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LA PARROCCHIA ENTE GESTORE DI SERVIZI SOCIALI PER MINORI?

Servizio Nazionale per la pastorale giovanile

Don Gian Pietro Girelli - Responsabile Osservatorio Giuridico Legislativo della Diocesi di Brescia


1. Con il Decreto Legge del 18 febbraio 1987 pubblicato sul supplemento n° 91 del 18 aprile 1987 della Gazzetta Ufficiale della Repubblica la Parrocchia veniva riconosciuta civilmente come "Ente ecclesiastico". Da quel momento si è andato costruendo sempre più il percorso giuridico che permette alla Parrocchia di essere ritenuta un interlocutore istituzionale con personalità giuridica propria.
2. La circolare applicativa della Legge 285 del 28 agosto 1997 "Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l´infanzia e l´adolescenza", emanata dalla Regione Lombardia prevede espressamente la partecipazione della Parrocchia ai tavoli istituzionali per la realizzazione di interventi affidati in alcuni casi anche alle Parrocchie;
3. Tutta la letteratura inerente l´intervento sociale sul territorio propone l´attivazione del territorio alla costituzione di una rete di Soggetti Sociali per la realizzazione di una Comunità Educante attenta a tutte le persone. Il processo attivato a volte con esperienze innovative promosse dal territorio, attraverso la progettualità di servizi attivati dal privato sociale e dagli Enti Locali sembra essere confluito come naturale maturazione nella Legge 328 del 9 novembre 2000 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali". All´art. 1, comma 4, la legge individua gli Attori della realizzazione del servizio integrato negli gli enti locali, le regioni e lo stato. Questi, però, sono chiamati a riconoscere e agevolare il ruolo delle Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale (ONLUS), degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore della programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servi


zi sociali.
4. Lo schema di piano socio - assistenziale per il triennio 2000 - 2002 nel Capitolo secondo al punto 2.7 "Il sistema dei Servizi e degli interventi per Minori, Adolescenti e Giovani", nello specificare gli "Obiettivi specifici dell´area e le strategie connesse" al punto e) recita:" l´integrazione tra istituzioni pubbliche(EELL, ASL, Aziende Ospedaliere) e gli altri soggetti del territorio coinvolti (scuola, famiglia, privato sociale, parrocchie, associazionismo ecc.), la ricerca di strumenti (es. protocolli d´intesa) semplici e concreti di raccordo; inoltre per quanto riguarda "L´area delle dipendenze" 2.11 nella descrizione dell´Area della prevenzione" si recita: "Il sistema di intervento prevede una rete territoriale fra servizi, ovvero di integrazione tra soggetti istituzionali, tra attività e competenze complementari, tra soggetti pubblici e del privato sociale…"
5. Infine, l´atto d´intesa stipulato il 14 Dicembre 1999 tra le Diocesi Lombarde e La Regione Lombardia recita espressamente: al punto 5 :"La Regione Lombardia valorizza la Parrocchia quale soggetto competente della comunità locale che tramite l´Oratorio ha la facoltà di contribuire alla programmazione realizzazione di interventi e azioni nell´area minori". E al punto 6: "La Regione Lombardia riconosce la titolarità della Parrocchia ad essere Ente Gestore di Unità di Offerta previste dalla normativa regionale nel campo minorile."

Se è dunque vero che la legislazione vigente è andata via, via riscoprendo il valore del privato sociale nella costruzione di una risposta non solo ai problemi sociali, ma anche al concorso alla crescita della qualità della vita della persona e della comunità, non è detto che sia parimenti aumentata la coscienza circa la necessita del superamento della logica assistenziale, spesso espressa anche dalla modalità cristiana di esprimere la carità.
Non voglio qui negare quanto nell´arco del tempo passato il vissuto della Parrocchia come sostituta di un compit
o
ch
e man mano anche lo stato ha saputo, sia pure con le difficoltà proprie di simili processi, realizzare. Risulta però indispensabile ripensare alla presenza della parrocchia nel territorio, né in modo sostitutivo, né alternativo e neppure conflittuale. Pare sia giunto il tempo in cui la parrocchia possa porsi come ente riconosciuto non solo per quanto svolto nel passato, bensì per la potenzialità che le viene dal mandato del Vangelo.
Subito si aprono alcuni interrogativi che dicono riferimento ai rapporti della parrocchia con il territorio e, in secondo luogo, con la comunità cristiana stessa.

Rapporto/dialogo con il territorio:
L´ente parrocchia è ente maturo per un confronto civico che dimostri la sua capacità di offerta di servizi sociali senza pretendere a monte una carta d´identità?
La parrocchia si è resa conto che è un ente che ha dei diritti e dei doveri nei confronti del territorio?
Compie un´indebita fuga in avanti chi, tenta anche attraverso l´ente parrocchia, una presenza attenta e puntuale al territorio visto come luogo di missione dell´amore e di prossimità?
E´ opportuno che la parrocchia scenda a patti con la realtà del territorio, con il rischio di fraintendimenti e di implicazioni politiche? O è meglio rimanere dietro le quinte e promuovere associazioni e/o cooperative espressione della presenza del suoi laici?

