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Dio, il Padre di Gesù e Padre di tutti


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/01


di Antonio StaglianòUno dei tratti culturali più tipici della odierna società è la sua inarrestabile tendenza alla multietnicità: a causa del fenomeno migratorio, uomini e donne, diverse per razza e per cultura, vivranno insieme e saranno chiamati a progettare insieme il futuro della convivenza umana, le sue forme pratiche, sognando insieme la grande meta di un universo pacificato, giusto, solidale. Il mescolamento di popoli differenti crea - è ovvio - anche un nuovo modo di percepire se stessi, gli altri, la realtà che ci circonda, la propria relazione con Dio: chiede un ripensamento della propria fede, una conversione delle modalità concrete con le quali viene testimoniata nel mondo. Il contatto con nuovi linguaggi e costumi, con nuove appartenenze religiose porta non poco scompiglio nellŽidentità cristiana dei credenti dellŽOccidente opulento, almeno a due livelli tra loro interagenti: a. la rivisitazione dei termini teologici tradizionali con cui si avanzava la pretesa di universalità e di assolutezza dal cristianesimo, in quanto religione costituita dallŽevento dellŽIncarnazione del Figlio stesso di Dio nella carne umana (è il problema sollevato dalla teologia pluralistica delle religioni1); b. lŽurgenza di cercare e trovare un linguaggio più incarnato e testimoniale per "dire Dio", con maggiore consapevolezza critica e con più radicato ardore missionario, tenendo conto dellŽaccelerazione radicale a cui sono sottoposti oggi i cambiamenti culturali: il passaggio dalla stabilità alla mobilità segna in modo determinante la nostra epoca, incidendo nelle mentalità. Perciò oggi veramente "tutto scorre" e velocemente anche, perché cambia lŽocchio della mente e del cuore con cui guardiamo oltre noi stessi. Certo è che la fede cristiana non può essere vissuta e trasmessa fuori dalle trasformazioni sociali imposte dal fenomeno migratorio e dalle conseguenti mutazioni culturali. Il progetto culturale orientato in senso cristiano della Chiesa italiana promuovendo una peculiare attenzione al nesso tra fede e cultura avverte la pastorale delle comunità dellŽurgenza di lavorare con più grande fantasia e creatività nella testimonianza cristiana, sul presupposto che la nuova contestualità umana sta già costringendo alla scoperta di tratti inediti del volto di Dio - spesso disattesi o solo accennati -, ma che adesso urgono centralità teologica e pastorale.Il cristiano non crede tanto che "Dio è Padre", ma propriamente che Dio è il "Padre di Gesù", il Padre del Figlio che dona lo Spirito. LŽevangelizzazione "nuova" ha pertanto questo obiettivo chiaro, comunicare il volto trinitario di Dio, annunciare e far cogliere Dio come Padre di Gesù, sorgente di libertà da ogni schiavitù, forza di liberazione da ogni catena, illuminando con la sapienza della Croce le croci di ogni uomo, di tutta la gente. Ecco la buona novella: in Gesù Dio non è più genericamente Dio, ma è il Padre dellŽamore e della misericordia verso tutti. La fede che accoglie questo annuncio cambia la storia, poiché Dio non è una entità anonima collocata nellŽalto dei cieli (per altro mai raggiungibili). Dio ha un volto, non è una idea vaga di infinito o un sentimento generico del tutto, ma un agente nella vicenda quotidiana di noi uomini, aiutando e sostenendo il nostro faticoso sforzo di costruzione di una vita felice su questa terra. Perciò "Dio" non è "la divinità astratta" che nessuno vede - perennemente invisibile e pertanto "lontano e distante". TuttŽaltro, egli ha un nome: Dio è amore, il Padre che nel Figlio e per mezzo del Figlio dona il suo Spirito. Il suo vero mistero consiste non tanto nella sua indicibilità, ma nella sua vicinanza, nel suo essere realtà personale che parla, vive, entra in dialogo, comunica, si fa sentire, è compagno di strada di ogni uomo e di ogni donna in tutti i tempi e in tutti gli spazi dellŽuniverso: è il Padre di Gesù, il Padre di tutti e tutti in Lui sono figli e fratelli. Dio è il "Padre nostro" che chiama a condividere la sua vita di amore, richiedendo la comunione come il bene più prezioso e come la vera forza della gioia su questa terra. Per questo in Gesù, in particolare nella sua capacità di perdono, egli traccia la via per raggiungere la felicità su quella terra: è la via della misericordia, del "dono-per" gli altri come segno e simbolo delle persone divine, (cioè soggetti che si donano). Chi impara ad adorare "questo" Dio, si educa alla speranza fiduciosa, alla condivisione solidale, alla paziente sopportazione, al perdono misericordioso. Chi crede nel Padre di Gesù rinuncia alla