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L’immigrazione nel dibattito pubblico (A. Jabbar)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/11


Premessa
Con questo intervento si intende prestare attenzione alle problematiche dell’immigrazione facendo riferimento ad alcuni spunti rintracciabili in documenti redatti all’interno di due contesti particolari, quello politico istituzionale e quello religioso ecclesiale, al fine di evidenziarne l’ottica di lettura della tematica e le indicazioni emerse1.
Sono sempre più frequenti e visibili su scala mondiale i movimenti migratori i quali, come molti studiosi affermano, producono effetti sostanziali e collaterali sull’insieme dei contesti territoriali, da quelli di provenienza a quelli di attraversamento e di arrivo. Gli effetti di tali cambiamenti sono riscontrabili con molta chiarezza in ogni sfera del sistema sociale e della vita quotidiana: nelle istituzioni e nei servizi, nei luoghi di lavoro, nella scuola e dentro ogni singolo spazio urbano, destando grande attenzione anche nella sfera religiosa “in questo tempo di grande mobilità dei popoli, la Chiesa è sollecitata a promuovere l’incontro e l’accoglienza tra gli uomini: «i vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine». In tale prospettiva, la nostra attenzione si rivolge in modo particolare al fenomeno delle migrazioni di persone e famiglie, provenienti da culture e religioni diverse. Esso fa emergere opportunità e problemi di integrazione, nella scuola come nel mondo del lavoro e nella società”.2
Questo tipo di asserzione dimostra un grado di consapevolezza non facilmente riscontrabile in altri contesti. Sull’impatto di questa realtà si discute e si dibatte non soltanto negli ambienti di studio e di ricerca, ma anche e forse soprattutto nell’ambito politico e in quello mediatico. Tuttavia, nonostante l’ampiezza del dibattito mediatico, spesso ripetitivo, e sovente carico di allarmismi, ci si trova in una situazione di stallo; nella vastità dei quesiti che devono essere affrontati viene a mancare sia la volontà sia la motivazione di sviluppare una effettiva e profonda riflessione sul significato reale dei processi migratori e delle trasformazioni che ne derivano. è come se si innescasse un meccanismo mirato ad esorcizzare l’incertezza generata dai mutamenti, rimandando ad un tempo indeterminato l’elaborazione delle necessarie risposte. Tale atteggiamento è per alcuni versi comprensibile nel momento in cui i processi migratori tendono a produrre delle radicali modificazioni nel vissuto abituale, in qualche modo essi rappresentano una “turbativa” per chi vive la propria realtà territoriale, poiché generano questioni che possono sconvolgere mappe cognitive interiorizzate e sedimentate. Ne deriva che, all’interno di uno spazio pubblico, viene a prodursi una sorta di contenzioso tra schemi (comportamentali, valoriali, interpretativi) consolidati e nuovi modelli che interagiscono in maniera talvolta conforme, a volte difforme.
Non a caso, la redazione della Carta dei Valori della cittadinanza e dell’integrazione ha rappresentato un’iniziativa per ribadire i principi costituzionali e definire alcuni riferimenti nel tentativo di delineare una strategia per gestire la complessità creatasi a seguito dell’insediamento di diversi gruppi di immigrati. “La Costituzione è fondata sul rispetto della dignità umana ed è ispirata ai principi di libertà ed eguaglianza validi per chiunque si trovi a vivere sul territorio italiano. Partendo dalla Costituzione l´Italia ha partecipato alla costruzione dell´Europa unita e delle sue istituzioni. I Trattati e le Convenzioni europee contribuiscono a realizzare un ordine internazionale basato sui diritti umani e sulla eguaglianza e solidarietà tra i popoli”.3
Le frizioni che nascono da queste dinamiche pongono dunque degli interrogativi, i quali necessitano di soluzioni, che a loro volta abbisognano di interpreti sociali e politici in grado di gestirle. Elemento fondante per gestire tale problematica è la consapevolezza che i processi migratori non solo rappresentano un cambiamento dentro la società, ma di fatto cambiano profondamente la società.

Abissi identitari
Ci si interroga spesso sul termine più adatto o sull’accezione più idonea a stabilire una prassi o una politica correlata alla presenza degli immigrati: inserimento, integrazione, interazione, inclusione, assimilazione, incorporazione, e via di questo passo. Spesso una definizione non offre una visione della natura della società e delle dinamiche che la attraversano, e nemmeno l’immagine di una possibile società futura. In questo quadro troviamo sia i fautori dell’adattamento svalorizzante degli immigrati, ancorato ad una visione ambigua d’integrazione, sia i sostenitori di un generico riconoscimento della specificità culturale degli immigrati, disputa in verità alquanto fatua, che trascura la realtà di fatto e le implicazioni concrete .
