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Essere madri in terra straniera (B.Schettino)
Convegno dei Centri di aiuto alla vita “Nessuna vita ci è straniera

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/11


Le migrazioni non sono un fatto congiunturale, ma strutturale ad ogni società, sempre più multietnica e multiculturale, per cui sono un fattore irreversibile di ogni società e di ogni civiltà. Molto spesso i problemi legati all’immigrazione sono ricondotti ad aspetti di ordine pubblico, mentre sono umani, molto umani.
L’importanza della famiglia è fondamentale. Essa può metabolizzare il problema e potrà essere fattore di sviluppo contro ogni forma di condizionamenti sociali o degradi.
Importanza dell’accoglienza e dell’integrazione di carattere sistemico e strutturale, che parta dal riconoscimento della risorsa degli immigrati non solo per la nostra economia, ma anche per la costruzione di solidi e positivi legami sociali.
Da ciò l’importanza del ricongiungimento familiare, per la costruzione di un progetto di vita radicato e duraturo. Questo rende un valido servizio per la costruzione di legami sociali, nell’ambito della stessa società e nella famiglia.
L’Italia è attualmente, insieme alla Spagna, il Paese a più alto tasso di crescita migratoria e aumenta ad una velocità sorprendente il livello di insediamento di cittadini stranieri, che una stima realistica porta a quantificare oltre i 4 milioni di unità all’inizio del 2008.
In questi ultimi tempi si è pervenuti a situazioni di immigrazione dell’intero nucleo familiare. Ormai si può affermare che vi è una parità numerica di maschi e femmine. Inoltre si può affermare che Africani e Asiatici quasi si equivalgono. La componente africana, specialmente maghrebina, inizialmente diretta verso la Francia, è venuta in Italia e in Spagna. Per il Marocco, la Tunisia, l’Egitto siamo ora una destinazione prioritaria. Con i Paesi dell’Est europeo l’Italia si presenta come un secondo Paese, dopo la Germania. Questo è dovuto ad alcuni fattori quali la collocazione geografica dell’Italia, crocevia naturale tra Est ed Ovest, l’invecchiamento della popolazione italiana, il fabbisogno di manodopera aggiuntiva.
La stima delle collaboratrici domestiche è più di un milione, una presenza ormai assolutamente indispensabile per le famiglie, specie dove vi sono minori, anziani e malati. La mano d’opera maschile è usata in agricoltura e edilizia.
Gli immigrati sono più giovani e la fecondità è notevolmente più alta tra le donne straniere con un valore di 2,4 figli rispetto a 1,25 tra le donne italiane. Negli ultimi 10 anni la nascita di bambini stranieri ha fatto registrare un fortissimo incremento, passando da poco più di 9mila nati del 1995 a 57mila nel 2006 e così a questa data i minori stranieri sono diventati 586.000 con un’incidenza del quinto sulla popolazione straniera, quasi quattro punti percentuali più di quanto avvenga tra gli italiani, e questo come effetto delle nuove nascite e dei ricongiungimenti familiari.
Ritornando al tema della donna protagonista dell’immigrazione occorre dire che i percorsi migratori sono due. Il primo percorso è legato al ruolo di madre di famiglia e quindi legato al ricongiungimento familiare. Il secondo percorso è legato al lavoro, in particolare all’ambiente familiare come collaboratrici. Esse affrontano una vita molto impegnativa, con scarsa disponibilità di tempo per frequentare i propri connazionali e partecipare alle forme associate.
Esse affrontano un impegnativo cambiamento personale, dapprima soggette al partner maschile, ora alle esigenze del nuovo contesto sociale e alle sue esigenze concrete. Necessità di conciliare i tempi di lavoro, quale quello dell’assistenza, con quello della propria famiglia. Necessità di mediare tra la cultura di origine e quella dell’accoglienza specie nei rapporti dei settori scuola, uffici e servizi pubblici.
Nella realizzazione della loro affettività le donne divorziate sono il 2, 5%, le separate lo 0,4% e le vedove il 2, 9%. Un terzo delle interruzioni di gravidanza è a loro addebitabile. Su poco più di 100.000 aborti le donne straniere incidono per il 30%.
Nel campo della prostituzione le donne straniere sono circa 50 mila provenienti dall’Africa, dall’Asia, dall’America latina e dall’Est Europeo. Solo una parte è reclutata con violenza, la maggior parte viene raggirata, complice la vita di stenti, che si vuole abbandonare. È difficile uscire dal giro della prostituzione sia per la sudditanza psicologica che per le minacce nei loro confronti o dei loro parenti. Vi sono quelle che riescono a liberarsi, denunciando gli sfruttatori, rendendosi disponibili a seguire i percorsi di reinserimento previsti dalla legge.
