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Ecumenismo e azione dello Spirito Santo

Ufficio Nazionale per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso

ECUMENISMO
E AZIONE DELLO SPIRITO SANTO



Un intervento del Presidente del Segretariato CEI per l´ecumenismo e il dialogo in connessione con l´anno dedicato allo Spirito Santo.





S.E. Mons. GIUSEPPE CHIARETTI
Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve




1. L’ecumenismo, e cioè lo sforzo delle Chiese e delle comunità cristiane divise tra di loro di ricostruire il segno visibile dell’unità e della comunione dell’unica Chiesa di Cristo, è per necessità di cose opera dello Spirito Santo, alla cui azione si deve il corpo mistico di Cristo - la Chiesa - a Pentecoste, così come si deve il suo stesso corpo fisico dell´Annunciazione.
Lo ricorda ripetutamente il Papa nella Tertio Millennium Adveniente, allorché chiese "in questo ultimo scorcio di millennio... più accurata supplica allo Spirito Santo, implorando da Lui la grazia dell´unità dei cristiani..., che è, in definitiva, dono dello Spirito Santo" (n. 34): "Problema cruciale" quello della divisione dei cristiani, per il cui superamento occorre "uno sforzo enorme", componente di questo sforzi è una intensa concorde appassionata preghiera ecumenica, che, anche se "molto intensificata dopo il Concilio, deve crescere ancora, coinvolgendo sempre più i cristiani" (ib.).
E il decreto conciliare sull´ecumenismo Unitatis Redintegratio che al n.7 dice: "Il desiderio dell´unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall´abnegazione di sè e dalla liberissima effusione della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia della sincera abnegazione, dell´umiltà e mansuetudine nel servizio, della fraterna generosità d´animo verso gli altri". E che lo Spirito Santo sia già in azione all´interno del movimento ecumenico, che sta comunque procedendo anche se con fatica e perplessità, è pieno convincimento dell´attuale Pontefice, cui si deve un forte impulso all´ecumenismo. "non v´è dubbio, - egli scrive a conclusione della Ut Unum Sint -, che lo Spirito agisca in quest´opera e che stia conducen
do la Chiesa verso la piena realizzazione del disegno del Padre, in conformità alla volontà di Cristo" (n. 100). Guardando anzi con coraggio profetico al futuro, il Papa afferma: "La potenza dello Spirito di Dio fa crescere ed edifica la Chiesa attraverso i secoli. Volgendo lo sguardo al nuovo millennio, la Chiesa domanda allo Spirito la grazia di rafforzare la sua propria unità e di farla crescere verso la piena comunione con gli altri cristiani" (n. 102). Per questo occorre non abbattersi dinanzi ai tanti ostacoli che "il lungo e arduo pellegrinaggio ecumenico" comporta (n. 82), ma procedere in questa direzione" con la speranza nello Spirito, che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie dolorose della separazione" (n. 102).
2. Il magistero solenne e autorevole della Chiesa, come si vede, segna un percorso che il Papa a Wroclaw ha definito ancora una volta, il 31 maggio 1997, "irreversibile". Egli ha ben compreso che quello di "assicurare la comunione di tutte le chiese" è suo compito specifico come successore di Pietro, "primo tra i servitori dell´unità", testimoniando la verità" ma "sempre nella comunione" (nn. 94-95), e facendosi "segno di misericordia, essendo il suo un ministero di misericordia nato da un atto di misericordia di Cristo" (n. 93). Quella del suo ruolo specifico di primo servitore dell´unità nel segno della misericordia, e non solo nel segno della verità o della giustizia in astratto, - pur senza negare ovviamente la fedeltà alla verità -, è la grande folgorazione di Giovanni Paolo II. Per questa ragione egli ha rimesso in discussione l´esercizio dello stesso "primato", onde aprirsi "ad una situazione nuova" (n. 95).
Altra folgorazione è quella del rapporto inscindibile tra nuova evangelizzazione, di cui c’è urgente bisogno anche all’interno delle comunità cristiane di antica e consolidata tradizione, ed ecumenismo, proprio in base alla preghiera del Signore "nel momento in cui Egli si avvia verso il dramma salvifico della
sua Pasqua" (n. 100): "Che siano tutti una cosa sola, o Padre, perchè tutto il mondo conosca che tu mi hai mandati" (Gv 17,21). E cioè il mondo potrà conoscere l’origine divina di Gesù e della sua missione tra gli uomini solo se la comunità dei credenti in Lui darà il segno dell’autenticità divina, e cioè l’unità e la comunione che nascono dalla carità che "è Dio" (1Gv 4,8-16). Tale unità e tale comunione fanno della Chiesa una presenza reale del Signore Gesù nel tempo e nello spazio, icona del mondo nuovo che è "il popolo di Dio radunato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (san Cipriano), e per questo "segno e strumento dell’unità e della comunione di tutto il genere umano" (LD 1). Una comunità frantumata e dispersa non ha questi contrassegni divini, e quindi non è credibile, e la sua evangelizzazione non è autentica. Chiunque potrebbe dirgli: "medice, cura te ipsum!". E cioè: "Chiesa, che pretendi di venire a medicare i guai del nostro egoismo e delle nostre divisioni, cura prima i tuoi malanni, se vuoi che la tua parola e la tua testimonianza diventino convincenti!".


