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Sugli ultimi avvenimenti di stampo razzista a Torino e Firenze (C.Nosiglia) e (G.Betori)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/11


Il recente fatto accaduto il 10 dicembre alle Vallette ha suscitato giustamente riprovazione e preoccupazione e ha riportato in primo piano il problema dei rom nella nostra città. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato che ha di fatto bloccato i finanziamenti previsti per la sistemazione dei campi e su cui stavano progettando seriamente gli interventi sia la Prefettura che il Comune, diventa difficile ipotizzare interventi risolutivi a breve termine. Mi auguro che si possa ricuperare in questo, ma nel frattempo occorre comunque fare qualcosa, dare qualche segnale concreto, anche se con piccoli passi:
- anzitutto sul piano della scolarizzazione dei minori, un obiettivo di primaria importanza e decisivo per il futuro. Su questo occorre insistere con forza presso i genitori, offrendo i sostegni necessari per attuarlo e accompagnarlo. Mi riferisco alle scuole di base, al dopo-scuola promosso negli stessi campi, ma anche alla formazione professionale per i giovani, che potrebbe avviare una prospettiva nuova di grande efficacia per il loro futuro;
- la raccolta dei rifiuti. Non si può vivere in un degrado ambientale non degno di una città come Torino e non accettabile per persone umane, famiglie e bambini. È dunque necessaria un’azione educativa delle famiglie in questo senso, insieme a una sistemazione di aree dove i rifiuti possano essere raccolti. Faccio appello per questo ai servizi sociali specifici per indicare le condizioni e vie adeguate a raggiungere tale risultato anche con la collaborazione degli stessi rom e del volontariato;
- alcuni servizi essenziali per vivere, come acqua, luce… Ho sentito parlare anche di distribuzione di derrate alimentari e questo va certamente incontro a tale obiettivo;
- infine, resta decisivo il traguardo di offrire a qualche famiglia rom, che ne accetti le condizioni, la possibilità di una abitazione, come è avvenuto per il modello di Settimo, che ho visitato e giudico molto positivo.
A mio avviso occorrono segnali concreti e precisi di una via da percorrere insieme tra istituzioni, associazioni e gruppi di volontariato, organismi ecclesiali e civili. Ma insieme anche agli stessi rom con un dialogo e confronto su quello che si può fare da subito, perché si sentano “costruttori insieme” di futuro e non tanto dei “ricevitori” di cose o di soluzioni già confezionate. Anche per loro c’è la fatica di mantenere fede alle tradizioni sia culturali che religiose nel rispetto delle generazioni che crescono. Anch’essi desiderano caparbiamente non perdere le caratteristiche che li contraddistinguono come popolo, come etnia, eppure sentono la necessità di trovare mediazioni che permettano di farsi accogliere nei contesti dove ora abitano. Quali nuove modalità di lavoro rispetto al passato vanno cercate e perseguite per guadagnare il necessario per vivere e mantenere le loro famiglie?
Come accettare e rispettare le regole su cui si fonda la nostra società, che possono sembrare stringenti ed estranee alla loro tradizione e cultura, ma che sono la base per una civile convivenza pacifica e giusta tra persone, famiglie ed etnie diverse che abitano lo stesso territorio? Comprendo e sento che non sono passaggi facili, so che richiedono anche per loro dialogo in famiglia, collaborazione, unità, volontà di interagire. Ma ho fiducia che se messi in grado di accogliere le opportunità che sono loro offerte possano dare vita a una “coabitazione” vivibile e aperta al rispetto degli altri, dei loro beni e delle giuste relazioni sociali. L’importante è fare in modo che siano essi stessi protagonisti delle scelte e responsabilità che li riguardano, attraverso una condivisione dei percorsi di inclusione sociale che si attivano.
Per tutti noi c’è l’invito a purificare il nostro vivere da quegli atteggiamenti che non consentono il dialogo, la conoscenza reciproca, la ricerca del bene comune. Impariamo a dare un nome alla nostra paura di fronte alla differenza, tentando percorsi di conoscenza che ci facilitino la via dell’incontro. Favoriamo l’ascolto reciproco, accogliamo il buono che ogni storia umana porta con sé, creiamo possibilità di vita che comprendano i valori comuni riconosciuti.
