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Integrazione: “piano” o cammino? (F. Zannini)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/11


Integrazione non è questione di sicurezza
La crescente presenza di immigrati nel nostro paese e l’urgenza di mettere in atto politiche di accoglienza e di integrazione sollecitano tutti cittadini italiani a riscoprire quei valori che permettano un fruttuoso dialogo con quanti si stabiliscono nel nostro paese. Un tentativo di proporre un cammino in questo senso è stato la “Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione” promulgata a Roma dal Ministero degli Interni il 27 Aprile 2007, cui è seguito recentemente un “Piano per l’integrazione nella sicurezza Identità e Incontro” proposto dallo stesso Ministero il 10 giugno 2010, nel lodevole tentativo di progredire nel processo di accoglienza e di integrazione della popolazione immigrata. I due documenti sono certamente correlati in quanto non solo il “Piano” fa spesso riferimento alla “Carta dei valori”, ma nell’allegato “Accordo di integrazione” stesso si chiede all’immigrato di aderire ai principi in essa espressi, senza tuttavia sottolineare il fatto che essa, nell’intenzione di coloro che la hanno redatta, è rivolta anche agli italiani.
D’altro canto, malgrado vengano spesso riecheggiati articoli ed espressioni della “Carta dei valori”, questa non viene riportata in maniera organica“Piano” e sostanzialmente non se ne riprende l’impianto. Già il titolo stesso del nuovo documento in cui il termine “integrazione” è messo a fianco di quello di “sicurezza”, pone una linea di demarcazione rispetto alla “Carta dei Valori” nella quale le due questioni sono assolutamente separate. Infatti, in essa, il fenomeno dell’immigrazione viene visto nella complessità del rapporto tra la popolazione italiana e quella immigrata come disgiunto dal concetto di sicurezza che riguarda ogni singola società, sia essa toccata o no dal fenomeno migratorio. Ponendo l’accento, già nel titolo, sulla “sicurezza”, si insinua il sospetto che l’immigrato rappresenti in qualche modo un pericolo, con il rischio di far passare in secondo piano il fatto che esso rappresenta un valore, una risorsa, una persona. Così il concetto di “identità” non appare ben chiaramente definito nel “Piano” in cui si riecheggia il testo del “Preambolo” della “Carta dei Valori”1, semplificato e sostanzialmente impoverito del suo messaggio, in quanto di esso si fa riferimento solo alla posizione geografica dell’Italia, con un vago accenno alla tradizione giudaico-cristiana. Inoltre l’enfasi posta nel testo del “Piano” sulla “identità”, che per altro è un valore essenziale, senza poi offrire una specifica definizione, espone il documento al rischio di sottovalutare il fatto che il delicato problema della integrazione tra popoli che hanno tradizioni, culture e religioni diverse non può ridursi ad un semplice patto di convivenza che di per sé non è fruttuoso, né porta benefici ad una società e neppure ad una assimilazione di culture e civiltà diverse all’interno della società, una specie di “melting pot”, o al sottomettersi di una civiltà e cultura ad un’altra dominante. In questo senso è positivo, e in linea con la “Carta dei valori”, il rifiuto, da parte del “Piano” dell’approccio “multiculturalista” come di quello “assimilazionista”2, anche se una certa forma di assimilazionismo sembra poi essere qua e là presente nel documento in cui di tanto in tanto emerge il timore che l’immigrato, in qualche modo, attenti ai nostri valori3.
Base della integrazione: i valori
Il rapporto diventa fecondo quando si guarda in alto e si scoprono valori comuni, basati sulla comune umanità. E in questo contesto che si produce un ricco scambio e una fruttuosa interazione che tiene presente la società in cui si entra come pure la ricchezza delle tradizioni e della cultura di chi entra con i propri valori e le proprie religioni. In questo senso il concetto di “persona” e di “laicità” diventano essenziali per la ricchezza di un interscambio che integri popoli e culture senza far perdere l’identità né dall’una né dall’altra parte. La “Carta dei valori”, infatti, quando sottolinea il concetto di “laicità”4, non lo lega semplicemente al rapporto con le religioni della popolazione immigrata, peraltro completamente trascurate dal “Piano”, ma lo considera un atteggiamento fondamentale che esprime allo stesso tempo rispetto ed accoglienza5.
Identità aperta