3. In quest’opera di ricostruzione dell’unità e della comunione, lo Spirito Santo è assolutamente necessario. Le divisioni del secondo millennio nella Chiesa sono state come una serie di fulmini abbattutisi su una quercia maestosa: hanno bruciano alcuni rami, hanno squarciato il tronco in tre grossi tronconi, ma non sono arrivati a intaccare le radici. Il radicamento dei cristiani in Cristo è ancora saldo, poichè tutti, attraverso il santo battesimo e la professione di fede trinitaria comuni a tutte le chiese e comunità cristiane, sono saldamente "incorporati" in Cristo e "concorporati" tra di loro. Attraverso di essi, come cellule del corpo mistico di Cristo, passa la linfa della grazia che produce ancora foglie e frutti, e cioè segni di vita (santità, martirio, carità...) che dobbiamo tutti riconoscere per trarne comune beneficio ("scambio dei doni"). Ma questa lacerazione pr
ofonda delle nostre carni vive non può ancor bene a nessuno: e solo lo Spirito, che ha generato il corpo della Chiesa attraverso le continue pentecosti, può rigenerarlo nella robustezza d’un unico tronco e nella bellezza d’una folta chioma carica di frutti, ove gli uccelli dell’aria tornino a posarsi per la loro quiete.


4. Ecco perchè dobbiamo crescere in una autentica spiritualità ecumenica e invocare con insistenza la forza dello Spirito: l’ha ripetuto Chiara Lubich nella sua bella testimonianza all’Assemblea Ecumenica di Graz nel giugno scorso. E dobbiamo operare per le vie d’un ecumenismo fattivo e convinto e non più accademico o sospiroso: ne ha parlato con forza papa Giovanni Paolo II a Wroclaw il 31 maggio scorso. Il punto di partenza è sempre lo stesso: la preghiera. E questo il primo fondamentale gesto d’umiltà e d’amore d’ogni credente in Cristo: una preghiera insistita, appassionata, forte, come quella della beata Gabriella Sagheddu o di san Leopolto Mandic, consolidatasi come felice tradizione d’ogni confessione e d’ogni comunità nella veglia di Pentecoste (come volle Leone XIII) o nella "Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani" (18-25 gennaio). Tale Settimana è peraltro proceduta da una giornata di riflessione sull’ebraismo, la "santa radice" dei cristiani (17 gennaio). Con la preghiera e dopo la preghiera allo Spirito (non va mai dimenticato il monito di Gesù: "senza di me non potete far nulla!" Gv 15,5), viene tutto il resto: l’incontro sulla Bibbia, l’abbraccio fraterno, il dialogo teologico con le doverose "recezioni", la riconciliazione delle memorie e dei linguaggi, l’impegno in comuni iniziative di solidarietà, il reciproco perdono - chiesto e concesso - delle offese concrete, il permanente dinamismo di conversione a Dio e di riconciliazione fraterna, l’accettazione serena delle diversità compatibili, le intese e gli accordi parziali, e così via, in piena obbedienza allo Spirito che sta conducendo la sua Chiesa su vie inedite ma ne
cessarie.
Tutto ciò è fatica, senza dubbio, ma è anche certezza di vita più piena. Sia ben chiaro a tutti: le divisioni ecclesiali sono un peccato e uno scandalo, sempre; superarle attraverso un serio processo di conversione e di riconciliazione è un dovere e un obbligo, sempre. Per tutti.