La filmografia contemporanea, sempre più interessata a rappresentare dinamiche sociologiche contingenti, ha trattato in molti film il tema dell’immigrazione e dello straniero, ponendo anche in risalto proprio l’immaginario stereotipato e fuorviante che li rappresenta. A tale proposito il film “Crash”(2004) di Paul Haggis, riesce a fotografare e a descrivere in modo pertinente le dinamiche presenti in diverse società, in particolar modo in quella statunitense, attraversata da visioni comunitariste e etnicizzanti che marcano fortemente il senso di riconoscimento e di appartenenza. Ne è un esempio la scena del poliziotto in borghese che, pur “tollerante”, rimane confuso e disorientato dai gusti musicali e sportivi di un giovane afroamericano incontrato per caso, dal quale, in virtù della sua appartenenza “etnica”, ci si aspetterebbe preferenze contrastanti da quelle del protagonista. Questa scena sottolinea quanto sia radicata l’etnicizzazione di modelli e comportamenti, tale da non considerare le interconnessioni e gli intrecci che si generano anche spontaneamente nelle relazioni umane.
Allo stato attuale, l’adattamento richiesto agli immigrati rischia in realtà di riprodurre, per una sorta di reazione indotta, dinamiche comunitariste. Quindi i fautori di una politica dell’adattamento dovrebbero tenere presente tale eventualità e non sottovalutarne l’impatto nella società. Invece, i sostenitori delle cosiddette specificità culturali sarebbe meglio evitassero di attribuire agli immigrati ruoli di rappresentanti di culture, in quanto gli immigrati sono di fatto interpreti della propria esperienza, nonché protagonisti di un progetto di emancipazione sociale, progetto che richiede una politica di empowerment e di accesso ai diritti. Nonostante le apparenti divergenze e la discordanza delle due visioni citate, queste finiscono dunque per convergere su una lettura culturalista dell’immigrazione, a scapito della valenza sociale dell’esperienza migratoria.
Definire la complessità della storia umana in termini culturalisti, a prescindere dalle posizioni di fondo, rischia di incoraggiare una visione separatista della società, dove le divisioni, che pure esistono, si riducono a distinguo culturali. Questo impedisce di vedere la reale natura di certe incompatibilità e legittima lo scontro sociale sulla base di presunte e inconciliabili differenze di civiltà. Una convinzione tanto diffusa quanto pericolosa per l’umanità, una cecità di fondo (ma anche inconsapevole complicità).

Consumismo e miraggi della integrazione!
L’affermazione, la diffusione e l’attecchimento a livello globale del sistema consumistico ha comportato, per gran parte della popolazione mondiale, una sorta di socializzazione anticipata, vale a dire un processo di interiorizzazione di tale sistema e di adesione allo stesso, che si instaura in un momento precedente all’eventuale scelta migratoria Quindi non sembra azzardato definire i migranti “soggetti integrati”: la decisione di abbandonare i propri luoghi d’origine per raggiungere aree più prospere può essere letto come desiderio di accedere alla cultura dominante e di realizzarsi all’interno di essa. Date le connessioni e gli intrecci tra contesti territoriali diversi e lontani si sente la necessità di esplorare meglio e approfondire la discussione sull’integrabilità e compatibilità degli immigrati.
Nel mondo contemporaneo, attraversato da crisi di varia natura, esiste una moltitudine di persone costrette a lavori precari e malpagati, che vivono attualmente nella condizione di consumatori insoddisfatti e di risparmiatori derubati. Il nocciolo della questione è che la cultura del consumismo oggi mostra le sue crepe e non è più in grado di garantire alla massa il potere di consumo desiderato e atteso.
