» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
Un po' memoria, un po' progetto: UNPRES 2010 (C.Simonelli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/10


Questa veloce ricognizione attorno alla pastorale nel mondo rom1 non può non prendere le mosse dal contesto generale. Segue poi una scheda volta a presentare quelli che sono stati i punti di forza di questo settore negli ultimi decenni. Vengono poi segnalati specifiche iniziative dell’anno trascorso.
Urgenza, non emergenza
Il contesto italiano ed europeo di questo anno continua a essere estremamente critico: ad azioni puntuali il cui impiego tende a diventare sistematico, come il ricorso agli sgomberi e i “bandi di cacciata”, si unisce la tendenza ad affrontare la situazione in chiave di “emergenza Rom”, passepartout allarmistico in chiave etnica.
Non si può dire che non si siano levate anche voci diverse, che hanno richiamato la necessità di passare da una posizione etnica delle questioni - inaccettabile dal punto di vista giuridico e ottusa dal punto di vista pratico - alla considerazione di responsabilità individuali. Tuttavia il pregiudizio è ampiamente diffuso: urgente sarebbe avviare e catalizzare processi di verifica, sia sul territorio ampiamente inteso, che nei luoghi educativi e formativi, sia, specificamente, nei luoghi ecclesiali in particolar modo, di formazione. Chiunque sia in qualche modo legato al mondo rom potrebbe riferire esperienze di discussioni simili alla seguente (realmente svoltasi in un ambiente da altri punti di vista estremamente “preparato”): di fronte alla richiesta di spiegazioni su di un fatto di cronaca (un incidente d’auto) di cui è risultato responsabile “un” rom, viene chiesto «perché loro sono così»; alla replica che sottolinea come l’estensione generalizzante sia indebita e nasca da un pregiudizio, l’interlocutore continua: «Sì, ma cosa fanno “loro” perché noi ci formiamo il pregiudizio?».
Importante e degno di specifica attenzione è l’attestarsi di associazioni rom che intervengono, dibattono, scrivono e animano siti web frequentemente aggiornati. Particolarmente interessante è la presenza di voci di donne, più che mai preparate: ricordiamo, fra le altre, Djana Pavlovic ed Eva Rizzin, che hanno partecipato in forme diverse alle attività UNPReS. Chi da molti anni è presente in questa pastorale ha desiderato e auspicato questa presa di parola, magari augurandosi che potesse esplicarsi maggiormente anche a livello ecclesiale. Anche in questo fenomeno le componenti e le modalità di esercizio sono molteplici: in prospettiva si presenta imprescindibile il compito di confrontarsi e di dialogare, con rispetto per gli interlocutori: che significa anche poter discutere affabilmente e criticamente.
In transizione di forme
In certi momenti per certi contesti la transizione di cui tutti siamo partecipi e testimoni, assume forme specifiche e chiede soste, bilanci, prospettive. Questo è anche il caso dell’UNPReS: come già si diceva nel numero 3/2010 di Servizio Migranti (Ridolfi, “Editoriale”, pag. 186), si sono incrociate diverse questioni, parte istituzionali, parte personali, che possono preludere a cambiamenti anche consistenti nella forma organizzativa. Una occasione da non lasciar passare senza riflessione e soprattutto senza compiere l’azione doverosa di raccogliere i significati condivisi negli anni passati.
Questo è quanto si è svolto attraverso scambi informali poi confluiti in un incontro di settembre, quello stesso in cui le équipes che da molti anni hanno accompagnato la vita dell’UNPReS, ad esempio organizzandone i Convegni nazionali, hanno incontrato mons. Perego, referente anche per questo settore. Per questo contesto la denominazione geografica “del Nord”, pur avendo una pertinenza rispetto al luogo, non rende ragione né della storia né della realtà: gli incontri discendono, senza soluzione di continuità, dai ritiri organizzati negli anni ’70 da don Mario Riboldi, che riunivano le équipes allora dette “a tempo pieno”, cioè di condivisione di vita all’interno della realtà rom. Questa divisione un po’ troppo rigida tra “roulottes” e “case” si è allargata a comprendere altre forme di accompagnamento, senza perderne tuttavia la sfida di condivisione e di inculturazione.
Due fili di memoria si sono intrecciati: uno più profondo, fatto di parole, di immagini, di ricordi, di passi biblici che rappresentano il riferimento evangelico e spirituale di questa forma ecclesiale; l’altro, più freddo ma disponibile per chiunque abbia almeno la volontà di conoscerla, rappresentato dalla ricognizione degli scritti prodotti in questi anni, eco della progettualità offerta e delle realizzazioni compiute2.
Le linee di fondo si possono così riassumere:
- una forma di vita ecclesiale che, preparata da alcune intuizioni negli anni ’40 e ’50, come quelle delle Piccole sorelle di Gesù e di don Mario Riboldi, si radica nel Concilio e dagli anni ’70 coinvolge persone di diversa ispirazione, formazione, stato ecclesiale. Il riferimento al Vaticano II non si limita alle indicazioni di Ad Gentes, ma coinvolge l’assunzione di un intero paradigma di conversione: della chiesa a Cristo, Luce delle genti, in prospettiva del Regno di Dio, in atteggiamento affabile verso il mondo, le cui gioie e speranze (GS) non le sono estranee. Questo comporta una modalità di pensare le relazioni nella Chiesa - ad esempio nella unica comunità di battezzati all’interno della quale stanno anche i ministri ordinati - che la situazione di “frontiera” e dispersione hanno reso più facili. Comporta altresì la strutturazione di temi, sia spirituali che pastorali e catechetici, prevalentemente in chiave biblica3.
