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Lectio divina: Le apparizioni del risorto (Matteo 28)


Ufficio Catechistico Nazionale - Catechesi


di Mons. GIOVANNI GIAVINI



Dubbi e certezze


Il cap. 28 narra esperienze indicibili, "al di là" del normale. Probabilmente è per questo motivo che ogni evangelista cammina per conto suo quando presenta la scoperta del sepolcro vuoto e le apparizioni del Risorto.
Certo, le numerose divergenze nei quattro evangelisti possono generare dubbi sulla loro credibilità. Difatti lil hanno generati e conviene riconoscergli qualche fondamento. D’altra parte tutt’e quattro (in realtà sono cinque, perché il cap. 16 di Marco contiene sue racconti, di diversa origine, sulla risurrezione) testimoniano sia il sepolcro vuoto sia apparizioni di Gesù; l’annuncio poi che il Crocifisso è passato dalla morte, da tale morte!, a nuova vita si trova disseminato in tutto il Nuovo Testamento, anche se con linguaggi diversi. Senza questo annuncio – il famoso Kerygma – non avrebbe senso la Chiesa, non si spiegherebbe la fede di tanti martiri, resterebbe sul vuoto una conversione come quella di Saulo-Paolo, rimarrebbe una tragedia il racconto della Passione e una follia l’averlo composto, un controsenso.
Non rimane quindi che prendere i racconti evangelici su Gesù risorto come derivanti da dei fatti sperimentali; quelli però furono composti non per descrivere lo svolgimento preciso degli avvenimenti, ma per metterne in risalto il senso più profondo, più vero, più luminoso.
Quali fatti stanno alla base dei racconti? Non sta alla base dei racconti l’aver visto Gesù risorgere. Solo qualche vangelo apocrifo (e poi molti artisti) descrivono tale momento. I nostri vangeli no. Che cosa ci voleva a inventarlo? Non l’hanno fatto.
Si intravedono invece altri fatti: sepolcro vuoto, smarrimento, gioia sempre più intensa, voglia di gridare a tutti di aver "visto" il Crocifisso risorto da morte, passato a una vita nuova e immortale, anzi salito "alla destra di Dio" (dove il Giudaismo poneva la divina Toràh).
Ogni evangelista rivive e narra a suo modo quei fatti, da storico, ma ancor di più da t
eologo e catechista. Osserviamo ora il nostro Matteo.


Voi donne no!


All’inizio del cap. 28 c’è una brevissima annotazione cronologica, ma anche simbolica: il "sabato", la festa giudaica, è ormai passata, c’è una nuova settimana, anche se sembra ancora tempo di funerale e di pianto, specialmente per le donne.
Subito dopo Matteo ricorre al linguaggio apocalittico, come vi era già ricorso per la morte di Gesù: gran terremoto, un angelo sceso dal cielo con aspetto sfolgorante e in veste bianca (simbolo di immortalità), la pietra viene rotolata. Gran spavento per le guardie, "terremotate e diventate come morte". Invece: "Voi donne no, non abbiate paura!" E’ evidente che l’evangelista, in questo brano, vuol sottolineare la sorpresa, l’imprevisto, il contrasto tra lutto e gioia, vecchio e nuovo, sconforto e paure e terremoto da cui irrompe la Vita.
Alle donne che, nonostante tutto, cercavano ancora Gesù, viene annunciato quello che diventerà, anzi che, quando Matteo veniva scritto, era già diventato il Kerygma apostolico: "E’ risorto… è risorto dai morti!"
Matteo (e Marco) completano il Kerygma, oltre che con la missione alle donne di annunciarlo ai discepoli, con uno strano "li precede in Galilea": forse perché alcuni discepoli pensavano già alla fuga verso il natio lago, le barche e le reti da pesca? O anche per dire che si ricominciava da capo, lontano però dalla ostile Gerusalemme?
Comunque le due Marie, in tutta fretta, "con timore e gioia grande" (simile a quella dei Magi) corrono a compiere la loro missione.
Durante quella corsa incontrano Gesù con un suo nuovo invito alla gioia: "Gioite" (piuttosto che "Salute a voi", come scrivono traduzioni moderne), cui seguirà un "non temete". La gioia dell’incontro produce un pronto "avvicinarsi" affettuoso e adorante, delle donne a Gesù, anzi ai suoi piedi, con l’intento di non perdere più il loro Gesù. Ma il Signore ripete che quello era il tempo non del godimento estatico ma dell’annuncio: "Andate ad annun
ziare ai miei fratelli che vadano in Galilea, là mi vedranno". Sorprendente quel "miei fratelli", dopo tutto quello che Pietro e soci avevano fatto durante la Passione! All’invito alla gioia si accompagna dunque il messaggio del perdono, della rinnovata amicizia. Gesù è proprio ancora quello di prima? Si e no, come vedremo tra poco.


