questo è grazia ed ascesi, che vuol dire "esercizio": grazia che ci raggiunge nella trama feriale della vita, ascesi perché chiede lŽattenta apertura, lŽesercizio paziente, il discernimento. Non è altra cosa da quello che siamo chiamati a vivere rispetto alla ridda di stimoli che ci raggiungono, alle notizie, alla percezione di un mondo che cambia, che abbiamo già solo salendo su un autobus, sentendo risuonare intorno a noi tante lingue diverse. Senza ordinare queste sensazioni, non possiamo percepirvi la "sottile voce di silenzio" che ci chiama. Spesso campagne di informazione cercano di convincerci che lŽAltro ci è nemico, è invasore, ci vuole schiacciare: la vigilanza a cui ci chiama in modo tutto particolare lŽAvvento è esercizio di attenzione critica, di vaglio delle informazioni, di rifiuto della paura irrazionale che ci viene instillata. Tra le ombre che percepiamo come minacciose, ecco figure senza volto ma potenziali nemici per definizione: gli Zingari. Spesso le notizie su di loro ci arrivano un poŽ camuffate di buone maniere: parlano cioè di "nomadi", ma questo termine è ancora una pezza di stoffa troppo corta attraverso cui si intravede sempre il nome del disprezzo: Zingari. Altre volte anche se non ne parlano i mezzi di informazione, tuttavia restano sullo sfondo della nostra città come ombre di disagio: a un semaforo, per la strada, in autobus, percezione di alterità irriconciliabile, minaccia oscura.Vigilanza è dare un nome a quella paura, per mostrarne lŽirrazionalità. Vigilanza è lasciarsi attraversare dalle domande: di quella donna mi chiederebbe la voce "dovŽè tua sorella?". Sottile voce di silenzio, che quando penetra diventa un tuono irresistibile, che prima di indicare cose da fare, riporta alla radice stessa della nostra identità, chiede un riconoscimento di comune umanità: se lei è mia sorella, noi due siamo parte della creazione buona di Dio. Ma se lei non lo è… non so più neanche chi sono io! Ancora di più, spia, come quelle che segnalano le fughe di gas: attenzione, qualcuno vuol farti paura, una paura che neutralizza il Vangelo che porti, una paura che uccide la speranza, una paura che ti paralizza.Anche in quanto chiede conversione, la voce riporta allŽidentità cristiana più profonda, festa di peccatori perdonati. Non è infatti scontato pensare che ad ognuno di noi può essere rivolta la domanda che Dio rivolge a Caino. Che cosa cŽentro io? Che cosa devo spartire con Caino, che ha le mani insanguinate? Attraverso il fallimento di Caino, la creazione appare nella sua vocazione fraterna: si presenta come "custodia". LŽindifferenza stessa, il non-riconoscimento dellŽaltro come un nome proprio, la mancata custodia appunto, è anti-creazione. La mancata custodia tenta di far tornare nellŽindifferenziato della terra il sangue di Abele, tenta di annullare il gesto di Dio. "Son forse io il custode di mio fratello?" Anzi, ancora prima: "Quello mio fratello? Quello proprio no, non è mio fratello!". Non è strano rispondere così. Non siamo "mostri" se questa è la nostra prima reazione. Sarebbe strano però fermarsi alla prima istintiva risposta, non lasciarsi penetrare dalla domanda. Mostruoso però pensare di predicarlo, uccidendo lŽappello e la speranza che porta con sé: nel Cristo primavera della creazione il grigio della non-fraternità può diventare custodia, mondo fraterno. Possibilità di nuovo inizio, possibilità di giovinezza di un Vangelo con tanti millenni alle spalle: felice speranza, per cui vale ancora la pena di credere, di vivere, di guardare con fiducia i bambini.è quasi superfluo sottolineare che questi sono i temi che animano la prospettiva della "Novo millennio ineunte" e, ancora più da vicino, degli orientamenti della nostra Conferenza Episcopale per questo decennio: evangelizzazione in una società complessa, vita cristiana come conversione continua, Vangelo come risorsa di speranza (Cfr "Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dellŽEpiscopato italiano per il primo decennio del 2000" Il Regno-documenti 13 (2001), 441-456).Dunque, prospettiva nuova o problema fuori moda? Come ricorda il documento (n. 2), la memoria dischiude il futuro e rende possibile la speranza. Il piccolo popolo fa memoria di un antico rifiuto, ma dischiude la speranza a una possibilità di vita comune, di terra in cui ci sia posto per tutti. Problema antico, scommessa attuale, promessa aperta.In questa prospettiva anche lŽattenzione ad una minoranza è risorsa preziosa prima ancora che doverosa solidarietà: risorsa che proclama le ragioni della speranza, il rigore della vigilanza, la possibilità della conversione.