vendetta, allŽegoismo, allŽindifferenza e si prende cura dellŽaltro, perché suo fratello.Il Regno di Dio, benché trascendente, in Gesù è divenuto vicino, è entrato definitivamente nella storia quale "pietra di inciampo" o "pietra di paragone", cioè criterio di giudizio per tutti gli uomini, di tutti i tempi e di ogni regione, qualificando il tempo col donargli una direzione di senso specifico e inconfondibile, aprendolo ad una novità vera: quella dellŽamore solidale tra fratelli che si vogliono bene, non tanto "nel sangue o nella carne", ma nella rigenerazione dello Spirito, e, pertanto, sono resi capaci di spingere il dono della vita fino a morire, testimoniando lŽamore con cui Dio nel Figlio li ha amati. La riscoperta del volto trinitario di Dio è così a fondamento del cristianesimo come "grande avventura di libertà": dovesse assumere forme di impoverimento dellŽumano nella sua libertà, realizzerebbe un tradimento di sé. LŽuomo è infatti persona, non massa o numero, è soggetto di amore e dunque di libertà: chi crede in Cristo è libero perché accoglie la rivelazione, "Dio è il Padre suo". Il "volto del Padre", il "Dio vivo e vero" la cui scoperta autentica realizza la vita della fede, essendo la fonte sicura per la rigenerazione anche dei rapporti tra gli uomini e tra tutti gli uomini. Le migrazioni ricordano al cristiano lŽimportanza di quella conversione a un Dio di tutti e per tutti che maturò nella prima comunità, agli albori del cristianesimo.La libertà dellŽopera dello Spirito richiese subito dalle comunità il cambiamento pratico della vita, ma anche il rinnovamento del modo di pensare. At 10,44-47 registra la meraviglia per la pentecoste sperimentata dai pagani. Pietro è chiamato a rendere ragione del battesimo loro conferito(At 11,1-18). La sua difesa dischiude i nuovi orizzonti, più aperti e universali, entro i quali il disegno di Dio avanza e progredisce. Occorre superare una idea di Dio troppo parziale e rendersi conto che "Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto" (At 10,34). LŽesperienza del Risorto allarga i confini della religiosità ebraica, impone una radicale revisione del modo di rapportarsi ai non circoncisi, rompe con le rigide interpretazioni della Legge circa il sacro e il profano, il puro e lŽimmondo, specie quando queste vengono applicate agli uomini: "Voi sapete che non è lecito per un Giudeo unirsi o incontrarsi con persone di altra razza; ma Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo" (At 10,28). Lo Spirito permette una comunione profonda, oltre la razza e la religione. La nuova fede in Gesù dischiude la possibilità di una convivenza dei diversi, giudei e pagani, rompendo i muri delle divisioni etniche e religiose.Oltre ogni cesura tra fede/religione e azione, occorre insistere sul profondo legame tra "adorazione di Dio" e "risveglio della coscienza della responsabilità etica", tra "conoscenza del volto vero di Dio" e "necessità dellŽimpegno per la redenzione del mondo". Dalla scoperta della novità di Dio Padre deriva infatti una "nuova religiosità" che incide nella vita della gente (contro lŽevasione religiosa e la schizofrenia tra pratica credente ed esistenza).Come è, infatti, impossibile pensare lŽessere-persona di Dio separatamente dalla sfera della sua attività, dal suo agire in Gesù, allo stesso modo sembra improbabile che il cristiano lo possa incontrare - avendo accesso alla sua vita - al di fuori di quellŽagire che ha rivelato lŽidentità personale di Dio sulla terra: lŽamore/agape. Questa consapevolezza destruttura lŽorganizzazione della pastorale ordinaria, immettendole nuovo dinamismo, richiedendole di fare i conti con quanto accade sulle strade, negli spazi di vita dove non tutto è omogeneo e sempre lo stesso, ma tutto è continuamente cangiante, e talvolta rischioso. La provocazione è che lŽevangelizzazione della Chiesa si faccia itinerante e impatti la vita concreta di tutti gli uomini, perché tutti si è figli che Dio vuole incontrare e tutti si è in cammino verso la stessa patria celeste. Ogni processo religioso di spiritualizzazione che distacchi Dio dalla vita concreta della gente è una falsificazione del Padre di Gesù. Le comunità cristiane, consapevoli di questo, dovranno intercettare i bisogni veri della gente, nei cui volti splende quello del Padre, con una invocazione dŽamore seria: "non lasciarmi morire da solo" o "sii solidale con me, vicino nel mio disagio". E poiché la vita umana scorre tra gli affetti e il lavoro, bisognerà che i cristiani mostrino che Dio si è interessato della vita, da sempre e, particolarmente, da quando facendo alleanza con Abramo gli promise figli e terra (=affetti e lavoro), fino a Gesù, il nato da un donna, Figlio di