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Presentazione della Settimana 1998

Ufficio Nazionale per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso

Presentazione della Settimana 1998





Il testo proposto quest’anno alla comune riflessione costituisce un unicum in tutto il Nuovo Testamento ed il suo carattere paradossale non può sfuggire. Ma la paradossalità del testo si traduxe subito in sfida non appena lo contestualizziamo nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Che cosa domandiamo a Dio? Che cosa diciamo nelle nostre preghiere?
Il gemito della vita, il gemito della sofferenza ci sono noti, sono il pane quotidiano dell’umanità di ogni tempo. Ma in mezzo a questi gemiti che ricordano la comune appartenenza della creazione e dell’essere umano, vi è posto anche per dei "sospiri" che aspettano di farsi parole, gesti, azioni; il reciproco riconoscimento di una fraternità che ci è donata in Cristo. Aspettiamo il giorno in cui questi "sospiri" ineffabili che attestano la nostra comune adozione trasformino i nostri gemiti, le nostre attese confuse in una grande festa. Sono questi "sospiri", opera creatrice dello Spirito che possono far cadere i muri dei grandi discorsi e delle grandi affermazioni della sapienza umana che oppongono resistenza alla riconciliazione operata da Dio in Cristo (2Cor 5,18ss).
Invocare lo Spirito e riconoscere la propria debolezza, la propria incapacità di preghiera sono le due facce di una stessa medaglia.
Debolezza. E quanto sperimentiamo quotidianamente in tutti gli ambiti della nostra vita, anche nella nostra vita di fede: neppure la dimensione della preghiera sfugge a questa debolezza. E qui l’apostolo Paolo tocca una ferita aperta: il non sapere come pregare accoluna d’un sol colpo chi frequenta poco la preghiera e chi la pratica regolarmente ed intensamente.
Debolezza del nostro pregare: debolezza< dell’interiorità, crisi permanente della nostra spiritualità che vorrebbe raggiungere mete assolute ma che non è equipaggiata per le alte quote. Rainer Maria Rilke ha affermato che "in nessun luogo ci sarà mondo se non nell’interiorità", ma Paolo mette a nudo
proprio questa nostra incapacità d’interiorità, la spiritualità. Anch’esse possono infannare, anch’esse possono portare la vita umana alla deriva, nelle secche di un ruscello che ha abbandonato il suo letto e si è tracciato un nuovo percorso.
Ma non è lo stesso Paolo ad affermare che è precisamente nella sua "debolezza" di essere umano e di apostolo che Dio ha compiuto la sua potenza (2Cor 12,9)? Non è della fragilità della sua esistenza che Dio si è servito per annunciare Cristo ai pagani? Non è forse in "vasi di terra" il tesoro di cui egli parla (1Cor 4,7)? La nostra preghiera non sfugge a questa realtà ambivalente: essa è debole della debolezza che ci abita come creature umane. E questo "deficit" incommensurabile che lo Spirito colma e quando ci restituisce alla parola allora possiamo gridare "Abba", Padre.
L’unità visibile della chiesa non sarà dunque raggiunta con gli sforzi delle nostre preghiere: "noi non sappiamo come pregare". Ma non si raggiungerà neppure senza le nostre preghiere, perchè è nella preghiera che lo Spirito è all’opera. Lo Spirito interviene, soccorre, provoca dei "sospiri" che non si possono spiegare, ma non per questo non sono reali, che sfuggono alla razionalità, ma non per questo non agiscono. Sono questi "sospiri£ che ci aiutano a guardare oltre la nostra debolezza, non certo a negarla, ma ad assumerla nel segno della speranza. L’intervengo dello Spirito e precisamente l’intervento risolutivo che trasforma le nostre diverse glossolalie in parole articolate e accettevoli a Dio. E lo Spirito che intercede per me, per la comunità cristiana davanti a Dio perchè la preghiera possa essere da lui esaudita. Se vi è un luogo in cui Dio non abbandona questo è il luogo della preghiera, là dove la nostra grammatica umana si rivela incapace di dire l’indicibile: qui ci soccorre, creando un senso.
Con queste riflessioni invitiamo i membri delle nostre Chiese che sono in Italia a partecipare agli incontri di preghiera per l’unità dei cristiani
, lasciandosi guidare dallo Spirito "che viene in aiuto della nostra debolezza" (Rm 8,14-27).