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Genitori e figli nella migrazione (E.Scabini/C.Giuliani)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/10


La migrazione come transizione familiare
La migrazione rappresenta una transizione ricca e complessa a livello personale, familiare e sociale; essa ha sempre origine in una storia che coinvolge più generazioni familiari e che si esprime in un mandato di cui è investito - esplicitamente, a volte implicitamente - colui o colei che emigra. Ritroviamo questo mandato, questa matrice di significati etici e affettivi, nelle generazioni successive, anche in coloro che solo indirettamente hanno vissuto la migrazione, come ad esempio i figli nati nel Paese di accoglienza.
La crescente presenza nelle nazioni occidentali di famiglie immigrate in cui sono presenti figli ricongiunti o nati nei paesi di arrivo, ha contribuito a porre al centro della riflessione psico-sociale alcune questioni educative legate al benessere e al futuro delle cosiddette “seconde o terze generazioni di immigrati”. Questa tematica inizia ad essere presente anche nel dibattito culturale e scientifico italiano, per quanto gli studi e le ricerche che si occupano di famiglie immigrate e di benessere delle giovani generazioni, siano ancora di numero contenuto. Se si esclude, infatti, la rilevante attenzione rivolta in questi ultimi decenni agli interventi di educazione interculturale realizzati nelle scuole e volti a favorire l’accoglienza/l’integrazione dei minori stranieri e delle loro famiglie nel contesto scolastico, molto frammentario risulta nel nostro Paese l’interesse rivolto al sostegno delle famiglie immigrate nello svolgimento dei compiti educativi a partire dalla considerazione di alcune criticità specifiche di questa transizione.
Nonostante la maggiore visibilità delle famiglie immigrate (come testimoniato dal numero di nuove nascite e di ricongiungimenti familiari) e un accresciuto interesse scientifico nei loro confronti, lo sguardo con cui non pochi studiosi tendono ancora oggi a leggere le sfide della migrazione rimane fortemente ancorato a una prospettiva teorica di stampo funzionalista e individualista, in cui è dominante il tema dell’adattamento individuale, fondamentalmente declinato come capacità di nuovi apprendimenti culturali (linguistici, comportamentali, valoriali). Protagonista ‘solitario’ di questa sfida adattiva non è più oggi l’immigrato lavoratore di prima generazione quanto l’adolescente di seconda generazione, nuovo e principale ‘oggetto’ delle ricerche realizzate negli ultimi decenni. L’attenzione e la preoccupazione esclusiva rivolta alle generazioni più giovani rischia di non farci cogliere il ruolo fondamentale che la coppia genitoriale svolge nella migrazione con le molteplici fragilità che la caratterizzano ma anche con le risorse che essa può mettere in campo nell’azione educativa e di cura dei figli.
La coppia genitoriale e i compiti di cura
La necessità di una prospettiva familiare seppur invocata da più parti, fatica ad imporsi in un dibattito perlopiù dominato dagli studi nord-americani centrati sul tema dell’acculturazione quale sfida dominante della migrazione.
Dal nostro punto di vista, cruciale nella migrazione risulta il ruolo svolto dalla famiglia nella cura rivolta ai suoi membri, in particolare i figli. La separazione dal paese di origine e l’incontro con una nuova realtà ridisegna, infatti, inevitabilmente l’equilibrio dei rapporti familiari sia sul versante intra- che intergenerazionale, secondo percorsi che possono accentuare le spinte centripete e centrifughe della famiglia. Molteplici sono i livelli coinvolti: il legame con le famiglie d’origine e la comunità di origine, il legame tra i coniugi, i legami intergenerazionali (genitori-figli; nonni-nipoti), quelli all’interno della fratria, i legami sociali e comunitari nel paese di elezione.
