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Coniugare visione e profezia (S.Ridolfi)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/11


Nel 1994 don Giuseppe Dossetti (1913-1996) teneva una commemorazione lucida e profonda del prof. G. Lazzati a partire da un testo di Isaia: “Sentinella, quanto resta della notte?” (Is 21, 11-12).
Ed elencava i motivi di tanta oscurità nell’attuale contesto italiano: il basso tasso di natalità in Italia che fa prevedere entro un secolo e mezzo la fine del popolo italiano; il matrimonio sganciato dalla fecondità che ha scatenato una ricerca ossessiva del piacere fino alle perversioni; la scuola, specialmente quella superiore, in grave ritardo nel proprio rinnovamento e inadeguata a compensare il vuoto culturale desolante; la ricerca spasmodica della ricchezza nel vuoto di ideali, e quindi di eticità, che dalla “inappetenza dei valori” ha portato a conseguenti “appetiti crescenti di cose”...
“In questa solitudine che ognuno regala a se stesso - aggiungeva - si perde il senso del con-essere” e ne consegue la “notte della comunità”, frantumata in entità sempre più piccole fino all’individualismo: per cui il diritto è solo individuale e gli individui negoziano continuamente in funzione dei propri interessi e dello scambio.
In questa situazione, da Dossetti ben più ampiamente descritta, egli vede in figure limpide e coerenti come il prof. Lazzati quelle sentinelle che vigilano e che anticipano l’aurora, il superamento delle tenebre, la luce.
E basandosi su alcuni testi paolini (Rm 7,15-24; 2Cor 4,16-18; Ef 3,14-16) ricorda la riscoperta dell’uomo interiore, il recupero di virtù trascurate (come quelle cosiddette cardinali), l’uomo nuovo per una città dell’uomo, il rinnovamento interiore che porti ad un impegno del cristiano per la evangelizzazione e l’animazione cristiana attraverso il confronto e il dialogo. Una piena conversione.
Ho voluto richiamare, riassumendola, questa riflessione di don Dossetti perché alla fine dell’anno in corso 2011 essa merita attenzione e suscita gli animi onesti ad una ribellione interiore, ad un rinnovamento.
Infatti per molti aspetti la notte non è ancora passata.
E mi permetto aggiungere alcune annotazioni legate appunto al rinnovamento in una ottica della mobilità umana, che sono quasi un resoconto prospettico.
L’orizzonte del Regno, annunciato da Gesù di Nazaret, è la famiglia dell’umanità riconciliata con il Padre nella figliolanza divina ed unificata nella carità. È il mistero annunciato da Paolo, il disegno di “ricapitolare tutto in Cristo” (Ef 1,10). È una visione che si attualizza nel tempo e nello spazio anticipando così il momento finale, l’escatologia del Cristo pantocrator, signore della storia, salvatore dell’umanità, giudice universale.
Ma il Regno di Dio “è in mezzo a voi” ha detto Gesù (Lc 17,21), ossia la sua attuazione è nella storia umana, nel vissuto delle vicende umane e cosmiche. Ne nasce la dinamica e sollecitudine: annuncio, accoglienza, testimonianza, salvezza.
Bisogna avere l’ “occhio penetrante” (Nm 24,3) della fede per scoprire i “semina verbi” sparsi nella storia dell’uomo, il quale resta pur sempre la “gloria di Dio” (S. Ireneo). Quindi: attenzione e coinvolgimento nella vita vissuta con lo sguardo rivolto al traguardo finale.
Le migrazioni umane sono un fenomeno che, a ben osservarle, ci rivelano questa tensione e dinamica: travaso e unioni di popoli ed etnie che ci richiamano alla “cattolicità” della Chiesa; mobilità che ricorda il nostro stato di “pellegrini” (in questa esperienza terrena); esperienze di fede e di religiosità che si incontrano, scontrano, che si purificano e relativizzano (inculturazione della fede); i fedeli cristiani obbligati a vivere gomito a gomito ed a sviluppare molte collaborazioni ed anche a confrontarsi tra di loro e con i non cristiani (prospettiva ecumenica e dialogo interreligioso); socialmente ed ecclesialmente le migrazioni sono la “novità” di un non lontano domani (pensiamo alla “cosa nuova” di Is 43,19).
Le statistiche sulla presenza e sul movimento di persone da altri Paesi infatti e le relative proiezioni demografiche stanno dimostrando, come più sopra ricordato, la continua diminuzione della popolazione italiana indigena contro la crescita veloce della popolazione immigrata, i “nuovi italiani”.
Operare nella difesa (restrizioni legislative), tanto peggio agire in contrasto (xenofobia) sono atteggiamenti perdenti in partenza, sono tra l’altro antistorici. Governare invece il fenomeno integrandolo (non assorbendolo!) con un organico sistema di accoglienza è presupposto di crescita e di novità. L’immediato appartiene ai timorosi, il futuro ai coraggiosi.
E la differenza cristiana non sta tanto nelle leggi quanto nello spirito (amore) che postula e dà senso e valore alle leggi.
Quanto la Chiesa ha fatto per cogliere il meglio e la novità nelle migrazioni - ed è molto in persone, strutture, interventi, ecc. - si trova oggi più che ieri a dover verificare se il cammino in atto prepara la condizione futura.
Al riguardo occorrono strumenti, come luoghi di riflessione, ma soprattutto persone che, radicate nella fede e forti nella speranza, facciano discernimento nelle e tra le Chiese locali, nelle e con le comunità dei migranti per far emergere il nuovo (il citato Is 43,19: “Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”) che le migrazioni anche nella loro perdurante drammaticità (esodi forzati e rischiosissimi per fame, per guerre, per catastrofi naturali; esigenza di libertà, di dignità; bisogno di comunicare e di relazionarsi) fanno scoppiare ed impongono. In definitiva occorre “suggellare visione e profezia” (Dan 9, 24).
Ed ora una ultima parola, quella del commiato. Perché questo è l’ultimo editoriale che firmo come responsabile della stampa di emigrazione, prima con l’U.C.E.I. e poi con la MIGRANTES. E passo doverosamente il testimone a chi di dovere dopo 37 anni di questo servizio affidatomi al mio rientro in Italia nel 1973 come vice-direttore UCEI dopo la pluridecennale esperienza pastorale in Germania e la breve parentesi in Belgio, nei quindici anni di permanenza a Roma ed anche oltre quando venni nominato parroco di Cesenatico (1990-2006). Ho validi motivi di ringraziare il Signore ed anche i Superiori, i collaboratori ed i lettori (specialmente missionari di emigrazione, religiosi/e, assistenti sociali, operatori pastorali e tanti amici ) per la fiducia, le collaborazioni, l’amabilità. Diciamo…a ri-vederci!
Don Silvano Ridolfi