Rapporto/dialogo intraecclesiale:
Tentare una gestione dei servizi sociale in modo diretto dell´Ente parrocchia suscitando una responsabilità e condivisione in collaborazione con gli enti locali per un servizio al territorio, sostenere con delega i laici presenti con loro associazioni, o cooperative, ritenere che non sia compito della Parrocchia gestire in prima persona servizi sociali, salvo poi attivare degli interventi tampone e sporadici, sono scelte attuate dai cristiani frutto, certamente, di una diversa ecclesiologia.
Non voglio entrare nel merito, siamo qui appunto per confrontarci e porci alcune domande.

op

portuno attivare la parrocchia in prima persona in un ambito che sembra essere primariamente della Stato?
La comunità cristiana è chiamata a promuovere la qualità della vita spirituale o la qualità della vita dell´uomo? (Non necessariamente occorre vedere in contrapposizione la componente umana e quella spirituale, anzi!)
Non vi sembra che a volte i problemi che riguardano la quantità, la qualità dell´adesione alla fede cristiana, tengano poco conto che il samaritano quando si è chinato sul povero malcapitato non si è chiesto di che ceto o razza o religione fosse, ha colto la fragilità e il dolore che tendeva la mano in cerca di qualcuno. Bene in quel momento è opportuno stringere quella mano o tirare avanti per la propria strada?
Da sempre la Chiesa è chiamata a raccolta dal gemito dell´indifeso. Non parlo di coloro che vediamo lontani, nel terzo mondo, e neppure solo di quel quarto mondo espressione silenziosa della povertà lasciata ai margini della nostra società opulenta, mi riferisco, invece, a quella massa indistinta che vive lavorando, lavora comprando, compra mangiando, mangia soffrendo. Si! Soffre dentro e non lo sa, perché lo Spirito, quando è ingozzato da Dio mammona, sa solo alzare i gemiti inesprimibili di una società malata, malata non di fame ma di ingordigia, e la Chiesa è chiamata ad abitare in questa moltitudine che ha sete e fame di parole vere, non nuove, talmente antiche da essere nuove. La nuova evangelizzazione parte anche dalla consapevolezza che l´amore si occupa di una realtà che sembra essere paga di se stessa, ma attende e desidera conoscere il senso del proprio vivere.
Come essere in mezzo alla moltitudine per testimoniare che nella comunità cristiana i valori sono altro?
Possiamo permettere che le comunità cristiane si chiudano nella felicità della propria scoperta senza sporcarsi le mani?
Lavorare nel sociale obbliga a superare steccati ideologici e politici per un servizio alla persona che esprima con umiltà la prese
nza

silenziosa di una chiesa che soffre con chi soffre. Parlo della sofferenza esistenziale di molte persone che non hanno più bisogno della verità, hanno trovato la loro e tanto basta. Questa folla non ha bisogno di qualcuno che indichi la strada, ma di qualcuno che vada avanti e paghi per tutti, di una comunità cristiana che non sbandiera privilegi, ma legalità, che cammina sulla stessa strada a partire dai valori condivisi.
E´ possibile avviare un processo di chiarificazione interno alla Chiesa che eviti gli eccessi: "tutto spirito" - "tutto intervento sociale"? Quale punto di riferimento?
E´ possibile assumere responsabilità frutto di un evolversi dell´attenzione sociale, non solo dettate dalla novità della legge?
Quei principi che hanno permeato la società e che sono infusione del cristianesimo nella cultura Europea, oggi, chiedono alla chiesa di essere dissodati, coltivati. Anzi la chiesa è chiamata a riconoscerli suoi ed a condividere l´esperienza civica che li vede solo ora in campo.
Nelle nostre comunità ci si sente chiamati ad assumere nuove modalità nel vivere la carità: come passare da una carità annunciata alla carità incarnata?
La parrocchia è chiamata ad assumere un rapporto con il territorio visto non come terra di conquista, di spartizione, nel tentativo di definire chi è con noi o contro di noi, ma come il "camminare" per due miglia quando si chiede di farne una, il dare l´unico mantello quando è chiesta la camicia. Una Chiesa che cammina nel territorio senza temere di vivere un comportamento "messianico" caratterizzato da una sovrabbondanza di sollecitudine, dedizione, generosità, con la sola preoccupazione di tutelare chi non sa dare voce al disagio che si tramuta in disadattamento, senza arroccarsi in difesa delle proprie ragioni, ma capace di farsi tutto a tutti per guadagnare i più.
La parrocchia è chiamata, dunque, ad un intervento diretto, con l´ausilio di associazioni e cooperative, in una logica di collaborazione, ricordando
che
i
processi educativi hanno bisogno di maggior progettualità e professionalità. Sono categorie che ci appartengono più personalmente che come esperienza comunitaria, forse anche noi abbiamo qualcosa da imparare.
Infine non guasta ricordare che la Chiesa esprime al massimo grado il suo servizio ponendo sull´altare il calice del vino, segno della divinità, unito a quelle poche gocce d´acqua che esprimono la nostra umanità. Mi piace intravedere in questa misteriosa unione il cammino della nuova evangelizzazione nel "territorio" che attende la Chiesa. Solo unendo il nostro essere poca acqua al vino, nel nome di Cristo, tutto il vissuto della comunità educante esprime l´identità di "comunità" che nell´umile servizio lascia trasparire il tocco vivificante della Trinità.