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La cura pastorale degli immigrati (G.Perego)
Camminare insieme con l'umanità (G.S. 40) - Seminario Caritas “Chiesa e immigrazione”, Roma 28.10.2011

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/11


40 anni di Caritas italiana e 40 di storia migratoria

Nel 1971, quando nasceva Caritas Italiana, l’Italia viveva un periodo cruciale della migrazione interna e verso l’estero e si affacciava al nuovo fenomeno dell’immigrazione.
1. Finiva l’emigrazione di massa, che nel 1973 vedeva per la prima volta dopo un secolo il saldo positivo del movimento migratorio: si passava dai 167.721 emigranti del 1971 agli 84.877 del 1980. La ragione di questo saldo positivo era da ricercare, però, in una crisi economica internazionale, che aveva imposto licenziamenti e forzati ritorni in patria. L’intero sistema migratorio europeo negli anni ’70 si va trasformando e iniziano a cambiare anche le politiche e la legislazione. Infatti, gli Stati europei di antica immigrazione accentuano i provvedimenti restrittivi per i lavoratori stranieri: inizia la Svizzera nel 1970, seguita dalla Germania nel 1973 e dalla Francia nel 1974. I provvedimenti restrittivi portano con sé anche l’inizio in Europa di una nuova stagione di emigrazione illegale proveniente dai Paesi non comunitari.
Per l’Italia, sul piano istituzionale il 1970 è anche l’anno dell’attuazione del dettato costituzionali sulle regioni, che modifica anche le competenze relative alle politiche dell’emigrazione, soprattutto sul piano della formazione e professionale e dell’assistenza sociale. Esplode anche l’associazionismo italiano all’estero, soprattutto sul piano culturale ed economico, mentre s’indebolisce l’associazionismo politico e sindacale.
Nel 1975 viene convocata a Roma la prima Conferenza nazionale dell’emigrazione, a cui partecipa l’UCEI - l’ufficio della CEI per gli emigranti - dove i temi al centro sono: la doppia cittadinanza, il diritto alla casa, i ricongiungimenti familiari, la scuola, le rimesse, la stampa. Gli anni ’70 si chiudono con il terremoto che colpisce la Campania e la Basilicata che porta a emigrare all’estero oltre 20-25.000 persone, oltre a un numero simile di spostamenti interni.
Negli anni ’70 si modifica anche la migrazione interna, che avrà un carattere più complesso rispetto a quello da Sud a Nord. Anzitutto assistiamo a una drastica riduzione (oltre il 30%), anche per la crisi della grande industria e le politiche del welfare e lo sviluppo del terziario.
2. La nascita della Caritas nel 1971 se coincide con la crisi dell’emigrazione italiana corrisponde anche al momento in cui l’Italia inizia a diventare Paese di immigrazione, tanto da insinuare un editoriale della nostra rivista ‘Servizio Migranti, già nell’aprile del 1971, con il titolo: “E se l’Italia fosse un Paese di immigrazione?’. Nel censimento del 1971 gli immigrati sono 120.000 e nel decennio avranno un primo raddoppio. Negli anni ’70, l’Italia, oltre che attraversata da centinaia di migliaia di profughi, vede i primi nuclei di stranieri che s’insediano che sono di provenienza molto varia: ci sono i cileni rifugiatisi in Italia dopo il golpe di Pinochet del 1973 ma, contemporaneamente a questi, a Milano sono già attive comunità cinesi, egiziane, eritree, salvadoregne; a Mazara del Vallo è già numerosa la comunità tunisina impiegata sui pescherecci. Inizia una consistente presenza jugoslava. Molto alta, tra gli immigrati, la componente femminile delle filippine e delle portoghesi che trova occupazione nei lavori domestici; un settore lavorativo dove la domanda da parte delle famiglie italiane è già alta e tende a crescere. Inizia anche un’ immigrazione dal Nord Africa, luoghi dove la caduta di molte dittature militari e regimi dittatoriali non permetteva il controllo dei flussi di uscita e di entrata, non che il sistema di controllo italiano fosse efficiente.
La nascita della Caritas coincide con un incontro nuovo che, successivamente, sarebbe diventato un fenomeno strutturale alla vita del nostro Paese. Per questa ragione la lettura, la formazione e l’impegno sociale di Caritas Italiana in riferimento all’immigrazione incrocia la nascita, nel 1987, di un organismo nuovo della Conferenza episcopale italiana, la Migrantes, e di una specifica Commissione episcopale per le migrazioni. Da quel momento l’impegno di Caritas Italiana incrocia quello di Migrantes e condivide lettura, formazione e impegno pastorale per le migrazioni.
