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Il saluto di Mons. Giuseppe Betori


Ufficio Catechistico Nazionale - Catechesi


Il saluto di Mons. Giuseppe Betori



Sono venuto a portarvi il saluto mio e di mons. Chiarinelli e con lui della "Commissione episcopale per la dottrina della fede e la catechesi" e di mons. Antonelli, Segretario Generale.
Direi però anzitutto che il saluto è mio, perché questa riunione è nata così, da un incontro dopo una relazione a Collevalenza quando io ero ancora direttore dell’Ufficio Catechistico.
Il saluto vuol essere innanzitutto un invito a rendervi conto dell’importanza di questa iniziativa, almeno per l’Ufficio Catechistico Nazionale. Si rischia sempre di passare sopra alle persone, mandando proclami e magari anche facendo buoni testi, buoni sussidi, ma alla fine mediando la sua funzione attraverso delle carte, mentre invece è fondamentale il contatto con le persone. Credo che la comunione pastorale nasce anzitutto dalla comunione fra le persone. Allora iniziative come questa che mettono a confronto le persone per conoscersi, per dialogare, per individuare insieme cammini comuni siano delle iniziative molto importanti.
Rivisitare ed aiutare a far crescere la catechesi in Italia attraverso un rapporto sempre più stretto tra le persone che hanno la responsabilità della promozione della catechesi nelle diocesi penso sia un punto qualificante dell’azione dell’Ufficio Catechistico Nazionale e quindi anche dell’impegno che noi metteremo e che voi metterete in queste giornate.
Vorrei richiamare semplicemente un aspetto del contesto ecclesiale nel quale viene a collocarsi questo incontro: non dobbiamo dimenticare che anch’esso sta dentro un cammino di Chiesa. Non è in gioco solo il cammino della catechesi, ma il cammino delle nostre Chiese locali.
Dentro questa prospettiva mi soffermo su tre considerazioni che possono aiutarci a riflettere sull’identità dell’ufficio e del direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano. La prima suggestione che a me sembra di vedere presenta nel grande convegno di Palermo è la inestricabile unitarietà tra le d
imensioni formativo-comunionale e missionaria. Avendo avuto la sfortuna-fortuna di dover lavorare a Palermo (prima nella preparazione della traccia, poi nella elaborazione del testo dopo Palermo), ho visto quanto era difficile attribuire l’uno e l’altro compito alla dimensione formativa, ovvero alla costruzione della comunione all’interno della comunità ovvero alla dimensione missionaria. In realtà queste tre dimensioni, che da un punto di vista astratto potrebbero sembrare tre funzioni diverse della vita della Chiesa, sono strettamente intrecciate l’una con l’altra, cosicché non si può dare una formazione che non sia al tempo stesso "costruire comunione", né si costruisce la comunione a prescindere da una crescita della consapevolezza e quindi da un’adeguazione della formazione. La stessa cosa si potrebbe dire per la dimensione missionaria.
Questa prospettiva mi sembra molto importante, perché quando noi poniamo di fronte alla nostra coscienza il problema della nostra identità, sia come uffici, sia come persone che reggono e coordinano questi uffici, non dobbiamo pensare soltanto che la nostra finalità è limitata al problema della formazione dell’educazione alla fede, ma coinvolge anche queste altre dimensioni della comunione e della missione.
Questo spiega anche la seconda sottolineatura che vi chiederei di tenere presente nella vostra riflessione e che è una delle caratteristiche emergenti del documento del dopo Palermo: il forte accento a rompere con una pastorale tradizionale e abitudinaria. C’è un’espressione molto forte che parla di una "conversione pastorale" della nostra Chiesa. Oggi in Italia si richiede una conversione pastorale. Non è più il tempo (si riprendono le parole del Papa) della semplice conservazione dell’esistente, ma della missione.
La prospettiva missionaria diventa una chiave di lettura del progettarsi della Chiesa oggi. Nella nostra situazione culturale e sociale diventa anche un modo di intendere la funzione del servizio alla P
arola, per cui non ci meraviglierà se oggi viene sottolineato non tanto il momento catechetico in senso stretto, quanto piuttosto il momento evangelizzante in senso ampio e in esso il momento della prima evangelizzazione. Promuovere una pastorale di prima evangelizzazione che abbia al suo centro l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto, salvezza di Dio per ogni uomo, rivolto agli indifferenti e ai non credenti e l’impegno primario della Chiesa.
La terza sottolineatura è rappresentata dalla forte consapevolezza emersa a Palermo e soprattutto nel dopo Palermo, del bisogno di un confronto sempre più serrato tra il Vangelo e la mentalità dominante nella società contemporanea. Il problema di costruire una mentalità cristiana (centrale nell’educazione di fede), è un fattore propulsivo del rinnovamento della nostra società oggi. Ciò che si usa adesso chiamare "progetto culturale", al di là di tutte le situazioni e gli interrogativi che stanno dietro, è prendere sul serio in modo organico questo problema del costruire delle mentalità sempre più illuminate dalla fede. Il problema della mentalità è al centro anche del progetto catechistico sotto la forma dell’educazione alla mentalità di fede. Esso va ripensato e va riposto al centro del nostro interesse anche nel suo risvolto culturale. Ciò non significa rinnegare il passato, non significa rinnegare il nostro impegno per la catechesi ai fanciulli. Occorre però essere capaci di rispondere alle urgenze del momento, anche con creatività, e non solo con fedeltà al passato.


Auguri a voi per queste giornate.