In questo panorama, un capitolo ancora più triste e drammatico è scritto sulla condizione della popolazione carceraria femminile che, seppur di molto inferiore a quella maschile, rappresenta una realtà in forte crescita soprattutto per reati relativi alla prostituzione, alla droga, allo spaccio e al traffico di sostanze stupefacenti e per sanzioni legate alla legge sugli stranieri. La situazione nella quale vivono le donne straniere detenute, spesso madri nubili minorenni, donne che hanno subito violenze ed abusi di ogni genere, donne vendute, donne comprate, donne maltrattate e divenute maltrattanti, donne che non hanno più legami affettivi e familiari, donne senza documenti, donne dimenticate, impone, nell’ambito di azione a favore delle pari opportunità di genere e dei diritti delle persone, di programmare adeguate soluzioni che permettono la piena e completa re-immissione nel circuito sociale.
Nello specifico sono state accolte immigrate che possono accedere alle misure dell’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 Ordinamento Penitenziario), che consente al condannato di usufruire di maggiore libertà, con l’unico vincolo di rientrare al domicilio entro un orario predeterminato, detenzione domiciliare (art. 47 - ter O.P.) che può essere espiata nella propria abitazione o in un altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, semilibertà (art. 48 O.P.) consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dall’Istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. Tali misure sono concesse dal Tribunale di Sorveglianza quando ricorrono determinati presupposti, e permettono di espiare una pena detentiva breve dai due ai quattro anni fuori dal carcere sotto il controllo dei Servizi Sociali, oppure agli arresti domiciliari. Con questa opera si vuole incidere concretamente sulle politiche di reinserimento sociale e lavorativo delle donne immigrate attraverso: l’offerta di un contesto abitativo come recupero e sviluppo delle proprie potenzialità relazionali; la ricostruzione di un proprio contesto di appartenenza e raggiungimento di una propria autonomia; l’offerta di un luogo di incontro e confronto tra soggetti appartenenti a culture ed etnie diverse; la sensibilizzazione del territorio diocesano. Il tutto nella convenzio- ne che al centro dell’attenzione va posta la persona con i suoi disagi, ma anche con le sue ricchezze, e non il “problema” che può rappresentare per la società.
I matrimoni misti, perché più complessi da governare, sono statisticamente più soggetti al fallimento. Quanto alle preferenze etnico-culturali nella scelta del partner i maschi italiani preferiscono le filippine, le romene, le peruviane e le albanesi. Meno ricorrente è il matrimonio di uomini italiani con donne musulmane per le difficoltà di ordine religioso e dei diritti civili.
L’inserimento degli immigrati in Italia si caratterizza spesso per nuclei disgregati. Una parte della famiglia vive in Italia, un’altra parte nel Paese estero di provenienza. È il modello della “famiglia transnazionale” che vede gli adulti stabilirsi in paesi diversi rispetto ai figli e le relazioni vengono mantenute vive a distanza con conseguenze disastrose, specialmente per i minori.
La partenza di donne adulte, impossibilitate a portare i figli con loro, spesso produce carenze affettive nei confronti dei figli e degli anziani lasciati in Patria. Si sperimentano nuovi equilibri affidando ai parenti, amici, vicini l’accudimento dei figli di diverse donne emigrate, non sempre con buoni risultati.
Le donne immigrate in Italia dedite al lavoro come collaboratrici familiari, baby sitter e assistenti domiciliari svolgono un compito molto esigente e faticoso, soprattutto quando si tratta di accudire anziani con problemi di autosufficienza. Oltre ai normali compiti a casa, che sono di solito l’oggetto principale del contratto esplicito, vengono richieste prestazioni di tipo assistenziale e para-sanitario, come quelle di lavare, tenere in ordine, mettere a letto e alzare le persone assistite, vigilare sul loro stato di salute, medicare, somministrare farmaci, prevenire e curare piaghe da decubito.
Alcune volte viene chiesto l’impegno di accudire le persone anche di notte e possibilmente anche nei giorni festivi. La collaboratrice separata dal mondo degli affetti e del proprio ambiente di vita può trovare gradevole che una famiglia le offra il lavoro e un ambiente accogliente. Nella vita quotidiana i datori di lavoro-assistiti e l’assistente domiciliare molto spesso mangiano insieme, guardano insieme la televisione, escono a fare compere o a passeggio. Così il rapporto di lavoro va oltre a quello occupazionale per investire le relazioni personali. Per cercare lavoro quando le donne immigrate lasciano nel loro paese i figli, diventa questo una grande sofferenza, per paura di abbandono, di solitudine, di pericoli vari, accresciuti psicologicamente dalla distanza.
Ricevono sì regali, vivono una vita migliore i figli nella loro Patria, ma soffrono il distacco e la sofferenza di non vedere la madre. Anche essi entrano nella solitudine e nella sofferenza interiore. Anche le lettere, le fotografie, l’ascolto della viva voce attraverso i cellulari non ripagano tante volte il vuoto della solitudine e della lontananza.
Le migrazioni sono il problema che tocca ogni società ed ogni comunità umana. È la speranza e la sofferenza di tempi nuovi. La sofferenza perché ogni distacco è amaro, sa di sofferenza che tocca l’anima, le abitudini, la propria privatezza, la propria identità. Sa di speranza, perché dopo il tempo della prova e dell’abbandono il sole sorride ancora oltre le nuvole e dà un segno di pace per un nuovo avvenire, per un nuovo umanesimo, più vero, più fecondo, perché la speranza trovi sempre la certezza, oltre il senso caduco della vita.