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Introduzione del Direttore generale Migrantes (G.Perego)
Seminario su:“Salute e migrazioni: quale cura per la mobilità?”

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/12


Dopo il saluto di S.E. Mons. Crociata entriamo nei lavori del nostro Seminario, dal titolo: “Salute e Migrazioni: quale cura per la mobilità?”, organizzato congiuntamente dall’Ufficio di pastorale della salute della CEI e dalla Fondazione Migrantes, organismo pastorale della CEI.
La coniugazione di salute e migrazioni, nell’opinione pubblica e nel mondo dell’informazione molto spesso subisce i vizi pregiudiziali dell’informazione tout court sui migranti. Le ricerche realizzate dall’Università La Sapienza di Roma per conto dell’Ordine dei giornalisti e della Federazione della Stampa hanno dimostrato come l’informazione sia carica di semplificazioni e pregiudizi, per non dire falsità che riguardano il mondo dell’immigrazione e delle minoranze in Italia. Per questo non è raro nell’opinione pubblica, negli articoli dei giornali anche sul piano dell’immigrazione segnalare patologie che gli immigrati porterebbero in Italia, il rischio per la salute dei cittadini italiani che l’immigrazione comporta, oltre al carico di costi per la salute degli immigrati.
L’informazione e le ricerche scientifiche hanno più volte dimostrato come gli immigrati, per lo più giovani con un’età media di 31 anni e quindi sani (pesano solo il 2% sulla spesa farmaceutica), si ammalano in Italia; che i casi di malattie infettive, che pure esistono tra gli immigrati (9% dei ricoveri in day hospital), si aggravano in Italia soprattutto nel mondo dello sfruttamento sessuale e della tratta; che gli infortuni sul lavoro colpiscono gli immigrati da 2 a 8 volte più degli italiani (si pensi che il 22% di tutti i ricoveri ordinari e il 9% dei day hospital degli immigrati riguarda traumatismi); che la cura della salute di molti anziani soprattutto non autosufficienti, minori e disabili è affidata a molte persone, donne immigrate in oltre 1 milione e mezzo di famiglie; che gli immigrati subiscono spesso discriminazioni nella tutela del diritto alla salute; che l’accesso ai servizi sanitari e di ospedalizzazione degli immigrati (in regime ordinario e in day-hospital) è di gran lunga inferiore a quello degli italiani per quanto riguarda gli uomini (20% in meno in regime ordinario e 57% in day hospital) ed è superiore nelle donne del 13% solo in ragione dei ricoveri per parto o per interruzione di gravidanza (il 58% dei ricoveri ordinari e il 52% dei day hospital delle donne immigrate).
Lo slogan Salute per tutti scelto dalla SIMM (Società italiana di Medicina delle migrazioni) nel suo ultimo Congresso nazionale a Palermo - i cui Atti ora sono disponibili - segnala come l’universalismo dei diritti trovi nella tutela del diritto alla salute degli immigrati una grave debolezza e incongruenza, ripetute disuguaglianze. Soprattutto oggi in cui il fenomeno delle migrazioni in Italia è cresciuto (oltre 5 milioni di persone di 198 nazionalità diverse) ed è diventato strutturale ai luoghi fondamentali della nostra vita (lavoro, scuola, famiglia, chiesa e città), la tutela della salute chiede una relazione nuova sul piano sociale e culturale, religioso nell’ottica interculturale o transculturale, oltre che un rafforzamento del monitoraggio della situazione sanitaria degli immigrati. La salute rimanda immediatamente alla cura, in un rapporto certamente stretto.
Il Seminario - anche alla luce dei tre ambiti di lavoro scelti ( migrazioni e servizi sanitari, migrazioni e problemi psichiatrici, migrazioni e tutela della maternità e della vita) - vuole aiutare a comprendere come la cura nasca non solo da una nuova terapia, da nuovi farmaci, ma anche da un modello nuovo di città, di relazioni educative e sociali, di servizi alla persona, da una nuova rete solidale e di accompagnamento.
La cifra dell’ospitalità, da cui nasce anche il luogo dell’ospitalità nella cura (l’ospizio in epoca patristica e l’ospedale in epoca medioevale, con le declinazioni successive in epoca moderna e contemporanea), dice come una cura nasce dentro la città, dentro percorsi di accoglienza e non di esclusione, dentro “alleanze educative”, per riprendere una sottolineatura pastorale del documento dei Vescovi italiani per il decennio Educare alla vita buona del Vangelo.
Non c’è cura senza interrelazione, intercultura, integrazione. Non c’è cura senza un servizio inteso non solo come prestazione, ma anche come luogo di incontro, conoscenza e relazione (come nel caso dei 683 servizi censiti nella rete ecclesiale socio-sanitaria nel decennio 2000-2010).
Non c’è cura senza una città aperta, dentro una debole cittadinanza. Non c’è cura senza un’attenzione preferenziale anche ai più deboli nel mondo dell’immigrazione: le vittime, gli irregolari, i minori non accompagnati, i disabili, le donne sole, gli apolidi. Non c’è cura dove c’è discriminazione.
Mi auguro, ci auguriamo, in questo tempo di Avvento, che anche questo Seminario sia un momento importante di riflessione e confronto che, a suo modo, possa anche aiutarci a preparare il Natale, contemplando il mistero della salvezza. Un Natale che siamo chiamati a vivere anche attraverso la cura della vita che nasce, della vita e della salute di chi fugge ieri in Egitto e oggi in Italia da persecuzioni e guerre, della vita e della salute di chi è lontano dalla propria casa e dalla propria terra.