Chiedo pertanto di attivare il tavolo di lavoro che esiste da tempo sul problema rom e di dargli forza nell’impostare un’azione comune con i rom stessi, per avviare i piccoli passi di cui parlavo e altri che ne seguiranno. Torino può vincere questa sfida che le procurerebbe un sicuro primato nazionale e internazionale. Torino ne ha le risorse e le potenzialità politiche, culturali, sociali e religiose.
Quello che mi ha preoccupato di più, dopo il noto episodio, è che esso ha evidenziato la crescita nella mentalità e cultura di base, tra la gente, di un diffuso malessere e segno di frustrazione e di impotenza di fronte a tanti problemi che assillano oggi le famiglie e che alimentano l’aggressività, la violenza verbale e fisica, per cui basta poco per scatenare la propria rabbia contro qualcuno, fosse anche il vicino di casa o collega di lavoro con cui si ha un contenzioso. Far valere le proprie ragioni da soli, non avere fiducia nella legalità e nella giustizia, rispondere al male con il male, cercare un capro espiatorio, sono tutti atteggiamenti che possono essere agevolmente strumentalizzati da componenti estremiste e fondamentaliste, minoritarie certamente, ma che trovano terreno fertile di azione in questo momento di difficoltà.
C’è dunque una grande responsabilità da parte delle parti politiche, religiose, culturali e sociali per educare alla legalità, offrire un costante supporto di impegno per mostrare che il rispetto delle regole di una convivenza democratica e civile assicura giustizia, pace e serenità di vita per tutti. I valori poi della solidarietà e dell’accoglienza, così radicati nel tessuto della cultura cristiana e civile del nostro popolo, vanno potenziati e vissuti con coerenza verso tutti. Occorre però che i problemi non siano lasciati incancrenire e che sul territorio si dia vita a una rete di impegno responsabile per affrontarli da parte di tutte le componenti coinvolte. Quartieri difficili abbandonati a se stessi rischiano di esplodere in forme violente di rifiuto e di contrapposizione. È sempre meglio prevenire dunque che stracciarsi poi le vesti per ciò che accade.
Mons. Giuseppe Betori
A seguito di quanto accaduto a Firenze il 13 dicembre scorso, dove un uomo ha sparato a dei cittadini senegalesi al mercato di piazza Dalmazia, uccidendo Diop e Samb e ferendo gravemente Moustapha, e poi ha di nuovo sparato, ferendo anche loro, a Sougou e Mbenghe nel mercato di San Lorenzo, prima di togliersi la vita, vogliamo riportare quanto dichiarato da S.E. Mons. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze: «Provo profonda e severa riprovazione per quanto è accaduto oggi a Firenze. Il mio primo pensiero va subito alle vittime, che affido alla misericordia del Signore, ai feriti cui auguro pronta guarigione, alle famiglie e ai loro amici provati da una così grande sofferenza».
«Auspico che la mente ed il cuore di ciascuno in questa città siano liberati dagli spettri del razzismo e dell’odio etnico. Firenze ritrovi la sua vocazione di città dell’accoglienza e del dialogo. Ogni manifestazione di odio sia prontamente ricacciata dalla coscienza dei fiorentini».
“La vita dell’uomo vale l’infinito e nessuna vita può essere tolta”, ha detto l’Arcivescovo intervenendo al Consiglio comunale straordinario convocato dopo che sono stati uccisi due senegalesi e altri tre sono stati feriti.
Betori ha ricordato che “tutte le comunità religiose della città sono vicine alla comunità senegalese”. “La nostra società deve correggere se stessa nei suoi valori fondamentali” - ha aggiunto - per il quale “solo una cultura del legame riuscirà ad isolare queste manifestazioni di odio”. L’Arcivescovo poi ha sottolineato la “ricchezza” della diversità: “Dobbiamo essere capaci di riconoscere che ogni uomo è nostro fratello - ha continuato - e da questo problema vogliamo sortire insieme”.