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“Dove il tuo tesoro là il tuo cuore” (C. Simonelli)
Riflessione ai margini dell’incontro del S. Padre con i nomadi

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/11


«Voi siete nel cuore della Chiesa»: questa frase pronunciata da Paolo VI e ora risuonata nuovamente nell’udienza dell’11 giugno scorso «ai rappresentanti di diverse etnie di zingari e rom» è una di quelle che segnano un orizzonte e aprono piste. Certo è stata ed è importante per il mondo non troppo vasto di chi ama la pastorale rom, con quella forza che hanno solo i simboli: ha attraversato perciò anche altre importanti parole che sono venute in seguito - come la richiesta di perdono pronunciata in occasione del giubileo - e può ancora rappresentare la cifra di questo incontro recente in cui è stata ripetuta e in certo modo moltiplicata, tanto che alcune cronache dell’evento titolavano il loro reportage utilizzando proprio quell’espressione.
La cosa è tanto più notevole quanto più i tempi critici rendono più che mai attuale la caccia al capro espiatorio - spesso Rom - con la conseguente «intolleranza per le debolezze dei deboli e il simmetrico eccesso di tolleranza per i vizi dei potenti» (M. Revelli, Poveri, noi, IX). L’udienza era per questo motivo questione di estrema attualità e lo sarebbe stata anche se non avesse coinciso praticamente con una campagna elettorale in cui il fantasma della “zingaropoli” è stato agitato, se possibile, più grottescamente del solito. Il contrasto fra le due modalità - zingari nel cuore della chiesa e zingaropoli esibita come spauracchio - è stato significativo, con una sincronia non programmata ma comunque rara per i prudenti interventi ecclesiali su questi temi.
Molti hanno seguito in diretta l’udienza e il pellegrinaggio, almeno nei tratti salienti e chiunque ne abbia voglia può ricostruire sul web la sequenza degli eventi: è tuttavia utile avere a disposizione su carta stampata gli interventi principali. Questo servizio viene offerto qui, con la convinzione che si tratti di un mezzo ancora utile: non altrettanto veloce della comunicazione in rete, ma opportuno per la possibilità di sostare, per l’invito ad approfondire e indagare le questioni, senza accontentarsi di ripeterne semplicemente gli aspetti di superficie.
In questo modo appare infatti nero su bianco un aspetto del massimo rilievo, che se non portato a parola rischia di lasciare insoddisfazione e disagio quando non indignazione: parole e cronache sono lì, disponibili, ma quelle parole pur così forti vivono nelle prassi concrete, assumono in esse il loro colore e la loro direzione. Ci sono in qualche modo affidate, a ognuno di noi, alle comunità ecclesiali e civili in cui e con cui riusciamo a dar vita a forme inclusive, per cui “essere nel cuore” non debba diventare parodia di “stare al margine” o meglio ancora fuori del tutto. Riprendiamo qui, evidentemente, un’espressione che è stata diffusa nelle settimane successive a partire da una situazione romana - i fatti seguiti all’occupazione della basilica di S. Paolo - ma icastica quanto l’altra: “nel cuore della Chiesa al margine della città”.
Comprendiamo tutti infatti come dal modo in cui diamo vita a modalità di essere insieme, escludenti o meno, dipenda il destino delle parole: possono essere forza profetica dirompente o sua parodia, come ci ricorda quasi a ogni pagina la Scrittura - valga per tutte la messinscena drammatica dei profeti della bestia in Apocalisse 13,11-18 o 19,20.
Non si tratta certo di opporre la Chiesa - con il cuore grande - e la città - con le tasche strette -, in una sorta di agostinismo politico ripresentato, quanto piuttosto di ricordare per entrambi ma soprattutto per la comunità ecclesiale, il detto evangelico: dove è il tuo tesoro là sarà anche il tuo cuore. Su questa affermazione, che è anche monito e invito, si può fondare l’ermeneutica esistenziale del discorso: se il nostro tesoro, anche in termini molto concreti, è lontano da ogni periferia e persegue altre logiche e altre alleanze, si può anche dichiarare che questo o quello è “nel cuore” ma di fatto starà sì e no in un qualche capillare di circolo periferico. Vale ovviamente anche il reciproco, anche se la logica evangelica ha percorsi più lenti e meno evidenti: se il “centro” è in una prassi che ricerca giustizia e ritiene questo il proprio tesoro, lo proclami o meno, l’espressione riprende vita e le parole illanguidite possono ancora aprire varchi e mettere al mondo mondi.
è facile produrre l’esempio della frase simbolo più nota e provocante, ma la stessa cosa vale anche per il resto delle cose dette: ad esempio gli inviti di Benedetto XVI alla legalità e all’integrazione; se estrapolati e contestualizzati in orizzonti antizigani - anche di questo c’è già esempio in rete - vengono tradotti più o meno “il Papa ha detto che gli zingari delinquono e che devono integrarsi”. Al contrario, una prassi di interazione e di rispetto può tradurre quella preoccupazione nell’invito alla stima per la legalità e alla ricerca della giustizia rivolta semplicemente a tutti, dal mondo della politica a quello della finanza, dall’ambito ecclesiastico - si veda il più recente discorso del Papa ai seminaristi in occasione della GMG - a quello delle agenzie educative o delle forze dell’ordine e di conseguenza valido rispettosamente ma rigorosamente per ogni persona, anche se posta in condizioni di minore rilevanza sociale, come può essere il caso di un pensionato o di un disoccupato, qualunque sia la sua “etnia” di appartenenza.
Infine, se il discorso assume spessore concreto all’interno di un agire comunicativo che ne orienta il significato, non dimentichiamo che anche le parole hanno in sé una potenza e creano mondi: ne abbiamo un esempio triste nei discorsi che incitano all’odio e all’esclusione. Anche quando sono in parte “solo” propaganda, non tornano mai indietro senza aver compiuto qualche cosa, magari aver deformato qualche coscienza, aver chiuso qualche orizzonte, aver diseducato qualche ragazzo. Abbiamo qui a disposizione parole/azioni che possono operare al contrario, in consonanza con quell’accompagnamento alla vita buona del Vangelo che ci sta così a cuore. A ognuno di noi la possibilità e il compito di farne tesoro.