Dio, nella cui vicenda di solidarietà verso ogni uomo, di sofferenza e di morte-risurrezione, il Padre manifesta il profondo affetto che lo lega allŽumanità: un legame nel quale il Figlio, per rivelare lŽamore del Padre, gioca la sua stessa esistenza, spingendo il dono della vita fino a morire sulla croce.Tutto questo impegna le comunità cristiane a un atteggiamento accogliente nei confronti degli immigrati e degli "stranieri" che non si risolva però nella "famosa pacca sulle spalle", quanto piuttosto inneschi un processo di effettiva condivisione solidale. Vale anche per il problema degli immigrati, quanto Giovanni Paolo II nella sua recente lettera apostolica Novo millennio ineunte ha dichiarato a proposito dellŽurgenza per il cristianesimo di una nuova "scommessa sulla carità". Guardano allo scenario di povertà antiche e nuove che si allarga indefinitamente producendo emarginazione e discriminazioni sociali, il cristiano "deve imparare a fare il suo atto di fede in Cristo decifrandone lŽappello che egli manda da questo mondo della povertà. Si tratta di continuare una tradizione di carità che ha avuto già nei due passati millenni tantissime espressioni, ma che oggi forse richiede ancora maggiore inventiva. è lŽora di una "nuova fantasia della carità", che si dispieghi non tanto e non solo nellŽefficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna condivisione" (n. 50). In gioco ci sono i diritti fondamentali della persona umana per cui combattere la buona battaglia della giustizia, con intelligenza e libertà. Le forme della carità allora si moltiplicano: è carità effettuale, con il soccorso per la soddisfazione dei bisogni primari, senza i quali non si vive e per i quali si merita il paradiso, secondo certe espressioni chiare, benché dure del Signore ("Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi" (Mt 25,35-36); ma cŽè anche una carità intellettuale che è servizio alla cultura: si tratta di un lavorio faticoso, impercettibile, ma essenziale perché il contesto culturale cambi e nasca realmente quellŽapertura universale al bene comune, per il quale è inammissibile escludere chicchessia dalla fruizione del bene o distribuire i beni in un modo così sproporzionato da produrre ingiustizia sociale tra gli uomini.La contemplazione del volto del Padre - da parte dei cristiani - stabilisce il dovere di specchiarlo nel proprio volto e di guardarlo in quello degli altri, specie dei più poveri. Questa contemplazione richiede altresì di permettere al Padre di guardarci come suoi figli. Ora, ogni sguardo di padre verso il proprio figlio è sguardo di fiduciosa attesa e di timorosa speranza che il figlio germogli e cresca bene: la fede cristiana nel mondo è allora comprensibile come lŽavventura della libertà dei credenti a crescere e germogliare secondo lo sguardo del Padre di Gesù. Che questa avventura non sia risolvibile nelle noccioline natalizie, di qualche preghierina blaterata con la bocca o di qualche magistica partecipazione a cerimonie religiose lo capisce chiunque. LŽavventura invece pretende che la propria libertà si giochi, cioè si esponga, in nome di Dio verso lŽaltro - chiunque altro - in gesti concreti e visibili di carità (=agape) anche a costo del proprio annientamento, della perdita o rinuncia di sé, perché forte è lŽaffetto che lega a ogni persona: a costo della vita. Così viene a galla lŽuomo vero.LŽuomo vero accade quando lŽEterno incrocia la nostra fragile temporalità, compiendola, rilanciandola verso orizzonti di pace, di giustizia, di servizio, di amore.Alla stessa libertà dellŽamore, mostrata da Gesù crocifisso, rivelatore del Padre, è chiamato lŽuomo credente, nella consapevolezza di potercela fare, superando i limiti della carnalità egoistica e inoltrandosi, per grazia, sui prati ubertosi del dono di sé per lŽaltro. Questa concreta possibilità è dischiusa dalla croce stessa, in quanto essa è croce del Risorto e pertanto fonte dello Spirito di Dio, amore effuso nel cuore dellŽuomo.Dentro questa fondazione teologica, la carità cristiana assume le forme storico-pratiche di una solidarietà radicale, culturalmente rilevante, che investe i drammi della gente incontrata - qualunque colore di pelle abbiano -, e le contraddizioni del mondo, divenendo la possibilità storica del loro definitivo superamento nella libertà della fede.Uno dei delicati nodi dellŽattività pastorale delle Chiesa del prossimo immediato futuro sarà quello di ben focalizzare la rilevanza socio-politica dellŽadorazione religiosa della verità cristiana di Dio: il singolo credente, i gruppi e movimenti ecclesiali, le comunità parrocchiali dovranno cercare modi concreti per testimoniarla effettualmente nella vita individuale, sociale e