» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
LA PEDAGOGIA DEL RISCHIO PER GLI ADOLESCENTI Giorgio Prada - pedagogista

Servizio Nazionale per la pastorale giovanile

Rischiare la vita… per davvero o dal divano.
Gli eventi incalzanti di questi ultimi mesi hanno messo a ferro e fuoco il tema della relazione parentale, della relazione intergenerazionale, imponendo una sosta di riflessione a molti, creando ansie a tutti, determinando una presa di contatto con la realtà a pochi…
La fatica e la crisi dell´educare
Una questione problematica, consunta forse nel dibattito pedagogico, ma trascurata da una prassi un poco distratta, è quella relativa al modo con cui oggi, questa società, riesce ad "entrare dentro": come avvengono oggi gli "ingressi in società"?
Il venir meno delle "grandi narrazioni" che fornivano un supporto alle motivazioni personali e dunque sociali, lascia spazio ad altre figure e questo influenza anche gli educatori, i progetti e soprattutto le attività educative. Una duplice tendenza persiste. Ha a che fare con la maternalizzazione delle relazioni e delle pratiche educative da una parte e con la precocizzazione di esperienze dall´altra.
Così è avvenuto che si potesse parlare di "adolescenti in una società senza padri". Le relazioni educative conseguenti a questo ritiro dei codici paterni, hanno visto la scena occupata da codici materni prorompenti, carichi di comprensione, accoglienza e tutela.
Una seconda tendenza fa riferimento ad un atteggiamento diffuso nelle pratiche educative: alla difficoltà di "interessare" i ragazzi, si risponde di fatto con una negazione della scansione del tempo di crescita. S´incomincia con l´offerta ai bambini di attività che sono state pensate per un´età superiore, anticipando così ogni tappa successiva. L´imperativo è "attirare", ma meglio sarebbe dire "sedurre"...
Sempre e soltanto i giovani?
Per quanto riguarda l´adolescenza dobbiamo tornare dunque a confrontarci con i momenti cruciali dello sviluppo della personalità, momenti carichi di significato a causa dei problemi che sono posti alla relazione con se stesso, con l´adulto e col mondo, relazioni dai contorni sempre più marcati dall´immagine del conflitto: relazioni che vanno dunque sperimentando la crisi.
Di tutto questo abbiamo ha avuto esperienza, le più diverse, ognuno di noi ed oggi, fatichiamo a rileggerle nella pelle dei "nuovi" adolescenti. Proprio perché nel frattempo siamo "diventati grandi".
Ogni tentativo di neutralizzare il conflitto, di ridurre fino ad eliminare la pressione necessaria che si esercita tra momento innovativo e momento prescrittivo, è segnato dalla disfatta totale su entrambe i campi di battaglia: l´adulto abdica al proprio ruolo, l´adolescente semplice-mente rinuncia a crescere e sviluppa un adattamento perico-loso per la stabilità del proprio Io.
La dimensione conflittuale oggi è stata in qualche modo neutralizzata: in ragione di una critica poco approfondita all´autorità, in vista di una sua "sterilizzazione": di qui i comportamenti del "genitore-amico", dell´insegnante "dalla parte degli studenti", dell´assistente sociale "comprensiva"...
Il rischio di crescere: attraverso la trasgressione
L´innovazione è caricata di per sé di valenze trasgressive. La lotta per la conquista di una propria autonomia è fondata sulla capacità di trascendere le prescrizioni date, di superarne il limite: è proprio questa dimensione di supe-ramento del limite che ci porta a considerare il fattore trasgressivo.
L´adolescente esplicita, infatti, le proprie modalità innovative attraverso comportamenti che, di per sé, sono trasgressivi. Trasgressione non caratterizzata da significati negativi (distruzione del limite prescrittivo), ma da significati legati alla creatività. Ogni invenzione del resto, è in origine una minaccia al consolidato: suscita movimenti destabilizzanti nella cultura a causa della rielaborazione culturale che l´invenzione stessa provoca.
Dalla frantumazione dell´identità relativa dell´adolescente, identità dipendente dalla prescrizione dell´adulto, si passa alla ricomposizione di una nuova identità superando il limite prescrittivo, creando così un nuovo modello di prescrizione, questa volta personale, integrabile nella nuova identità che si va formando.
Così si cresce. Da sempre. Così crescono e si evolvono in fondo le culture che si aprono alla differenza.
"Giovani senza", da un mondo "vuoto"
Un mondo senza più riferimenti certi, senza dogmi e pregiudizi (si diceva) è un mondo più libero. Il pluralismo è una conquista, ma costa in termini di complessità da affrontare: la fame e la sete di semplificazioni capaci di spiegare tutto e tutti, sono testimonianze del prezzo da pagare al dover scegliere.
Senza punti di riferimento, c´insegnano gli antichi marinai, la navigazione è impossibile perché il mare è, in ogni caso, "piatto". Di punti di riferimento mancano sicuramente le giovani generazioni. Non solo, punti di riferimento "etici" o "religiosi"; quanto piuttosto una mancanza di punti di riferimento educativi. Azioni che supportano il lavoro di ricerca e di disvelamento, la cura di sé che conduce alla conquista di punti di riferimento. Spesso invece gli adolescenti si trovano di fronte al mare piatto dell´omologazione dorata alla quale gli adulti si assecondano, rinunciando, di fatto, ad essere.