II sistema che ha fatto della cultura del consumo la propria ragione d’essere, esaltando la figura del consumatore vorace in sostituzione di quella del cittadino responsabile, incontra serie difficoltà nell’individuare nuovi riferimenti e nuovi assetti. “Le persone fanno sempre più fatica a dare un senso profondo all’esistenza. Ne sono sintomi il disorientamento, il ripiegamento su se stessi e il narcisismo, il desiderio insaziabile di possesso e di consumo, la ricerca del sesso slegato dall’affettività e dall’impegno di vita, l’ansia e la paura, l’incapacità di sperare, il diffondersi dell’infelicità e della depressione. Ciò si riflette anche nello smarrimento del significato autentico dell’educare e della sua insopprimibile necessità. Il mito dell’uomo “che si fa da sé” finisce con il separare la persona dalle proprie radici e dagli altri, rendendola alla fine poco amante anche di se stessa e della vita”.4
In quest’ottica, le preoccupazioni riguardo all’integrazione o meno della popolazione migrante vanno lette come legate alle diversità culturali, o al fatto che queste persone vanno di fatto ad ingrossare le fila dei precari, dei non aventi beni e diritti? Alcuni soggetti politici, dopo aver fatto della diversità culturale e religiosa la propria bandiera anti-immigrazione, hanno oggi ben colto il rischio di impoverimento e di emarginazione cui sono esposte diverse fasce della popolazione e se ne servono strumentalmente per agitare nuove paure nel clima generale di crisi. Pochi invece si soffermano sull’erosione di riferimenti quali l’uguaglianza e i diritti di cittadinanza, cui si accompagna la restaurazione di rapporti di tipo neo-feudale, di clan, corporativi e familistici che indeboliscono ulteriormente la coesione sociale. La marginalità di interi gruppi sociali, la concentrazione di poteri economici, gli attacchi allo stato di diritto, l’allentamento di modelli esistenziali e culturali basati sulla responsabilità collettiva e la solidarietà: questo può far esplodere la coesione di una società, non certo la differenza, vera o presunta, dei modelli culturali.

Intercultura come antidoto alla cecità
L’intercultura intesa come metodo di osservazione e lavoro che richiede un processo di decostruzione e rielaborazione degli schemi di pensiero può contribuire a:
1. Ripensare l’uso di alcune categorie, come quelle di democrazia, laicità e in particolare dei diritti umani: la presenza degli immigrati dimostra quotidianamente e vistosamente i limiti e le contraddizioni nell’utilizzo retorico di queste categorie e nell’effettiva applicazione. Una diffusa credenza attribuisce all’Occidente la prerogativa di aver sancito l’inalienabilità dei diritti umani, mentre esistono testimonianze storiche che ne dimostrano le origini antiche, basti pensare al Cilindro del re babilonese Nabonide e al Cilindro di Ciro II (559-529 a.c), tradotto nel 1971 dalle Nazioni Unite in diverse lingue5. Documento che già allora trattava temi quali l’uguaglianza tra uomo e donna, la libertà di professare il proprio credo religioso, la libertà di esercitare la propria professione ecc...
2. Riflettere su norme che vengono emanate per mettere in atto una vera e propria discriminazione che, presentata come operazione necessaria e transitoria (classe ponte, permesso di soggiorno a punti6...) in attesa di una futura integrazione, segna in modo indelebile il presente e il futuro delle persone producendo di fatto esclusione e marginalità.
3. Reinventare i luoghi del racconto e del confronto. L’indebolimento di aggregazioni di tipo politico, sindacale, cooperativistico, che in passato hanno avuto la funzione di socializzazione e di partecipazione, minaccia la coesione sociale. Oggi si sente la necessità di esplorare nuovi luoghi e percorsi per permettere alle diverse soggettività di incontrarsi, raccontarsi e confrontarsi su temi trasversali e comuni, al fine di produrre un linguaggio, una consapevolezza e una memoria condivise.
4. Riprogettare un’azione politica in grado di abbracciare la dimensione transnazionale, che sempre più è prevalente nel vissuto di larghe fasce della popolazione mondiale al fine di pervenire a una nuova concezione di cittadinanza e di appartenenza post-nazionalistica “considerando le trasformazioni avvenute nella società, alcuni aspetti, rilevanti dal punto di vista antropologico, influiscono in modo particolare sul processo educativo: l’eclissi del senso di Dio e l’offuscarsi della dimensione dell’interiorità, l’incerta formazione dell’identità personale in un contesto plurale e frammentato, le difficoltà di dialogo tra le generazioni, la separazione tra intelligenza e affettività. Si tratta di nodi critici che vanno compresi e affrontati senza paura, accettando la sfida di trasformarli in altrettante opportunità educative”.7
5. Riproporre con più convinzione e coraggio il termine di cultura nella sua accezione storica e molteplice e quindi multiculturale. L’uso e l’abuso di questo termine infatti rischiano di sostituirlo al concetto di razza, inducendo ancora una volta l’erronea convinzione che a contesti territoriali corrispondano realtà culturali omogenee, quando invece la storia dimostra che tutte le culture sono il risultato di legami e di scambi fra elementi provenienti da diversi ambienti.