Paura e denaro


Matteo è il solo a ricordare le vicende delle guardie "terremotate per la paura": corrono dai capi, narrano l’accaduto, ricevono una buona somma di denaro – Matteo, ex pubblicano, se ne intendeva – e si prestano a coprire con una bugia la verità: "I suoi discepoli, di notte e mentre dormivano, l’hanno rubato dalla tomba ", bugia con le gambe proprio corte; già antichi Padri scherzavano su quel "mentre dormivano": come potevate aver visto quei ladri? Ma ancor più impressionante è l’accanimento di quella gente: non cede nemmeno di fronte ai fatti! E’ proprio vero che nemmeno una risurrezione smuove il cuore di chi non vuol credere.
Piuttosto però conviene notare l’intento apologetico di Matteo: l’evangelista vuol difendere la Chiesa da accuse e sospetti di imbroglio. Lo poteva fare solo se e perché era certo della verità storica del sepolcro vuoto e del suo significato, attestata concordemente dagli evangelisti.


Tomba vuota e risurrezione


Qui occorre non cadere noi nella tomba dell’equivoco, la tomba vuota, per sé, non esprime bene la realtà della risurrezione di Gesù. Quella fu solo un segno, un segno miracoloso di una realtà ben al di là di una semplice uscita da una tomba, Gesù risorto è ben di più e assai diverso da un semplice cadavere redivivo! La vita che lui ora possiede non è più mortale, non è più come prima. E’ una vita umana, non solo spirituale, non è solo quella di un’anima sciolta dai legami col corpo; Gesù è risorto come uomo, anima e corpo. Eppure è anche trasformato, è anche trasportato in una vita nuova: è un uomo signore "del cielo e della terra".
Tutti gli evangelisti, e San Paolo anco
r più decisamente (cfr. Rom 6; I Cor 15), sono concordi anche su questo punto capitale e lo mettono in risalto con i loro racconti delle "apparizioni" di Gesù. Matteo lo fa con il quadretto finale: Gesù appare in Galilea tra gli Undici, presi ancora tra dubbio e adorazione, "si avvicina" lui a loro (a differenza delle donne! Gli Undici avevano probabilmente anche paura di rimprovero…) e dichiara la sua nuova esistenza: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra". Ecco la ripresa del tema del Regno, tanto caro a me.
Ma come alle donne, ancora qui Gesù frena ogni sogno di paradiso: anche per gli Undici inizia il tempo di "andare" presso "tutte le genti" per "renderle discepole" della Buona Novella, "battezzarle nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo" (formula probabilmente dovuta alla tradizione matteana), "insegnare loro a osservare tutto ciò che ho comandato a voi".
Questa missione è segno della rinnovata fiducia in quei "voi", nonostante tutto quello che era successo; era anche un rinnovato invito a "osservare" innanzitutto loro i suoi insegnamenti per essere in grado di educare altri. Ecco perché Matteo ha voluto anche scrivere il suo meraviglioso libro: da discepolo del Maestro e Signore, ma anche da maestro lui pure, non solo da ripetitore né da biografo preoccupato di cronache precise. Insomma l’ha scritto da discepolo e catechista!
L’ultima frase del cap. 28 è un bel richiamo all’Emmanuele di 1,23: "Io sono con voi tutti i giorni" per sempre.
Anche con voi, che assomigliate a Matteo, perché impegnati nel servizio della Parola.
E spero anche con me.