Nello specifico della relazione educativa genitori-figli, molteplici sono i fattori sia di tipo personale sia di tipo socio-culturale che possono amplificare ed esasperare le sfide e le difficoltà che i genitori immigrati affrontano nel percorso di crescita dei figli all’interno di un contesto sociale e culturale percepito a volte come troppo distante da quello originario e caratterizzato dall’assenza/lontananza di figure significative (le famiglie di origine, la rete parentale allargata, la comunità d’origine). Tali compiti si declinano in una serie di azioni che i genitori e le altre figure parentali adulte (zii, nonni, cognati..) non sempre sono in grado di svolgere in un nuovo e non facile contesto di vita. La nascita o l’arrivo dei figli modificano, inoltre, inevitabilmente il progetto migratorio originario dei genitori che si carica di aspettative e di progetti che riguardano da un lato la realizzazione delle nuove generazioni, dall’altro la continuità del legame e della storia familiare.
I compiti fondamentali dei genitori possono essere così sintetizzati: rendere accessibile al figlio il progetto migratorio familiare, garantire contemporaneamente la separazione e la continuità con le origini, selezionare le priorità in termini di norme culturali e valori di riferimenti, accettare la parte “straniera” del figlio e sostenere la sua integrazione.
Molteplici le risorse familiari ma anche gli elementi di fragilità che gli studi hanno contribuito ad evidenziare in relazione a questa sfida.
Le risorse della transizione: il valore del legame familiare
Il contributo offerto dalle prospettive culturali presenti in ambito psicologico ha permesso di mettere in luce modi diversi di qualificare le relazioni familiari, in genere connessi alle culture e ai contesti di appartenenza di ciascuna famiglia. Questi elementi culturali che diventano dimensioni del confronto tra differenti esperienze familiari (la famiglia italiana, la famiglia pakistana, la famiglia ispanica) possono rappresentare nella migrazione fattori di criticità, cioè da un lato generare conflitto e disorientamento, dall’altro rappresentare una risorsa nella prospettiva del il dialogo interculturale. Tale incontro/dialogo inevitabilmente favorisce una riflessione sulla realtà della famiglia delle nazioni occidentali.
Come sottolineato da numerose ricerche nord-americane, un aspetto che descrive la specificità culturale delle famiglie etniche immigrate è rappresentato dal valore attribuito ai vincoli e agli obblighi familiari, alla lealtà e alla solidarietà intergenerazionale. Questo insieme di elementi valoriali e comportamentali che spesso la letteratura indica con il termine di family obligation, è articolabile in alcuni contenuti più specifici, quali soprattutto: lealtà e rispetto per la famiglia, obblighi nei confronti dei suoi membri, riconoscimento e rispetto delle differenze gerarchiche, obbedienza all’autorità, fiducia nel supporto reciproco. La differenzazione di ruolo, di responsabilità e di status nelle famiglie immigrate appare basata su una triplice differenza, quelle di genere (maschile-femminile), di genitura (chi ha generato-chi è stato generato; ordini differenti di genitura all’interno della fratria), di stirpe (materna e paterna). Questa modalità di qualificare le relazioni familiari, che enfatizza il polo etico della relazione, rende complesso e dialettico il confronto con il modello di famiglia incontrato nel nuovo paese: una famiglia nucleare, fortemente sbilanciata sulle dimensioni affettive del legame (benessere, vicinanza, supporto, intimità..) e ripiegata sulla relazione diadica genitore-bambino.
Pensando alla relazione genitore-figlio nelle famiglie immigrate, o più in generale alla relazione educativa tra adulto e bambino (ad esempio nella scuola), le mappe culturali nella famiglia immigrata sembrano quindi enfatizzare - seppur in modo diverso a seconda delle varie realtà etnico-nazionali di provenienza - alcuni contenuti del polo etico (rispetto, obbedienza, dedizione alla famiglia, differenziazione di compiti e responsabilità in base al genere, all’ordine di genitura, alla stirpe di appartenenza), laddove la cultura occidentale ci restituisce un’enfatizzazione delle dimensioni affettive (cura, protezione, intimità, soddisfazione) e un graduale allentamento di ogni differenziazione in base a ruoli e responsabilità.