L’oggi delle migrazioni: il mondo che cambia ed è in movimento
Oggi il mondo non solo cambia, ma è in movimento. Il Dossier Statistico Immigrazione che ieri Caritas e Migrantes hanno presentato insieme ci ricorda i numeri di questo movimento di persone. 1 miliardo di persone ogni anno lascia la propria casa e si sposta nel proprio Paese. 204 milioni di questi lasciano anche il proprio Paese e il proprio Continente. è il popolo in cammino oggi. E il mondo che cambia non è distante da noi, ma vicino. Il mondo si è avvicinato a noi con 5 milioni di persone di 198 nazionalità diverse. In questo incontro cambiano diversi luoghi. C’è una famiglia che cambia e c’è una famiglia in movimento: 1 milione di ricongiungimenti familiari e 250.000 matrimoni misti e 400.000 coppie miste- 25.000 in più nell’ultimo anno-, 500.000 famiglie che ogni anno cambiano regione in Italia; c’è un mondo del lavoro che cambia e c’è un mondo del lavoro che è in movimento: 3 milioni di lavoratori diversi, oltre 200.000 imprese immigrate, 30.000 imprese delocalizzate; c’è un mondo della scuola e della cultura che cambia ed è in movimento: 710.000 studenti di 186 nazionalità diverse, 2 milioni studenti universitari che nei prossimi anni avranno fatto un’esperienza di studio in Europa, centinaia di libri stranieri di oltre 140 nazionalità tradotti e pubblicati in Italia; cambia anche la religiosità italiana: gli immigrati pregano, hanno una ritualità e un approccio al sacro secondo la religione islamica, buddista, induista, animista e in molte forme cristiane. Cambia anche il mondo associativo: oggi sono presenti sul territorio italiano circa 631 associazioni di volontariato che si occupano di immigrazione e 470 associazioni di immigrati. Di fronte a questo mondo che cambia e si muove insieme, l’antica distinzione tra sedentario e nomade svanisce, perché in questo mondo che cambia è cambiata l’appartenenza: non si appartiene più al paese, alla città, alla regione allo Stato, neanche all’Europa: la vera appartenenza è al mondo è globale.
L’Enciclica “Caritas in veritate” come chiave del fenomeno migratorio
Possiamo leggere pastoralmente questo nuovo fenomeno migratorio alla luce della Enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate. Il Papa scrive che la migrazione “È fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale” (n. 62). Questa umanità chiede alla Chiesa di “cammina insieme con l’umanità tutta” (Gaudium et spes 40), “intimamente solidale con il genere umano e la sua storia “ (Gaudium et spes 1).
La verità e la carità: una nuova cultura delle relazioni
1. La mobilità e il cambiamento chiedono una nuova cultura, una cultura delle relazioni, dell’ascolto per imparare prima che per parlare, dell’incontro aperto alle sorprese delle persone, del dialogo che apre al confronto, della conoscenza che si apre all’amore. Solo così si salva l’identità, che è anzitutto mettere al centro la dignità propria e degli altri. L’identità piena non è indietro - anche se ovviamente siamo debitori del passato, del “già avvenuto” - ma in avanti, come frutto di una serie di incontri, esperienze, relazioni. Pretendere di preservare l’identità dalla contaminazione vuol dire contribuire a distruggerla, perché la si costringerebbe all’isolamento e quindi all’insignificanza e alla consunzione. Al tempo stesso, la nostra salvezza è sempre a noi estranea, “è alloggiata altrove” - direbbe Michel de Certeau. Non può alloggiare in noi: chiede la ricerca e l’incontro.
2. Sul piano relazionale è possibile individuare alcune piste di lavoro culturale e pastorale:
- l’attenzione alla dignità di ogni persona migrante
- la tutela dei diritti fondamentali e l’accompagnamento ai doveri della persona migrante
- la preferenza per i poveri e gli ultimi, tra i migranti: i rifugiati, i profughi, i malati, i minori, i disoccupati…
- l’attenzione a non distinguere ‘noi’ e ‘gli altri’, il ‘dentro’ e il ‘fuori’
- la ricerca dell’incontro, di una intelligente relazione, interrelazione
- la cultura del dialogo
- il rispetto delle differenze, di lingue e culture diverse, a fondamento dell’unità
- riconoscere prima di regolare le persone migranti
- trovare il fratello nello straniero
- trovare Dio nello straniero.