politica.DallŽadorazione religiosa del Padre di Gesù e padre di tutti, infatti, non deriva tanto un "programma di rinnovamento sociale", ma, nelle dovute mediazioni umane ed ecclesiali, scaturisce una "provocazione permanente" per ogni assetto socio-politico, per ogni istituzione umana che tradisca "lŽuguaglianza che tiene conto delle differenze"o "lŽunità non escludente bensì includente il diverso", simbolizzate dal mistero trinitario, normative anche per la verità della realtà sociale. Sul fondamento della communio che Dio-Trinità è, e alla quale lŽuomo è chiamato, la fede cristiana si presenta nella forma di un umanesimo integrale: coglie tutto lŽuomo e tutto lŽumano, nellŽorizzonte dellŽincarnazione, e perciò nega come "non-cristiano" ogni privatizzazione o disimpegno o mancanza di cura per lŽaltro. LŽevangelizzazione cristiana pertanto dovrebbe avere un grosso impatto politico, non tanto perché lŽannuncio della buona novella del Regno di Dio pretenda imporre immediatamente una particolare progettualità storica, quanto piuttosto perché "aggredisce", convertendolo il soggetto-fondamento di ogni iniziativa politico-sociale: lŽio politico deve essere "io per lŽaltro" (secondo lŽinsegnamento evangelico del "farsi prossimo"), il cui paradigma normativo, benché eccedente, resta il Crocifisso. Nel suo muto silenzio, infatti, egli grida eloquentemente il suo "no" alla logica di Caino, dellŽirresponsabilità verso il fratello. Sarà questo un altro aspetto ben sottolineato dal progetto culturale orientato in senso cristiano: la Chiesa, comunità missionaria, dovrebbe provocare lŽinvenzione di una cultura politica di ispirazione cristiana, capace di attestare che Dio non aliena, ma incarna, che Dio compie le speranze e le attese, che Dio libera e sana, che la salvezza di Dio è storica e globale, anche politica.Da qui deriva lŽimpulso per una organizzazione collettiva degli uomini e delle donne nello spazio di una società partecipativa, capace di superare le difficoltà dellŽindividualistico capitalismo liberista (che mortifica la dimensione sociale dellŽuomo) e del massificante socialismo (che non rispetta la verità dellŽuomo in quanto persona).In questa società partecipativa indispensabile è lŽintegrazione di tutti e lŽeliminazione di tutte le forme di sfruttamento della manodopera e di tutte le situazioni di emarginazione a cui vengono talvolta sottoposti tanti fratelli immigrati, asserviti e resi schiavi dalla logica del profitto e del dominio che accalappia spesso anche tanti "bravi cristiani". La vita della parrocchia esige perciò - in un maggiore controllo critico della vita stessa dei cristiani - una più autentica coerenza, perché le "nuove solitudini" create dai processi di globalizzazione in atto possano essere superate in gesti di vicinanza e di comunione che fanno sentire tutti uomini amati, riempendo la vita di fiducia.Anche così i cristiani, seguendo la via di Gesù, con il dono del suo Spirito, in quanto figli assomiglieranno sempre più al Padre loro, il Dio di tutti. Si legge nel Prefazio della preghiera eucaristica V/C: "In lui ci hai manifestato il tuo amore per i piccoli e i poveri, per gli ammalati e gli esclusi. Mai egli si chiuse alle necessità e alle sofferenze dei fratelli. Con la vita e la parola annunziò al mondo che tu sei Padre e hai cura di tutti i tuoi figli".Prendendo atto delle sfide poste dalla mobilità umana sempre più crescente, emerge in tutta evidenza il carattere missionario della vocazione cristiana: i battezzati, infatti, non possono chiudersi nei confini ristretti del proprio territorio parrocchiale poiché sentono lŽurgenza del mandato "Andate e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15), ma sanno oggi della necessità di trovare nuove vie per realizzare questo compito così importante per la salvezza e la riconciliazione nel mondo. Si tratta di annunciare il Kerigma cristiano senza spostarsi nelle lontane asie o afriche, ma nel proprio stesso ambiente, dove ormai uomini di ogni popolo vivono e abitano: è una straordinaria occasione, ma certamente inedita, che permette ai cristiani di sperimentare quanto hanno sempre teoricamente sentito: la capacità di integrare il diverso, sentendo che lŽaltro è sempre ricchezza di valori umani da apprezzare a partire dalle sue doti personali e culturali e non meno dalle sue particolari tradizioni religiose. La conversione cristiana diventa qui anzitutto un cambiamento di mentalità e unŽinversione di rotta perché il dialogo con le culture e le religioni contribuisca alla crescita delle persone e della società e perché si realizzi una pacifica e fraterna convivenza nel rispetto della dignità, della libertà, dellŽidentità e della storia di ciascuno.