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La Lezione del Nord Africa (S.Ridolfi)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/11


Scrivere sulla situazione in Nord Africa, e soprattutto in Libia, è molto difficile perché i cambiamenti sono tali e tanti, ed inoltre così imprevedibili e veloci, che il giorno dopo quanto scritto il giorno prima può risultare superato se non sfasato sulla realtà.
Ed allora, superando per quanto possibile il veloce succedersi degli eventi quotidiani, è più opportuno fare alcune considerazioni di carattere generale che spieghino le ragioni più profonde di questi eventi.
1. Che i profughi o migranti del Nord Africa puntino la rotta delle loro rappezzate carrette del mare sull’isola di Lampedusa non deve meravigliare: è l’approdo d’Europa più vicino ( a parte lo strano ed ambiguo comportamento dell’isola di Malta) ed è anche una terra dove da tempo, specialmente in Sicilia (Mazara del Vallo in particolare), esistono sereni rapporti tra Nord Africa e Italia.
Lampedusa è quindi contemporaneamente confine dello Stato italiano e inizio meridionale della Unione Europea. Il “mare nostrum” non è più latino, bensì euro-africano.
Se è logico e comprensibile l’approdo a Lampedusa non lo è però la stagnazione dei flussi migratori nell’isola e nemmeno il disinteresse europeo.
2. La situazione politica ed economica del Nord Africa ha, se non causato, almeno favorito questo esodo biblico di persone. Che, se vengono purtroppo sfruttate vergognosamente da mercanti di carne umana, esprimono comunque una umana disperata volontà di uscire da condizioni economicamente e politicamente inaccettabili. I sacrifici cui questa gente si sottomette, le incertezze cui va incontro, le ostilità da superare sono tali e tanti da meritare un grande rispetto, se non ammirazione. E la storia darà loro ragione. Anche per i morti che dolorosamente segnano questo cammino della speranza come una nuova via crucis.
E‘ spontaneo ricordare l’esodo dei nostri emigrati nell’Ottocento verso le Americhe, taglieggiati da commercianti senza scrupoli, stipati all’inverosimile nelle stive delle navi, spesso vittime di malattie e non di rado morti durante il lungo tragitto e il loro corpo gettato in mare.
3. L’Italia si è scoperta inaspettatamente ed in pochi decenni paese di immigrazione dopo aver vissuto una centenaria esperienza di emigrazione.
Non eravamo preparati né come strutture né per leggi, tanto meno come mentalità. E fatichiamo ancora a comprendere che dobbiamo uscire da un diffuso provincialismo, che la nostra società non può rimanere monolitica, monoculturale, monoreligiosa.
E più che a spazi fisici bisogna aprirsi a spazi mentali, che vanno dalla accoglienza alla convivenza alla integrazione. E anche a questo riguardo occorre una mentalità nuova e creatività per non cadere nell’errore, di cui siamo stati vittime già noi, di accettare cioè l’altro solo se e quando diventa come noi, ossia non è più se stesso.
4. Non c’è da illudersi. Gli attuali movimenti del Nord Africa sono soltanto i primi sintomi di un risveglio e di richieste che investono la comunità internazionale, ed in primis l’Europa.
L’Africa è stata da secoli il continente con materie prime da sfruttare (colonialismo), con persone ritenute primitive tanto da poterle cosificare (schiavismo), con conflitti interni che si mantenevano localmente circoscritti e che, nonostante i massacri, poco interessavano i paesi del ricco occidente.
Ora l’Africa già incatenata sta tagliando, e sempre più taglierà, catene vecchie e nuove e sta chiedendo conto dei molti sfruttamenti subiti. Il vulcano Africa può diventare uno tzunami socio-politico di incontenibili proporzioni e con devastanti effetti se non si sarà in grado di stabilire rapporti dignitosi e paritari con tutti i paesi perché lo sviluppo si realizzi in loco con accordi economici ed intese culturali tra paesi interessati anche per rispetto e sviluppo delle tradizioni e culture locali che siano poi in grado di dialogare e di fare scambio con le altre culture.
“Si tratta di costruire - scrive Paolo VI nella sua enciclica “Populorum Pogressio”, PP, del 1967,n.47 - un mondo in cui ogni uomo, senza esclusioni di razza, di religione, di nazionalità possa vivere una vita pienamente umana, affrancata dalle servitù che gli vengono dagli uomini e da una natura non completamente dominata: un mondo dove la libertà non sia una parola vana e dove il povero Lazzaro possa assidersi alla stessa mensa del ricco”.
5. Impressione e desta stupore, anzi spesso indignazione, ascoltare che tutto viene fatto nel nome di “Dio, grande e misericordioso”, comprese le uccisioni, anche fraterne, anche di innocenti.
C’è una evidente stortura nella concezione di un Dio che giustifica la mia violenza.
Bisogna però riconoscere che pure siamo stati colpevoli di un simile atteggiamento nella nostra storia passata ed anche nella presente. In nome di Dio abbiamo fatto guerre, battaglie, stermini.
Tuttora stiamo vivendo in continua situazione di guerra e non ci poniamo sufficientemente il problema, se stiamo più giustificandole che condannandole. Il rispetto della vita umana dal suo concepimento alla sua naturale fine comprende, o almeno dovrebbe comprendere, anche la esclusione di conflitti devastanti avviati per interessi economici o per rivalità politiche.
6. Le armi infatti per loro natura uccidono e vengono continuamente perfezionate perché uccidano più e meglio.