La dimensione etica del legame familiare emerge anche nel diverso significato attribuito agli eventi familiari: ad esempio la nascita dei figli oppure il matrimonio nella sua forma ‘organizzata’ sono esempi di eventi il cui significato comunitario e sociale supera la dimensione di gratificazione affettiva personale.
Occorre anche sottolineare come questi codici culturali non rappresentino elementi statici e immodificabili; essi invece sono soggetti a dinamismo e negoziazione nell’incontro con l’altro che la migrazione mette in scena. La negoziazione può portare in alcune famiglie ad irrigidimento e chiusura difensiva sulle proprie posizioni/idee, in altri casi a forme graduali di cambiamento costruite sul dialogo interculturale e sull’apertura all’altro in percorsi caratterizzati da reciproca conoscenza e valorizzazione delle differenze.
Le fragilità della famiglia immigrata
In ottica di favorire un lavoro preventivo e di sostegno rivolto alla famiglia, è importante evidenziare alcune situazioni di particolare fragilità che la coppia genitoriale può incontrare nella migrazione. La famiglia immigrata trova davanti a sé sfide normative, tipiche cioè di ogni famiglia lungo il ciclo di vita, ma che la migrazione e le difficoltà, legate all’inserimento in un nuovo contesto socio-culturale, rischiano di amplificare ed esasperare.
Un primo aspetto, ben documentato dagli studi, riguarda la solitudine e il disorientamento sperimentato - a volte fin dalla gravidanza - da madri e padri immigrati: la lontananza dal proprio paese e l’impatto con differenti abitudini legate alla cura dei figli può generare fatica, ansia, percezione di incapacità a portare avanti efficacemente il proprio compito di genitore, disorientamento nel mettere in dialogo sistemi diversi di saperi e di significati intorno al tema della cura delle nuove generazioni. La nascita dei figli nel paese di immigrazione può rappresentare, quindi, un momento del ciclo di vita della famiglia particolarmente critico per i genitori, e in particolare per tante donne che senza supporti parentali e a volte con ridotte risorse (linguistiche, conoscitive, materiali, sociali) si trovano non solo ad affrontare l’organizzazione della cura dei figli, ma anche ad elaborare la diversità culturale e la paura che essa genera. Il periodo della nascita e della prima infanzia dei figli, quello cioè spesso non ancora segnato dall’incontro della famiglia con il sistema scolastico-educativo italiano, merita una particolare attenzione per evitare situazioni di chiusura difensiva, di solitudine e di malessere, il cui esito è a volte rappresentato da nuove separazioni che si producono all’interno del nucleo familiare con la decisione di un ritorno temporaneo di madre-figli nel Paese di origine.
Un secondo elemento rispetto al quale esiste oggi una accresciuta sensibilità in numerosi servizi e operatori che lavorano con le famiglie immigrate, è rappresentato dalle situazioni, spesso problematiche, di ricongiungimento familiare dei figli in età adolescenziale.
L’immigrazione dei figli adolescenti contiene tre passaggi cruciali che si vengono a sommare nell’esperienza dell’adolescente e della sua famiglia: la migrazione fisica dal paese di origine a quello di accoglienza; la migrazione dalla famiglia allargata in cui l’adolescente è cresciuto per raggiungere il genitore o i genitori già immigrati; la migrazione dal mondo dell’infanzia al mondo adulto. Difficile appare per genitori e figli il compito congiunto del riconoscimento reciproco di una comune appartenenza: riconoscimento difficile per questi figli lasciati indietro (left behind) e accuditi da figure sostitutive (nonni, zii), difficile per i genitori che ritrovano dopo molti anni figli ormai cresciuti, cambiati e in parte ‘estranei’. Molteplici sono i fattori che possono influenzare l’esito di questi ricongiungimenti; non solo l’età del figlio, ma anche le condizioni socio-economiche del nucleo familiare, la composizione e la situazione del nucleo familiare nel paese di immigrazione, l’eventuale e inaspettata presenza di fratelli/sorelle, la capacità dei genitori e dei familiari adulti di preparare e curare il ricongiungimento dei figli.
