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Quando erano gli italiani a partire


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/01


-QUANDO ERANO GLI ITALIANI A PARTIREdi Elia FerroUn passato così lontano?Quarantacinque anni da Marcinelle. Ma il passato è decisamente dietro alle nostre spalle. LŽavvenimento del terribile 8 agosto del 1956 resta un pallido ricordo e solo per alcuni. Quel giorno a Marcinelle perirono 262 minatori a quasi mille metri sotto terra, 136 di loro erano italiani.è stato un avvenimento maggiore che ha scosso e segnato la storia del Belgio, dellŽItalia e delle comunità italiane sparse nel mondo. Fino ad allora i treni speciali, messi in programma dal protocollo dŽaccordo italo-belga, raggiungevano il Belgio settimanalmente con a bordo 2.000 giovani al di sotto dei 35 anni. Tutti erano stati certificati in buona salute dai medici belgi, scesi a Milano a controllarli. E tenevano in tasca lŽancora della salvezza: un contratto di lavoro per 5 anni al fondo della miniera per estrarre carbone. E chi cercava di cambiar lavoro, veniva rispedito in patria.Marcinelle fu un avvenimento che, più di tanti altri, ha segnato la memoria collettiva.Per più di un secolo molti connazionali (oltre trenta milioni!) hanno cercato altrove un lavoro e un avvenire: erano pieni di speranza, di rabbia e di voglia di vivere. Gli anni trascorsi aiutano a dimenticare le delusioni subite, i sogni del ritorno infranti, la dura lotta quotidiana. Erano tempi duri allora!Più non conosco la fame / più non conosco la tavola vuota,il piatto vuoto di orzo e cacio / il focolare senza fuoco...Più non sento il valore / di quanto mi manca,il piacere di quanto possiedo / lŽamore di tutto che mŽè stato donato.Allora lŽacqua era così buona,la poca polenta riempiva la casa di profumoil latte, il latte succhiavamo a gocce / quasi fosse miele...... più allegria non ho / delle prime scarpe comprate a centesimi.... Le attese di un dono / che ci è stato negato per tutta lŽinfanzialŽincantesimo di un solo giocattolo / rapito coi nostri occhi alle vetrine.Così scriveva padre Davide Turoldo, fratello di un minatore che lavorò a Marcinelle. I primi emigrati hanno esportato una fame atavica e la miseria, insieme alla sapienza e la saggezza delle radici e delle cose essenziali. Altrove hanno scoperto e costruito una nuova solidarietà, portando nelle vene con gente di altri paesi e regioni lo stesso sangue, sangue dŽemigrante come scrisse un poeta minatore.Questa storia ha segnato tutti: chi è rimasto in Italia e chi è partito. Molti hanno appreso a loro spese che la vita resta un grande viaggio; che, dopo molti anni di esilio e dopo molti chilometri di strada, il percorso continua; che i sogni non diventano sempre realtà e le tante promesse o illusioni si realizzano solo in parte. Il futuro resta sempre da costruire, e si deve accettare il difficile mestiere del vivere e la sapienza del passato.I giovani non sannoIl nostro tempo corre veloce. E chi è cresciuto nella società del terziario avanzato, della new economy, dei vuŽ cumprà conosce poco quella storia dŽemigrazione che ha coinvolto le loro famiglie e il Paese. Questo emerge da unŽindagine realizzata tra 890 giovani italiani in età compresa tra i 16 e i 24 anni nellŽoccasione della mostra sullŽemigrazione "Le valigie di cartone" (Padova 29 ottobre - 10 dicembre 2000) e pubblicata sul settimanale diocesano La difesa del popolo del 12 novembre 2000.Il fenomeno migratorio che ha modificato profondamente la storia della penisola resta completamente sconosciuto al 32 per cento degli intervistati. Solo il 37 per cento ne è venuto a conoscenza guardando la televisione. Ne ha sentito parlare vagamente a scuola il 13 per cento e in famiglia il 22 per cento. Il 7 per cento ha letto sulla stampa qualcosa al riguardo. Il 17 per cento lŽha scoperto navigando in rete e visitando Ellis Island, lŽisola della baia di New York dove sbarcavano e venivano tenuti in quarantena i nuovi emigranti negli States (www.ellisislandrecords.org). Quanto alla ragione che ha spinto milioni di italiani a emigrare, il 49 per cento ne attribuisce la causa alla guerra, il 35 per cento ne vede il motivo nelle persecuzioni politiche e religiose. Solo il 21 per cento sa indicare nella mancanza di lavoro la spinta iniziale dellŽesodo di interi paesi. Tra le altre curiosità dellŽindagine, si viene a sapere che solo il 36 per cento di coloro che hanno nella loro parentela zii o cugini emigrati, li hanno conosciuti e non più dellŽ8 per cento ha avuto con loro dei contatti occasionali.Integrati o invisibili?E uno spaccato di storia italiana che se ne va? Gli emigrati italiani, essendo passati da ultimi a penultimi o terzultimi nella scala delle emergenze, meritano… meno attenzione? Integrati