E qui che il concetto di “Identità Aperta”, proposto dal “Piano” potrebbe divenire estremamente fecondo se il “Piano” stesso non creasse una sostanziale differenza tra i due interlocutori, chiedendo all’immigrato “conoscenza” e “rispetto di ciò che siamo” e al nativo di esprimere soltanto “la naturale curiosità per l’altrui cultura e tradizione”6, che sembra richiamare un atteggiamento provinciale di interesse generico nei confronti di tutto ciò che è “esotico”. Una “identità aperta” non si lascia prendere dalla paura del diverso, ma rivolge verso di lui l’attenzione, che è desiderio di apprendere, di arricchirsi senza nulla perdere di se stesso, né vuotare la ricchezza dell’identità dell’altro che lentamente si inserirà nel nuovo ambiente con un atteggiamento creativo e in vista di un futuro che non blocchi, bensì allarghi gli orizzonti di una società che è sempre in crescita. Questo richiama anche il concetto di “centralità della persona” che accomuna i due documenti e che viene sottolineato nel “Patto” con affermazione che “i talenti e la creatività delle persone che giungono in Italia devono trovare terreno fertile per una loro piena valorizzazione nei processi economici e sociali”7. Un tale concetto viene tuttavia offuscato dal riferimento alla “clandestinità, come “condizione oggettivamente sleale e squilibrata rispetto alle norme della convivenza”. La “Carta dei Valori”, infatti, non usa mai tale terminologia e sottolinea invece che “L’Italia è impegnata perché ogni persona sin dal primo momento in cui si trova sul territorio italiano possa fruire dei diritti fondamentali, senza distinzione di sesso, etnia, religione, condizioni sociali”8. Il riferimento, inoltre, del “Piano” a “iniziative di buona integrazione che nascono dal territorio”9, senza per altro aver definito chiari criteri per valutare tale cosiddetta “buona integrazione” in contrapposizione con una supposta “cattiva integrazione”, non sembra particolarmente accurato. Infatti, il buono e il cattivo non sembrano essere criteri validi per definire il concetto di “integrazione” stessa che appare, sia nel “Piano” sia nella “Carta dei Valori”, come un assunto positivo che può realizzarsi o no, ma che una volta realizzato esprime in se stessa un valore. D’altra parte la “Carta dei Valori” non propone un modello di “buona integrazione”, ma cerca di suggerire i valori guida per un cammino di integrazione, dove la “convivenza con persone di diversi usi e tradizioni” è vista in senso positivo senza sottolineare, come fa il “Piano”, il senso di “paura” e di “insicurezza diffusa sia per i cittadini italiani che per gli immigrati stessi”10, contro cui si dovrebbe lottare tramite un “riequilibrare”11 le presenze. Si tratta di una visione che non sembra molto consona con una crescita naturale del rapporto tra nativi e immigrati ed esprime un atteggiamento piuttosto dirigista, che fa pensare agli immigrati come pedine da sistemare in uno scacchiere, oppure elementi o masse di materiale spostabile. Al testo si allega poi un “Accordo”, che riecheggia il concetto di “Contrat d’accueil” predisposto dallo Stato francese e che esula completamente dalla prospettiva della “Carta dei Valori”, che non vede l’integrazione come frutto di negoziazione, ma come un processo e un cammino che dipendono da un dialogo e da un impegno che coinvolge con la stessa forza immigrati ed italiani.
Conclusione
L’integrazione, più che un piano precostituito, è un cammino alla ricerca di valori comuni e di crescita nel dialogo e nel rispetto. Così è stato per la formulazione della “Carta dei Valori”, che ha visto coinvolte numerose organizzazioni laiche e religiose e una molteplicità di rappresentanti delle principali comunità di immigrati da cui si è ottenuto un vasto e articolato consenso. Implementare un processo di integrazione non significa dunque far firmare, da parte dell’immigrato, un “Accordo di integrazione”, né soltanto predisporre strumenti sociali, politici e giuridici, lodevolmente suggeriti dal “Piano” e sui quali si apre un vasto campo di collaborazione da parte del mondo laico e cattolico. Occorre soprattutto cercare un comune cammino di comprensione, solidarietà e dialogo che crei le basi per una pacifica convivenza e per una crescita comune nel rispetto dei valori fondamentali che stanno alla base della vita dell’uomo, qualsiasi sia l’etnia cui appartiene o la religione cui aderisce. Il concetto unitario di cittadinanza e di convivenza tra le diverse comunità nazionali, etniche, e religiose, che si sono radicate negli ultimi anni particolarmente sul territorio italiano, potrebbe condurre a quello che può esser considerato come un patto di alto profilo morale e spirituale tra cittadini e immigrati e tra le diverse religioni in vista di un’integrazione che vuole conciliare il rispetto delle differenze di cultura e di comportamento legittime e positive con il rispetto dei valori comuni. Si tratta di percorrere un cammino fondato sul principio per il quale “Vivere sulla stessa terra vuol dire poter essere pienamente cittadini insieme e far propri con lealtà e coerenza valori e responsabilità comuni”.12
 
 
 
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1 “L´Italia, comunità di persone e di valori”, Carta dei valori della cittadinanza e dell´integrazione , Ed. Ministero dell’Interno, Roma 2007, pp.10-11
2 Vedi: Piano per l’integrazione nella sicurezza Identità e Incontro” Ministero dell’Interno, Roma, 10 giugno 2010 p. 4
3 “non possiamo permettere che le diverse tradizioni e culture di provenienza entrino in collisione con il nostro assetto valoriale”, ibid. p. 3
4   Carta dei valori art. 20, p. 22
5 Vedi: ibid. p. 22 n. 32.
6 Piano p. 5
7 Ibid. p. 3
8 Carta dei valori art. 1
9 Piano p. 5
10 ibid. pp. 16-17
11 ibid. p. 17
12 Carta dei valori art. 5, p. 13