- Di questo paradigma conciliare si devono sottolineare ulteriormente alcune linee forza, prima fra tutte l’idea di “condivisione”. Si è realizzata in primo luogo attraverso lo spostamento anche fisico di singoli e comunità che sono andati a vivere, prevalentemente in roulottes e in forme variamente nomadi o stanziali, accanto a famiglie di Rom e Sinti, facendosi da esse ospitare. Questo “rovesciamento” (tuttora in atto) non corrisponde a un impianto strategico, ma a un’idea evangelica, una visione ecclesiologica e una prospettiva antropologica: la condivisione di un “Vangelo con i piedi” si radica nell’Incarnazione (intesa in senso ampio, dunque riletta a partire dall’evento pasquale); l’appartenenza ecclesiale che non richiede di aderire anche a una specifica cultura ma auspica che un rom non smetta di essere tale per aderire al Vangelo4; la convinzione che un agire comunicativo, specialmente in situazioni di conflitto, abbia alcune condizioni di possibilità, senza le quali nessun messaggio passa. La condivisione di vita di tutto questa diventa dunque catalizzatore, resistenza, “cifra” e non, in modo fondamentalistico, unica via.
La dimensione ecclesiale di questa forma pastorale si è manifestata e tuttora si manifesta, oltre che nei diversi legami dei singoli e delle comunità a diocesi e congregazioni religiose, anche attraverso due caratteristiche, vissute con intensità all’interno ma non sempre evidenti all’esterno.
a) La prima di esse è qualcosa che si potrebbe esprimere come un “principio antieroico”: si è cercato di evitare protagonismi, pubblicazioni di autopresentazione, interviste - fuggite come la peste, anche se a volte inevitabili - alla ricerca di un “gioco di squadra”, di posizioni lentamente condivise, di ricerche scambiate, di parole sensate perché comunitarie, di cui l’authorship sarebbe arrogante. Facendo già qui un breve rimando alle pubblicazioni, si potrà notare come le più rappresentative sono, nell’impostazione oltre che nell’elaborazione, collettive: così il Quaderno n. 22 di “Servizio Migranti” (Memoria e attesa, 1998) in cui il “curatore”, che non compare, ha catalizzato la sinfonia delle voci presentate; così anche il volume che raccoglie scritti di Giuseppina Scaramuzzetti (Una storia, tante vite, 2008), realizzato con molti contributi, parte anch’essi di un dialogo non sopito. Spesso questa modalità è apparsa come ritrosia, come inadeguatezza o non volontà di comunicare, ma andrebbe piuttosto letta come invito a una lentezza che non è incapacità o pigrizia, ma altravisione.
b) All’incrocio di questa modalità comunicativa sta anche la collaborazione, ai diversi livelli richiesti e possibili, con le strutture nazionali preposte a questa pastorale: collaborazione mai negata, né nei ruoli più strutturali (incarico/direzione, partecipazione alla CEMI), né in quelli più informali, come l’organizzazione dei Convegni Nazionali di settore. Ovviamente in questo si sono incrociati linguaggi diversi e non sempre le “traduzioni” sono agevoli.
- Imprescindibile è stata ed è la lettura della situazione sociale e politica in cui si realizza l’interazione le minoranze rom e la società maggioritaria. Il motivo non ha bisogno di molte spiegazioni, il segno di questa attenzione è data anche dalla presenza costante nei Convegni e nelle iniziative di esperti, ad esempio di studiosi di antropologia culturale.
Interventi particolari: prassi e speranza
Particolare soddisfazione ha dato la conclusione e pubblicazione del secondo blocco della ricerca «Adozione di minori Rom/Sinti e sottrazione dei minori Gagé», ad opera di Tosi Cambini e Saletti Salza5.
Il Direttore generale Migrantes è, inoltre, intervenuto più volte e a vari livelli per affrontare il tema delle discriminazioni nei confronti del popolo Rom e dei Sinti: al Convegno dell’Opera Nomadi a Roma, presso il MIUR, sul tema della scolarizzazione dei minori Rom (13-15 maggio 2010); al Convegno internazionale a Milano, promosso dall’Università Bicocca, sul tema della condizione giuridica dei Rom e dei Sinti in Italia (16-18 giugno 2010); in occasione delle espulsioni dei Rom in Francia durante l’estate, dove è emersa profonda sintonia tra l’azione francese e l’azione italiana in relazione all’interpretazione del diritto di mobilità in Europa dei comunitari.
Emergono così bisogni, fragilità e discriminazioni ma si avviano anche riflessioni e si sperimentano pratiche di pace, segno di speranza. In questa chiave è anche previsto il lavoro del CCIT6 per l’anno 2011: «Europa in questione: fragilità e speranza».
 
 
 
1 Rom - che è sostantivo - viene qui utilizzato impropriamente al posto delle corrispondenti forme aggettivali, per semplificare la lettura in lingua italiana. Per lo stesso motivo viene accolto come potenzialmente atto a indicare anche altri etnonimi, come quello di Sinti, importante in Italia e presente nelle “S” della sigla UNPReS. Quando è utilizzato così, viene qui scritto in corsivo minuscolo.
2 Il sito si sta organizzando per offrire più puntuale presentazione di questa particolare bibliografia.
3 Cfr La catechesi e la strada: cose nuove e antiche, SM 4/2010, 305-312.
4 Si veda in proposito il Regolamento UNPReS del 1991, in special modo nella sezione delle indicazioni pastorali.
5 Presentazione dell’intero progetto in SM 4/2010, 357-362.
6 Comité Catholique International pour les Tziganes.