I luoghi di una rilettura anche delle migrazioni
Le piste di lavoro possono essere numerose. Riprendo le cinque piste del Convegno ecclesiale di Verona, cariche anche di nuovi elementi alla luce degli Orientamenti pastorali della CEI “Educare alla vita buona del Vangelo”.
L’attenzione al tema dell’incontro pone allora il tema della tradizione e delle tradizioni - un tema caro al teologo Congar - cioè di una rilettura dell’identità e della differenza, dell’unità e della differenza non in maniera conflittuale, ma dentro una intelligente relazione - come ha sottolineato il sociologo Donati e lo stesso Benedetto XVI. Si tratta di recuperare i differenti modelli ecclesiologici conciliari (Chiesa pellegrinante, popolo, sacramento, comunione), con tutte le attenzioni a cui siamo stati invitati ad essere attenti da parte degli interventi della Congregazione della dottrina della fede, dentro l’unica Tradizione. Una Tradizione, che vive anche di differenti tradizioni religiose, può esprimersi in maniera nuova, come del resto avvenne anche prima e dopo il Concilio di Trento, come scrive lo storico Jedin, anche con figure come Bartolomeo de las Casas in America Latina e Matteo Ricci in Cina. L’incontro e la conoscenza, le diverse tradizioni portano anche a valorizzare il tema del dialogo culturale. “Il dialogo, come dice questa bella parola greca, presuppone il dia-logos e quindi il rapporto tra due logoi, ha detto recentemente il Card. Ravasi. Il che significa che l’interculturalità non ha come meta l’identificazione, la costruzione di un’unica società globalizzata”. Esemplare, a questo proposito, può essere il dialogo ecumenico e interreligioso nuovo che, come è stato detto, a un ecumenismo solo teologico affianca un ecumenismo della quotidianità. La rilettura del decreto conciliare sull’ecumenismo (Unitatis redintegratio) e delle dichiarazioni sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae) e sul dialogo religioso (Nostra Aetate) sono aspetti importanti della formazione dei fedeli, stimolati sia dal dibattito culturale (edifici di culto) che da aspetti specifici (tempi, devozioni etc.). Non si può dimenticare, tra l’altro, che alcuni luoghi di culto simbolici - penso ai santuari - sempre di più divengono luoghi di fatto ecumenici e interreligioso.
Uno degli aspetti del ‘cambiamento’ delle dinamiche familiari e degli affetti è segnato profondamente dalle comunità familiari etniche e da esperienze familiari religiose. Questo pone il problema non solo della preparazione al matrimonio o del gruppo famiglia, ma anche di come vivere la dimensione degli affetti: rapporto uomo e donna, genitori e figli, la sessualità, l’educazione…Sul piano complessivo, un tema fondamentale, e sempre tradizionale nella cultura cristiana delle migrazioni, è quello della tutela del ricongiungimento familiare. Oltre che un diritto fondamentale del migrante, quello di ricongiungersi alla propria famiglia, è uno strumento e un luogo fondamentale di salute, di integrazione e di sicurezza sociale. Purtroppo è ancora debole l’investimento nel nostro Paese, rispetto ad altri Paesi europei, su politiche familiari delle migrazioni, che incrociano la politica della casa, della salute, della scuola. Altro tema complesso sul piano pastorale riguarda l’accompagnamento delle coppie miste, sempre più numerose: l’80% di esse non ha scelto nessuna forma di celebrazione religiosa o civile e, pertanto, non è stata accostata da nessun ministro di culto o officiale comunale.
Un’altra pista di lavoro interessante nelle nuove relazioni create dal fenomeno migratorio, la cui problematicità oggi è certamente accentuata nel dibattito culturale e politico e che abbiamo affrontato insieme anche nella Settimana sociale dei cattolici italiani a Reggio Calabria (ottobre 2010), è il tema della cittadinanza, della partecipazione attiva alla vita della città. Come aiutare una partecipazione associativa, cooperativa, sindacale, politico amministrativa, con anche il diritto di voto, al servizio civile da parte dei giovani stranieri, ad esempio? Quanto l’educazione alla politica recupera le dimensioni dell’universalismo dei diritti e dell’egualitarismo della tradizione sociale anche del personalismo cristiano, di fronte anche a spinte nuove corporative ed esclusiviste? Non solo è importante il tema della costruzione di una città di ‘eguali tra disuguali’ (Ermanno Gorrieri), ma anche di ‘uguali tra differenti’. In questa linea va valorizzata tutta l’azione di advocacy, di tutela dei diritti delle persone, delle famiglie, dei lavoratori, che alcuni episodi - tra gli ultimi Rosarno un anno fa - ha mostrato chiaramente deboli ormai in molti contesti sociali dal Nord al Sud del Paese. Anche il tema dell’allargamento della protezione internazionale, nelle forme dell’asilo, della protezione temporanea e della protezione sussidiaria, si connette strettamente con una globalizzazione della cittadinanza, che dopo Lisbona (2007) vede una prospettiva europea d’intervento, anche alla luce di numerose crisi ambientali, umanitarie e politiche, come le recenti in Nord Africa, che muovono milioni di persone.
