» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
Cerel o Del...un sentiero verso la speranza


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/01


-CEREL O DEL... UN SENTIERO VERSO LA SPERANZAdi Carlo StasollaUna leggenda circolante fra gli Zingari degli Urali narra: "In quel paese in cui il sole sorge dietro una montagna scura, cŽè una città grande e meravigliosa, ricca di cavalli. Tanti secoli fa tutte le nazioni della terra viaggiavano verso quella città, a cavallo, a dorso di cammello, a piedi.. Tutti vi trovavano rifugio e accoglienza.. CŽerano pure alcune nostre bande. Il sovrano di quella città le accoglieva con favore... Vedeva che i loro cavalli erano ben curati e propose loro di stabilirsi nel suo impero. I nostri padri accettarono e piantarono le loro tende nelle verdi praterie. Là vissero a lungo, contemplando con riconoscenza lŽazzurra tenda dei cieli... Ma il Destino e gli spiriti del male vedevano con dispiacere la felicità del popolo dei Rom. Allora mandarono in quelle contrade serene i malvagi cavalieri Khutsi, che appiccarono il fuoco alle tende del popolo felice e, dopo aver passato gli uomini a fil di spada, ridussero in schiavitù le donne e i bambini. Tuttavia molti riuscirono a fuggire e da allora non osano più sostare a lungo nello stesso posto".1CŽera una volta un "popolo felice"... La storia, dal forte sapore orientale, risale probabilmente alla fuga del popolo zingaro dalla Persia, lungo gli scoscesi sentieri delle montagne dellŽArmenia.Ci troviamo nella steppa orientale del 1100 d.C. "Cerel o Del" (Se Dio vuole), si mormora. Bisogna fuggire, si smontano le "tende nelle verdi praterie", si prepara il fagotto, si guarda con speranza "lŽazzurra tenda dei cieli" e si parte, lontano dalla "città grande e meravigliosa", senza più il coraggio di "sostare a lungo nello stesso posto". Una volta ancora, certamente non lŽultima, in un pellegrinaggio infinito verso lŽOccidente, sulle orme dei Magi, in una diaspora svuotata di promesse e con la sola speranza di un tempo migliore e di una terra più accogliente.La storia degli zingari è anzitutto la storia della strada a cui questo popolo è stato condannato. Il cammino privilegiato è quello che conduce fuori dalla città, verso il margine, nel cuore della periferia dimenticata ed esorcizzata. Sappiamo bene che la favola del rom anticonformista e "buon selvaggio" resta uno stereotipo della letteratura romantica, idealizzazione di una vita a contatto con la natura e lontana dalla civiltà. In realtà, dai tempi del "popolo felice", nei secoli che seguono fino ad oggi, sono le azioni coercitive della civiltà dominante, i bandi persecutori del Cinquecento, le minacce dei contadini del Rinascimento, le atrocità naziste a spingere la "gens cingara" verso ogni direzione come una presenza ingombrante e ossessiva. Per certi versi, sicuramente paradossali, il popolo dei rom costituisce tuttora lŽ "incubo" della società moderna e contemporanea, un parametro con cui le istituzioni civili ed ecclesiali si sforzano faticosamente di confrontare, la pietra su cui inciampano i migliori propositi sociali e spirituali.La vita errabonda di questo popolo, incomprensibile, carica di fascino e di mistero, si prolunga negli anni fino a diventare una vita "al di fuori del tempo", un sacramento, un segno di un qualcosa che non è più dì questo mondo. Saperla leggere è entrare nella vera storia degli Zingari, la storia che Dio traccia su questa porzione di umanità marginale e dimenticata.A questo proposito tempo fa, nella Biblioteca Marucelliana di Firenze, mi è capitata tra le mani una originale citazione sinodale formulata da un vescovo dellŽItalia centrale del Seicento2. Si riferisce agli "Egiziani, volgarmente chiamati Zingari"3. Il testo può aiutarci a togliere il velo, a scoprire uno dei tanti significati teologici della vita zingara. LŽautore, con parole misurate ma cariche di acume, abbozza tre definizioni per indicare questo gruppo di uomini "qui totam pervagantur Europam". Si tratta di riflessioni che oggi vale la pena di riprendere e considerare.Come appaiono agli occhi di mons. Della Corgna, certamente ingabbiato nei rigidi schemi post-tridentini, le carovane degli Zingari che transitano nel territorio della sua diocesi? LŽoriginalità del testo risiede nei tre termini, di fonte evangelica, scelti dal vescovo di Orvieto per descrivere questi eterni viaggiatori dai lunghi pendenti e dalle vesti variopinte.