A conclusione di queste considerazioni, è chiaro che urge una ricerca inedita di nuovi percorsi alternativi per allentare tensioni, per aprire orizzonti e ricomporre una nuova memoria storica. Diversamente, le affermazioni contenute nella Carta dei Valori e le indicazioni previste nell’accordo d’integrazione non solo rischiano di rimanere un mero pronunciamento dettato da motivazioni politiche ma, dalle indicazioni elencate (in particolar modo quelle presenti nell’accordo d’integrazione), emerge l’idea che gli immigrati non siano altro che soggetti estranei da tenere sotto stretta sorveglianza. Sarebbe auspicabile invece che i molteplici attori che si occupano di immigrazione leggessero attentamente i cambiamenti nella società umana e elaborassero dei progetti per rendere concreti alcuni degli orientamenti del documento della Conferenza Episcopale Italiana e, perché no, anche quei passaggi della Carta dei Valori della cittadinanza e dell’integrazione (giusto salario e giusto affitto) condivisibili malgrado roboanti intenti e l’impostazione generale di tipo autoreferenziale.
 
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* Sociologo nell’ambito dei processi migratori e comunicazione interculturale. Ha insegnato Sociologia delle Migrazioni presso il corso di laurea in Servizi Sociali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e al Master sull’immigrazione presso la medesima Università (2000-2006). Membro del comitato scientifico e docente al Master “Comunicazione e Mediazione interculturale”, Università di Torino, insegna al corso di perfezionamento “Città e civiltà: nuove frontiere di cittadinanza”, Università di Parma; Collaboratore dell’Istituto di Studi e Ricerca Sociale di Trento; Membro del comitato scientifico del progetto “Immigrati e Biblioteche Pubbliche in Toscana”; Membro del comitato scientifico del Centro Interculturale del Comune di Torino. Alcune pubblicazioni (realtà islamica):
• “L’Islam oggi. Jihad, nonviolenza e modernità”, in Claudio Tugnoli (a cura di), Maestri e scolari di non violenza. Riflessioni, testimonianze e proposte interattive, Iprase Trentino, Annali 2000, Franco Angeli, Milano, 2000
• “Tracce femminili nell’Islam”, in Afriche e Orienti, Bologna, anno 3, n. 2, 2001
• “Pluralismo religioso e scuola” in L. Pedali (a cura di), è l’ora delle religioni. La scuola e il mosaico delle fedi, EMI, Bologna, 2002
• “I musulmani di oggi e le sfide globali”, in P. Naso, B. Salvarani (a cura di), La rivincita del dialogo. Cristiani e musulmani in Italia dopo l’11 settembre, EMI, Bologna, 2002
• “La complessità negata” in A. Rivera (a cura di), L’inquietudine dell’Islam, Dedalo, 2002
• Gesù profeta del Corano, Confronti, Roma, anno XXXIII, n.9, 2006
• “Appartenenza e Alterità nell’Islam”, in Antonio Genovese (a cura di), Intercultura e Nonviolenza, Clueb, Bologna, 2008
• Khan, Maestro musulmano di non violenza, Confronti, Roma, anno XXXVI, n. 9, 2009
• “La profezia della Nostra Aetate. Un punto di vista musulmano”, in Brunetto Salvarani e Marco Ronconi (a cura), La fede degli altri. Introduzione a Nostra Aetate e Unitatis Redintegratio, Editore Periodici San Paolo, Milano, 2010.
Note
1 Ci si riferisce in modo specifico alla Carta dei Valori della cittadinanza e dell’integrazione, agli orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano e alla bozza d’accordo di integrazione del Ministero dell’Interno
2 Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, § 14
3 La Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione, voluto dal Ministro dell’interno Giuliano Amato e redatta da una commissione scelta dal ministro stesso, è stata pubblicata sulla G.U, il 15.06.2007
4 Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, § 9
5 Ved, http:www.farsinet.com/cyrus/
6 E previsto dall’articolo 4 bis, comma 2 del testo unico 286, ma non ancora in vigore
7 Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, § 9