Un terzo aspetto di rischio su cui la letteratura clinica si è soffermata riguarda un ambito organizzativo della vita familiare, determina una modificazione delle definizioni di ruolo e di status dei diversi membri della famiglia e, conseguentemente un cambiamento nella qualità delle loro relazioni. Particolare attenzione, ad esempio, è rivolta al ruolo di mediatore linguistico e culturale (language and culture broker) che spesso i figli immigrati si trovano a ricoprire all’interno della famiglia per facilitare e mediare il rapporto dei loro genitori con i servizi e le istituzioni esterne (scuola, sanità, servizi sociali, servizi legali), nonché agli effetti connessi a questa organizzazione familiare. Particolare attenzione merita a questo proposito il rischio di parentificazione del figlio sia sul versante strumentale che affettivo, processo per cui è un figlio piccolo o adolescente a farsi carico di ruoli e responsabilità tipici dell’età adulta. Questa inversione di ruoli che a volte in modo inconsapevole diventa una prassi nelle relazioni famiglia-contesto sociale, costituisce un pattern familiare disfunzionale che sovraccarica il figlio di responsabilità e esautora il ruolo della coppia genitoriale.
Conclusione
Per concludere, gli elementi evidenziati mettono in risalto l’importanza dell’adozione di una prospettiva familiare e sociale ‘forte’, che non riduca la migrazione a una impresa individuale. La proposta di uno sguardo intergenerazionale appare essere la più adeguata anche per comprendere quale progetto di cittadinanza è possibile affidare alle generazioni future.
Guardare la migrazione in un’ottica familiare ed intergenerazionale significa accogliere l’idea che essa mette in scena più stirpi, più generazioni, più generi e il loro intrecciarsi; significa ipotizzare che costi e guadagni sono visibili solamente nel tempo lungo delle generazioni e della storia familiare; comporta guardare alla trama di legami che come fibre invisibili ma solide, tengono uniti o separano i percorsi di quanti costituiscono la famiglia.
L’odierna forzatura sul protagonismo delle seconde generazioni immigrate rischia pertanto di mettere in ombra e sottovalutare il ruolo della coppia coniugale-genitoriale, che in tutte le sfide complesse della vita è cruciale «microsistema» di mediazione tra i generi, tra le generazioni, tra le stirpi. La gestione della differenza (di genere, di generazione, di stirpe) che è già di per sé sfida centrale per ogni famiglia, sembra pertanto imporsi con maggiore forza nella migrazione: come in un caleidoscopio tale sfida si dilata e si unisce al tema del rapporto tra paese d’origine (il là-allora) e paese di accoglienza (il qui-ora), tra chi è partito e chi è rimasto, tra mondi e culture differenti. La differenza chiama ad essere gestita dalla famiglia non solo verso l’esterno (nei confronti del paese ospite ricercando possibili strategie di integrazione), ma anche al suo interno medesimo (nel continuo confronto tra ruoli, funzioni, bisogni, rappresentazioni) e coinvolgendo vari livelli: quello dei rapporti con le famiglie di origine, quello del rapporto coniugale e quello dei rapporti con le nuove generazioni.
 
  
approfondimenti bibliografici
Falicov C.J. (2003). Immigrant family processes, in F. Walsh (Ed.), Normal family Processes, Guilford Press, New York, pp. 280-300
Gozzoli C. - Regalia C. (2005), Famiglie e migrazioni, Il Mulino, Bologna
Scabini E. - Donati P.P. (Eds.) (1993). La famiglia in una società multietnica, Studi Interdisciplinari sulla Famiglia, 12, Vita e Pensiero, Milano
Scabini E. - Giuliani C. (2002), La sfida delle dimensioni etnico-culturali nello studio della famiglia, “Ricerche di psicologia”, 27,173-189
Scabini E. - Regalia C. - Giuliani C. (2007), La famiglia nell’incontro con le culture, in: B. Mazzara (Ed.), Prospettive di psicologia culturale, Carocci Editore, Roma.