o invisibili? E a parte "Carramba che fortuna" o lŽelezione di "Miss Italia nel mondo", non si vede in Italia chi si ricordi ancora di loro in maniera continuativa, salvo le associazioni di categoria, qualche addetto ai lavori o i "patiti dellŽemigrazione". Resta una storia "rimossa" da rispolverare per non perdere una grande risorsa di uomini e di vita vissuta, di insegnamento e di spinta al futuro.Sono molti coloro che sono convinti che sia finita lŽemigrazione italiana, di italiani che cercano lavoro altrove, fuori della penisola. Pur con caratteristiche nuove sono ancora 183.291 i connazionali che sono partiti negli ultimi tre anni. è vero che un numero equivalente rientra in Italia e il saldo… statistico resta vicino allo zero. Ma coloro che partono sono ancora tanti (troppi!): molti con il loro carico di attese e di delusioni.LŽemigrazione di quasi duecentomila, in tre anni, resta un fenomeno importante. E non è vero che chi parte sia bardato di diplomi, possieda investimenti e capitali, abbia relazioni con mezzo mondo. Si parte ancora per lavoro come ieri e sotto lo sguardo indifferente dei più. In questi giorni molti sono presi dai problemi attuali che assillano la vita quotidiana. E pochi avranno occasione di accorgersi che i nostri connazionali allŽestero, cittadini italiani a tutti gli effetti, attendono ancora attenzione e giustizia.Costruttori dŽEuropaIn questi mesi si faranno dei passi da gigante nellŽUnione Europea: lŽeuro sarà su tutte le bocche e in tutte le tasche. Val forse la pena richiamare alla memoria che lŽunione tra i popoli non è fatta e non dipende solo da trattati politici, da accordi economici o da nuove e vecchie monete messe in circolazione. Anche gli uomini migranti, e in particolare i nostri connazionali, hanno percorso, lavorato e popolato le contrade del Vecchio continente ed hanno contribuito a costruire questa Europa. Dal basso, senza fanfare, per anni ed anni.Non si sa bene chi per primo abbia tracciato certi sentieri: se un poeta, un pastore o un gregge. Di certo si sa che sono stati utili per il cammino e rispettosi della natura. Poi è arrivato il bulldozer che spiana e livella: pochi ricordano chi li ha iniziati. Per i manuali scolastici la piccola storia degli italiani nel mondo apparirà irrilevante. Per diventare invisibile non cŽè mezzo più sicuro che farsi povero, recita una canzone popolare spagnola. Ma di sicuro un lavoro umile di tessitura è stato praticato e provocato da tanti "piccoli costruttori dŽEuropa".Farsi prossimo è anche...Le migrazioni hanno segnato e marcheranno il nostro mondo e il nostro tempo. Sarà bene non dimenticarlo e farsi carico delle nuove situazioni valorizzando la storia e lŽesperienza. Troppo spesso chi ricorda la storia dei migranti e la declina al passato non ha mai messo il naso fuori casa, se non per turismo!è un obbligo di giustizia e una ricchezza per tutti ridare visibilità alle comunità italiane allŽestero: una visibilità numerica e statistica dal momento che non se ne conosce ancora la cifra esatta; una visibilità politica che nasca, finalmente, dalla possibilità pratica di esprimere il proprio voto allŽestero; una visibilità storica che metta in luce questŽangolo grigio della nostra vicenda nazionale nei manuali scolastici e nelle ricerche.Anche i luoghi comuni vanno verificati. Quando si pone lŽaccento sulla riuscita di alcuni nel commercio, negli affari, nella politica e nella cultura (e grazie a Dio delle belle riuscite di italiani allŽestero ce ne sono!), non si deve passare sotto silenzio la gente comune che subisce ancora oggi i postumi di uno sradicamento familiare, sociale o culturale. Non è più come prima, ma i feriti si contano ancora sulle strade dellŽemigrazione italiana: le fasce deboli della popolazione sono quelle che hanno pagato e pagano il prezzo più alto.In questi anni si stanno facendo grandi sforzi per diffondere nel mondo il prodotto Italia facendo leva su generazioni di concittadini sparsi nel mondo e guadagnati alla causa. Ma va conosciuto, valorizzato e sostenuto anche il protagonismo di coloro che hanno esportato il modo italiano di vivere e credere. Ben vengano le scuole o i corsi dove si impara la lingua italiana ma venga sostenuto anche il tessuto associativo che rende vivaci le conoscenze e lega tra loro le persone.Per farsi prossimo e seguire con empatia le comunità italiane allŽestero, senza peccare di italocentrismo, è importante vedere, ascoltare, favorire e mettere in circolazione la cosiddetta informazione di ritorno: avvicinare e far conoscere le comunità emigrate in Italia e nelle loro regioni parlare delle loro conquiste e dei loro attuali problemi, evitando inutili e piagnucolose nostalgie. Spesso si ha lŽimpressione di battere contro un muro di gomma.