Questa rinuncia, questa difficoltà estrema a riempire un vuoto avendo a disposizione ogni possibilità, genera sentimenti depressivi. Come avere le possibilità senza sapere che farsene; sapere che farsene avendo uno sterminato campo d´opportunità e non capire da che parte iniziare.
A volte capita dunque agli adolescenti, ma non solo a loro, di fare come il cane alla catena che nel tentativo di divincolarsi "segna" profondamente ed irrimediabilmente la carne del proprio collo… Per questo motivo si rischia: per impotenza a cambiare, per affermare la propria identità, la propria libertà di esistere. Si rischia di "morire", di farsi male, di restare soli o di annegare nel gruppo per liberarsi dai soffici, ma tentacolari condizionamenti che spengono l´esistenza.
Già visto. Già sentito. Scontato…
Il vuoto interiore ed esteriore conduce ad intraprendere la strada dell´azione, comunque. Come a dover dimostrare, innanzitutto a se stessi, che non si è determinati del tutto, che si può determinare.
In un mondo già-visto e già-sentito occorre allora una parola nuova, l´irruzione della novità. Una novità che, per stretta logica, può venire solo grazie alla trasgressione. Essa può condurre al nuovo, può permettere un ad-venire, grazie ad una ad-ventura, oppure ad una "semplice" peripezia. Un andare incontro al nuovo oppure un semplice divergere, un girare a vuoto…
Qui si rendono possibili dunque esiti differenti. Trasgressione può rimare allora con dipendenza e consumo, piuttosto che fatica, messa alla prova, cammino interiore, autonomia. L´alternativa è tra peripezia e avventura.
Quando non si ha la possibilità di vivere l´avventura, le possibilità che la peripezia offre sono ghiotte: il mettersi alla prova in comportamenti rischiosi, permette di trarre insieme gusto e identità, emozioni forti e significati relativi all´esistenza individuale. Sento dunque esisto! In un mondo dove impera il "già-sentito", "sentire" per la prima volta, per primi, è possibile avvicinandosi il più possibile al limite, al baratro. La questione si fa dunque circolare. Il rischio come incontro col limite, con la morte per interrogare agendo proprio ciò che determina una non-vita, la vita omologata.
Una "bonaccia" che investe anche gli educatori: necessità di tornare a sperimentare
Salpare comunque, per andare a vedere…
In genere la resistenza al cambiamento di noi adulti, questa "allergia al rischio", non è tanto dovuta alla paura del futuro, quanto piuttosto al timore di perdere qualcosa: parte della propria vita attuale e, con essa, la propria identità. In questo senso pensiamo di essere come avvolti da una tendenza dominante orientata a pratiche "leggere", pratiche basate sulla convinzione della ineluttabile casualità dei movimenti educativi e sociali. Una pratica leggera, poco intenzionata, ben riparata dal rischio del cambiamento implicato dalla relazionalità stessa dell´atto educativo. Come un "non metterci niente di pesante" per evitare di "doversi poi portare dietro qualcosa"…
1. Una pedagogia dell´avventura a fronte della ricerca del rischio
Una condizione di "maternalizzazione sociale" deve stimolare a sperimentare, a ricercare un che di pedagogico che prepari ed orienti alle nuove sfide per "pareti senza stabili appigli", come sono quelle percorse quotidianamente dagli educatori in una società complessa come la nostra.
Come già detto una dose di rischio è necessaria alla crescita, l´overdose segnerebbe la tendenza in atto, perniciosamente finalizzata al procacciarsi forti emozioni fini a se stesse.
In particolare durante i periodi di "passaggio", la propensione al rischio è una componente della crescita. Il problema non è rappresentato, dunque, dalle modalità scelte dagli adolescenti per conquistare brandelli d´avventura, solo peripezie, quanto piuttosto dalle ragioni di questa propensione.
Almeno le "pulizie di primavera"
Credo in conclusione che si debba invitare ognuno noi a riprendere in mano il proprio lavoro educativo, la prassi più che la teoria, e rileggerlo alla luce dei messaggi forti che gli adolescenti stanno inviando di continuo. Ne può sortire solo una messa in discussione radicale dei nostri comportamenti educativi. Sarebbe interessante tracciare le coordinate di tanta metodologia di lavoro, de-scrivere le prassi che quotidianamente reggiamo, indagarne i modelli di provenienza per restituire l´immagine che c´eravamo dati all´inizio della nostra "vocazione" educativa. Per questo occorrerebbe un approccio clinico.
Intanto possiamo concludere con una proposta minimale, una sorta di "pulizie di primavera" per le nostre attività. Come quando si mette tutto quello che sta dentro casa all´aria aperta e poi, dopo una approfondita pulizia, si riporta dentro tutto e, spesso, ci si misura con un nuovo ordine da fare. Viene la voglia di cambiare la disposizione del divano, dei tappeti, senza stravolgere, senza buttar via tutto, solo naturalmente, ci prende la voglia di cambiare… col "rischio", auguriamo, di non smettere più.