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Unità pastorali: volto della Chiesa in Europa


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 3/01


-di Corrado MosnaIl 42° Convegno Nazionale delle Missioni Cattoliche Italiane in Germania e Scandinavia si è tenuto nella Kardinal Schulte Haus della diocesi di Colonia, dal 23 al 27 aprile 2001. Il tema è stato: "Unità pastorali: volto della Chiesa in Europa".Saranno le unità pastorali a salvare le Missioni Cattoliche fra gli emigrati?Porre il problema in termini di salvezza fa capire che la situazione è sufficientemente drammatica e non può essere elusa per motivi di comodo e neppure per paura. A questo Convegno nazionale delle Missioni in Germania, alla Card. Schulte Haus di Bensberg (diocesi di Colonia), dal 23 al 27 aprile, sono mancati molti missionari e collaboratori laici. E forse è stata proprio la paura a fungere da cattiva consigliera e a impedire una partecipazione piena a un convegno che ha tentato di leggere e di programmare un pezzo di futuro. Nel momento culminante del convegno i presenti erano 85. In altre occasioni le presenze erano oltre cento.Paura dunque di vedere in faccia la realtà?La realtà non si può evidentemente esorcizzare con la fuga da una problematica che investe la pastorale non soltanto nelle missioni fra gli emigrati, ma in quasi tutti i paesi dellŽEuropa occidentale. Si é detto e stradetto che il ricorso alle unita pastorali é stato determinato dalla mancanza di clero.Le statistiche e il trend negativo nelle file del clero giocano in favore di questo argomento. Ma ovviamente la decrescita drammatica dei presbiteri é dovuta ad altri più complessi fattori che più del clero hanno messo in crisi il modello parrocchiale e, oltre al numero del clero, hanno messo in discussione anche il ruolo del prete. Questo argomento é stato appena accennato nellŽintroduzione dal Delegato delle missioni in Germania, p. Gabriele Parolin ed é stato approfondito da altri relatori nel corso del convegno. Nella "civiltà della parrocchia", il prete era destinato a coprire tutte le esigenze del piccolo gregge racchiuso nei confini di un minuscolo territorio. La crescente mobilità, iniziata già con la rivoluzione industriale ha sconvolto gli equilibri demografici, ha creato innumerevoli urgenze di carattere trasversale e categoriale, lŽanonimato delle metropoli e tanti altri fenomeni non più controllabili dalla pastorale parrocchiale. Uno dei sintomi di questo cataclisma si sarebbe già potuto leggere nella "Mission de France" con la quale la diocesi di Parigi negli Anni Ž50 aveva iniziato a rivoluzionare la pastorale, adattandola alla metropoli e alla nuova cifra sociologica, il "territorio".La globalizzazione che tende a cancellare le distanze, ha infine accelerato il processo di destruttrazione se non di destabilizzazione della "parrocchia". Ma visto così il problema, parrebbe dipendere soltanto da elementi strutturali. Mentre la Mission de France ha riportato alla ribalta un aspetto fondamentale della pastorale che é stato rivisitato dapprima dal Vaticano II e nei tempi più recenti dalle intuizioni del Papa attuale: lŽurgenza della rievangelizzazione dei Paesi classici della cristianità. NellŽopera della "nuova evangelizzazione" acquista senso pieno la presenza strategica del laico e della donna nella Chiesa e il radicale ridimensionamento del ruolo del prete. Il sacerdote non é più in grado di coprire lŽampiezza dei territori, le istanze categoriali, le nuove emergenze. Potessero i desiderati strumenti dinamici delle ancora sognate unità pastorali riportare il presbitero alla sua missione evangelizzatrice!In questo contesto che é estremamente più difficile da decifrare in rapporto agli elementi accennati, si inserisce il discorso universale delle unità pastorali e più in particolare quello della ristrutturazione delle missioni per una risposta pastorale più adeguata alle istanze delle comunità allŽestero.Giustamente ha osservato don Luca Bressan, nella sua relazione sulle unità pastorali in Italia in base al modello dellŽarchidiocesi di Milano, che il termine "unità pastorale" é stato usato per cogliere il nuovo che emerge, per sviluppare una organizzazione che viene ispirata dal basso e per "dare un nome al