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Dall’omelia alla S. Messa per gli operatori della pastorale dei migranti (C.Nosiglia)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 3/11


In occasione del Natale 2010 l’Arcivescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia, ha tenuto un’interessante e propositiva omelia agli operatori della pastorale dei migranti, omelia che merita di essere riportata e meditata.
Ecco, viene il Signore, re della gloria
Partendo dal sì di Maria che ha concepito per opera dello Spirito Santo il Verbo di Dio, il Presule passa al “nostro fiat di adesione alla volontà di Dio che ci chiama a vivere la fede nella carità”. E prosegue: “Anche se a volte ci sembra che quanto facciamo non abbia quei frutti sperati, mai deve venire meno la certezza che Dio compie cose impossibili là dove c’è fede in Lui. E con questi sentimenti di fede e di amore che oggi vogliamo portare con noi e mettere davanti a Dio, perché li abbiamo nel cuore, tanti amici immigrati. E un momento forte e bello della nostra vita ecclesiale. Vogliamo unirci insieme per pregare e per ringraziare il Signore di averci fatti cristiani e dunque membri dello stesso popolo santo di Dio, che ha il compito di testimoniare la luce di Cristo salvatore a tutte le genti. Abbiamo a che fare ogni giorno con persone di nazioni e culture diverse per nascita e provenienza, ma nel rispetto e nell’accoglienza reciproci viviamo la stessa fede in Dio e desideriamo operare con uguali diritti e doveri, per annunciare a tutti che crediamo nell’amore di Colui che è il nostro e loro salvatore e nel suo nome vogliamo vivere insieme l’amore che ci fa fratelli e sorelle.
Sempre più numerosi sono oggi gli immigrati di altre confessioni cristiane e di altre religioni, che ci interpellano, per una comunione solidale di fede in Cristo i primi e in Dio gli altri. Tutti però impegnati ad essere accolti come membri di un’umanità, che cerca insieme la strada che conduce alla verità e all’amore. (...) Voi sapete bene che le migrazioni hanno sempre caratterizzato la storia dei popoli del nostro Continente e ne hanno via via segnato i passaggi epocali più complessi e determinanti per il suo futuro. Anche oggi viviamo una di queste epoche e ci rendiamo conto di quanto ciò apra sfide ed orizzonti nuovi di cultura e di cambiamenti sociali, non sempre accolti serenamente e comunque portatori di problematiche complesse per tutti. La diversità di culture, di tradizioni religiose e civili, di linguaggi e di costumi, di cui sono portatori tanti immigrati, pongono problemi nuovi per la nostra società che, in passato, era considerata una terra di emigrazione e oggi è approdo per tante persone provenienti da molti Paesi del mondo. La paura del diverso, le conflittualità che nascono, l’incapacità di procedere su vie di integrazione da una parte e dall’altra, atteggiamenti di rifiuto e di indifferenza latenti in molti ed espliciti per fortuna in pochi, fanno parte ormai del nostro vivere quotidiano. I mass media poi aggravano questa situazione, perché esasperano, a volte, i casi limite e diffondono una mentalità ed una cultura di sospetto e di insicurezza, che va ben oltre la realtà e fonda un costume di pensiero e di vita diffuso. (...)