Connessa al tema della tutela dei diritti è l’attenzione anche a nuove fragilità e povertà che colpiscono pesantemente il mondo immigrato, soprattutto in tempo di crisi economica, oltre che delle case di accoglienza e dei centri di ascolto, dei molti servizi. Penso al tema della casa - l’85% degli immigrati è in affitto, contro l’80% degli italiani che è proprietario della casa; penso alla precarietà e alla mobilità del lavoro che caratterizza un milione di lavoratori immigrati e che - lo ha ricordato anche la Caritas in veritate - impediscono anche i ricongiungimenti familiari. La precarietà e l’irregolarità lavorativa chiedono oggi serenamente di affrontare il tema dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, dentro un quadro di regolamentazione dei flussi.
è una prospettiva nuova, che chiede anche un cambiamento legislativo, ma soprattutto chiede la consapevolezza che non possono esistere situazioni riconosciute di illegalità e di sfruttamento lavorativo, limbi dove non è riconosciuta la cittadinanza e la tutela, dove si alimentano mafie e corruzione, sfruttamento a danno del sistema Paese, oltre che degli stessi immigrati. Al tempo stesso non può venire meno un piano di protezione e tutela dei più deboli. Penso al bisogno di costruire un accompagnamento di più 8.000 minori che arrivano in Italia ogni anno senza famiglia; penso alla prostituzione di strada e non di 50.000 donne di 60 nazionalità, con un’età media di 21 anni; penso alla crescita di disturbi psichici nel mondo adolescenziale e adulto, soprattutto femminile; penso al peso sempre più grave degli aborti delle donne straniere sul numero totale degli aborti in Italia (40.000 su 120.000) che sarà affrontato a novembre dal Convegno nazionale a Firenze dei Centri di aiuto alla vita; penso alla crescita dell’abbandono scolastico dei bambini stranieri; penso alle decine di cadaveri di stranieri morti tragicamente in Italia e che vengono non rimpatriati per mancanza di risorse, ma sepolti in fosse comuni nei grandi cimiteri…
Interessante, in senso positivo, è il senso di festa, del riposo legato alle diverse tradizioni religiose e culturale del mondo straniero. I meccanismi produttivi, economici, lavorativi sacrificano spesso la festa, che non sempre può essere celebrata per i tempi impossibili del lavoro (pensiamo alle badanti, ad alcuni lavori agricoli stagionali, al mondo dell’artigianato, al turismo), ma anche per la lontananza da casa.

Conclusione: non cedere alla tentazione della paura
La sfida più urgente anche sul piano pastorale è imparare a convivere come diversi condividendo lo stesso territorio geografico e sociale; imparare a convivere senza distruggerci, senza ghettizzarci, senza disprezzarci, e neanche senza solo tollerarci. La debolezza culturale più rischiosa è cedere alle paure. Alla comunità cristiana è chiesto di diventare luogo educativo all’incontro. Lo ricordava molto bene don Luigi di Liegro, il sacerdote fondatore e direttore della Caritas diocesana di Roma dal 1980 al 1997, in una pagina tra le sue ultime:
“Non lasciamoci ispirare dalla paura. I migranti non sono un pericolo, ma degli uomini con la nostra stessa dignità. Esigiamo senz’altro il rispetto delle nostre regole di convivenza, ma allo stesso tempo superiamo il rischio di contrapposizione, accettiamone la diversità, rispettiamone la cultura e la religione, accogliamo quelli della nostra stessa fede, favoriamone l’associazionismo, valorizziamone l’apporto, prendiamo per primi l’iniziativa del dialogo, costruiamo insieme la città dell’uomo in un contesto europeo più aperto a tutti i popoli. Solo così le migrazioni potranno diventare per tutti un’occasione di crescita”[1].


[1] L. Di LIEGRO, L’altro oggi e la Chiesa Italiana; in: Parole, Spirito e Vita, 27 (1993), p. 291.