nuovo". La paura di questa novità si supera semplicemente "abitandola".Abitare le unità pastorali indica anche la volontà di rinnovare la pastorale parrocchiale. Alla fine, dopo tanti tentativi si potrà arrivare soltanto a una riforma della parrocchia che risponda meglio alle richieste del tempo. Né più, né meno. Per i territori paralleli alla parrocchia che non vengono più raggiunti dalla pastorale tradizionale, urgono degli strumenti dinamici per superare lo scollamento, per portare lŽevangelizzazione fuori dalla cittadella parrocchiale, per evitare la nostra marginalizzazione.Le domande che derivano dai "territori" tipici delle missioni richiedono strumenti ancor più dinamici come potrebbero essere le unità pastorali. Ma per ragioni di giustizia e di autentica "comunione" con i fedeli delle minoranze etniche, le destrutturazioni non possono partire da pseudo-motivazioni sociologiche (é ora che gli emigrati si "integrino") o da puri calcoli economici (non abbiamo più soldi). E interessante che proprio nellŽuniversità di Tübingen si stia ricercando di architettare un nuovo diritto universale che traduca in leggi lŽesigenza di "comunione". Comunione che sta agli antipodi di eventuali forzature allŽassimilazione e alla omologazione dei ricettari pastorali.Le maggiori paure dei missionari in Germania derivano dai progetti delle "unità pastorali" che si stanno elaborando nella diocesi di Stoccarda-Rottenburg, sul cui territorio ha sede lŽuniversità di Tübingen.Mons. Jürgen Adam, il Referent della stessa diocesi per gli stranieri, ha delineato il nuovo piano pastorale della diocesi, sottolineando a più riprese che le "Seelsorgeeinheiten" già in esperimentazione, sono semplicemente comunità che cercano nuove forme di collaborazione e non di più. Ha precisato inoltre che le Missioni, anche quando erano più fornite di sacerdoti, non sono mai riuscite a coprire tutti i bisogni pastorali dei territori. Oggi la pastorale della "Exsul Familia" (1952) é inadeguata, mentre la "Pastoralis migratorum cura" (1969) assegna alle diocesi il compito di organizzare la pastorale migratoria, ma non solo in senso strutturale, perché anche le missioni etniche "appartengono alla comunione della diocesi". Un cenno questo che evoca le ricerche della università di Tübingen e fa ben sperare circa lo spirito con il quale devono essere portate avanti le riforme.La diversa configurazione delle missioni sarà tenuta presente, in modo da garantire un servizio che renda più agibile lo stesso ministero. La diocesi - ha ancora precisato Mons. Adam - non vuole procedere per precetti e imposizioni.Ogni aspetto delle riforme sarà discusso, particolari situazioni dovranno essere risolte con grande flessibilità e se "non sono cose di Dio, anche le unità pastorali finiranno come sono iniziate".Mons. Barbier, della diocesi di Metz, molto vicino alle missioni italiane, ha incoraggiato lŽinnovazione, meravigliandosi fra una parola e lŽaltra, che in Germania non ci sia stata fin dagli inizi quella capacità di collaborazione che in Francia veniva tradotta nel "lavoro in équipe", su ispirazione della Mission de France.Anche i referenti della diocesi di Limburg, Heukämper, e della diocesi di Speyer, il parroco Karl Hundemar, il prelato Heiner Koch della diocesi di Colonia, hanno relazionato sugli esperimenti in materia di unità pastorali, ampliando così il ventaglio delle sperimentazioni e smontando, nel confronto, progetti di riforma troppo rigidi o supposti tali. La diocesi di Speyer, per esempio, ha concepito le sue unità pastorali, moltiplicando le attività pastorali categoriali, al contrario della diocesi di Stoccarda che privilegia le collaborazioni a tutto campo. Il vescovo ausiliare di Colonia, Mons. Norbert Trelle, ha accentuato la necessità di lavorare insieme, comunità locali e missioni. Oggi, nel tempo della globalizzazione non può esistere una "Ungebunde Seelsorge".Da parte delle missioni di Svizzera, don Domenico Locatelli, per incarico del delegato don Spadacini, ha riferito sui sistemi di collaborazione con la Chiesa elvetica. "Noi siamo già dentro", ha plasticamente definito il tipo di collaborazione già messa in atto fra realtà diocesane e missionarie: "O si lavora con gli altri della stessa Chiesa, o non si é Chiesa".