E la vostra testimonianza fa comprendere che per la Chiesa le migrazioni non sono solo un fatto sociale o politico, ma anche un fattore positivo di evangelizzazione, dove si misura la sua capacità di essere e di manifestarsi quale sacramento di unità e di pace per l’intero genere umano. Nella nostra società, poi, assistiamo ad un fatto sorprendente. Da un lato, vediamo quanto la gente sia aperta e disponibile ad aiutare e sostenere le opere missionarie, sotto il profilo sociale, e quante associazioni, gruppi, cooperative si impegnino in questo per portare segni concreti di prossimità, di aiuto fattivo e concreto alle popolazioni dei Paesi del Terzo e Quarto Mondo. L’orizzonte del mondo non è dunque estraneo a tanti ed apre vie impensabili di generosità e di servizio. Un mondo che, però, sta lontano. Dall’altro lato, quando questo stesso mondo viene a vivere nella porta accanto, allora scattano paure e rifiuti e si ingenerano estraneità ed emarginazioni, che possono anche portare a ghettizzare lo straniero immigrato o a diffidare di lui. Questo non possiamo e non vogliamo accettarlo, da parte di nessuno e, come Chiesa, siamo impegnati a contrastare qualsiasi norma nazionale o locale, che discrimini o penalizzi gli immigrati, rendendo difficile e faticosa la loro vita e non rispettandone i diritti fondamentali dovuti ad ogni persona umana. Non esistono, infatti, gli immigrati e tanto meno i cosiddetti extracomunitari, ma esiste una persona umana soggetto di diritti e doveri, come ogni altra, prima e al di là del colore della sua pelle, della sua nazionalità o religione. Per grazia di Dio dobbiamo comunque constatare, nel nostro territorio, anche tanti segni di speranza. Non poche sono le famiglie che apprezzano e valorizzano molto le persone immigrate per il servizio agli anziani e tante aziende che fanno altrettanto per i lavori spesso più umili e faticosi. Non mancano comunità che aprono le loro chiese o i loro locali per accogliere gruppi di immigrati per le celebrazioni ed i loro incontri. Nei consigli pastorali stanno entrando sempre più le presenze di fratelli e sorelle immigrati. I centri promossi dalla pastorale dei migranti crescono e si consolidano con l’apporto responsabile degli stessi immigrati e delle comunità in cui operate. (...)
Per collaborare e per accogliersi, rispettandosi gli uni gli altri, occorre osservare le regole democratiche del nostro Paese quali basi portanti di unità della popolazione, promuovendo, tuttavia, le identità di ciascuna componente, senza nascondere le diversità, a volte anche profonde e non solo esteriori, di impostazione di vita, di cultura, di religione, di comportamenti. Le diversità non debbono creare muri, ma servire come ponti su cui impostare vie di dialogo, di convergenze amicali e di condivisione, operando uniti per una società più giusta, solidale e pacifica. Possiamo affermare che la presenza di tanti fratelli e sorelle immigrati è uno stimolo per il nostro Paese a ritrovare le radici vere ed autentiche della sua fede e cultura cristiane. Solo così potremo affrontare serenamente il problema e gestirlo con sicurezza per costruire una nuova civiltà dell’amore dove le differenze non si azzerano, ma sono considerate una risorsa posta a servizio del progresso civile e culturale dell’intera società.
C’è infine un aspetto che non possiamo disattendere nel nostro impegno: quello proprio della Pastorale dei migranti di sostenere il cammino spirituale e di fede degli immigrati e delle comunità etniche. Molti sono gli immigrati cattolici e cristiani che necessitano di questo. Ringrazio i cappellani che se ne curano e i loro più stretti collaboratori. Lasciando infatti il proprio Paese tanti fratelli e sorelle della stessa fede in Cristo si trovano spaesati e privi di punti di riferimento per la loro crescita cristiana e per tutte quelle esigenze pastorali di cui hanno bisogno per se stessi, la loro famiglia e i figli in particolare.
E necessario inoltre che le comunità etniche cattoliche possano usufruire di chiese e locali per l’accoglienza e la pastorale e si raccordino sul territorio con le parrocchie in modo che gli immigrati si inseriscano gradualmente nel cammino pastorale delle comunità locali. Quelle di altre confessioni cristiane necessitano del nostro aiuto per avere anch’esse chiese o locali sufficienti a svolgere il loro culto in modo da testimoniare con gioia la nostra unità in Cristo mediante quell’ecumenismo spirituale e fraterno che ci aiuta a progredire nella stessa fede e carità. Per i fedeli di altre religioni è giusto e doveroso l’aiuto ad avere luoghi idonei a svolgere il loro culto a Dio e le varie iniziative religiose della loro comunità di appartenenza. La cura dell’ecumenismo da un lato e del dialogo interreligioso dall’altro rappresenta oggi una della frontiere di impegno comune tra i credenti ed è fonte di giustizia e di pace per l’intera società.
(Torino, 20 dicembre 2010)