- Ad peregrinandum nati (nati per pellegrinare)Gli Zingari da lui intravisti nelle colline dello Stato della Chiesa non hanno casa, beni, certezze. Vivono sulla strada in un interminabile pellegrinaggio senza meta, avendo come tetto "lŽazzurra tenda dei cieli" e accontentandosi dellŽessenziale. Sembra persino di cogliere in queste parole una vocazione divina pronunciata sulle genti nomadi chiamate ad essere ad peregrinandum nati per realizzare se stessi e la loro missione sulla strada.Cleopa, uno dei discepoli di Emmaus, accorgendosi che il misterioso straniero non era a conoscenza degli eventi accorsi a Gerusalemme, si rivolge a lui apostrofandolo: Tu solus peregrinus? Sei tu lŽunico pellegrino a non sapere queste cose? Gesù è sempre nelle strade ed è qui che ci chiama. Venite... Andate... Lui è il solus peregrinus.- Nullam agnoscentes patriam in tentorijs (non avendo altra patria che le tende)Davanti al vescovo, sorpreso a contemplare un gruppo zingaro di passaggio, si presenta un quadro biblico molto simile a quello raffigurante la tribù di Abramo, pastore nomade.Le tende si montano e si smontano di continuo e la strada obbliga ad una borsa leggera per contare sulle cose che veramente valgono. DŽaltronde il regno del Padre non è di questo mondo perché i veri tesori sono nel cielo e non sono parte della terra. A nulla serve lŽaccumulo, il deposito, inutilmente ci affanniamo per il domani, mettiamo da parte, conserviamo.Siamo tutti fratelli perché la nostra Patria è in quel Dio che ha scelto di abitare in una tenda rifiutando il Santuario costruito dalla sua creatura.- In diem vivunt (vivono in attesa del giorno)è probabilmente lŽinquietudine di una vita errabonda a sorprendere il pastore: una santa inquietudine propria di coloro che vivono proiettati verso il futuro, verso il tempo che verrà, oltre lŽappiattimento di un presente che non ha più nulla da dire.Vivere in diem è vivere in Deum, entrare nello spessore della vita. Chi è in movimento verso il nuovo giorno è il povero di Jahwè, colui che non capitalizza nulla per il futuro perché il domani, è nelle mani di Dio. Cerel o Del (Se Dio vuole). Importante è fare anche oggi un pezzo di strada verso il sole che deve nascere, in direzione del Giorno senza tramonto.Mi sembra che nei tre termini sia rinchiusa una perla evangelica così profonda che solo oggi riusciamo appena a pregustare. Il popolo dei rom, sempre perseguitato e scacciato, senza patria, senza potere, senza diritti, parla dellŽepoca moderna, è un piccolo frammento di umanità che ha qualcosa di importante da dire allŽuomo della nostra generazione.Il dotto e tecnologico contemporaneo vive oggi immerso nei tempi della non speranza, accontentandosi di ciò che appare e rivelandosi incapace di penetrare le cose con sguardo contemplativo. Aspetta, ma non spera; si lega alle certezze rifiutando ciò che non si può determinare; non sopporta lŽinsicurezza per inciampare nellŽinquietudine e nel dubbio esistenziale.Gesù è colui che è andato oltre, ha vissuto pienamente lŽabbandono nella speranza, diventando egli stesso speranza, la nostra speranza.Il popolo dei rom, piccolo ed insignificante, con tutta la sua provocatoria "scorza" di negatività, è agli occhi del nostro tempo il popolo della speranza, il sacramento di questa speranza cui ogni uomo anela. Nati per pellegrinare, avendo una tenda per patria, proiettati verso il nuovo giorno i rom e i sinti che bivaccano nelle discariche delle nostre città e che vivono allŽombra dellŽImpero dei "malvagi cavalieri Khutsi" balbettano una parola, sommessa e flebile, che ciascun uomo è chiamato a leggere e custodire nel proprio cuore. Parola di speranza nellŽattesa di un giorno che verrà.Cerel o Del... Se Dio vuole...1 F. De Vaux De Foletier, Mille anni di storia degli Zingari, Milano 1970, p. 39-402 Si tratta di una citazione collocata allŽinterno dellŽopera: Constitutiones editae ab illustriss et reverendiss. Domino Fr. Josepho Della Corgna episcopo urbevetano in dioecesana synodo celebrata in ecclesia sua cathedrali urbevetana diebus 20. 21. 22. mensis octobris 1666. Urbeveteri, typis Palmerii Jannotti, 16673 "De Aegiptijs vulgo Zingari", tit. XXXIX, p. 199