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La famiglia, anima delle migrazioni (S.Ridolfi)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/10


Coniugare il binomio famiglia e migrazioni significa entrare nel cuore della mobilità umana. è evidente, infatti, che la spinta propulsiva e il coraggio spesso disperato di emigrare vengono prevalentemente dalla famiglia: la famiglia da sostenere, la famiglia da formare.
E questa centralità della famiglia come istituzione nativa, connaturale alla condizione umana e come preoccupazione maggiore del migrante, è facilmente riscontrabile negli interventi della Chiesa sia dottrinali, sia promozionali.
è emblematico il fatto che il primo e fondamentale documento con il quale la Chiesa Cattolica dona una configurazione ecclesial-giuridica alle migrazioni, la Costituzione Apostolica di Pio XII Exsul Familia (1952), giustamente definita magna charta della mobilità umana, abbia il suo avvio all’insegna della famiglia.
Ma è ricchissimo e concorde l’insegnamento della Chiesa sulla centralità naturale ed ecclesiale della famiglia fondata sul matrimonio. Basti ricordare il Concilio Vaticano II (1963-1965): la famiglia; fondamento della società, AA n. 11; scuola di formazione, GEM n. 30, di apostolato, AA n. 30, di santità, GS n. 48; “Chiesa domestica”, LG n. 11… E poi la Pastoralis Migratorum Cura di Paolo VI (1969) con l’annessa Istruzione della S. Congregazione Concistoriale, n. 7. Né si può ignorare l’Esortazione apostolica Familiaris Consortio (1981), specialmente nn. 46,77 di Giovanni Paolo II (cfr. anche il suo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Migrazioni del 1986, “La famiglia migrante”).
Anche l’ultimo documento globale della Chiesa sulle migrazioni, l’Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi (2004) del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, unisce sempre il migrante “alla sua famiglia”.
Ce n’è d’avanzo per confermare preminenza e centralità di questa “insostituibile cellula del popolo” (Pio XII, discorso radiofonico del 1943).
A questo alto magistero fanno eco le varie Chiese locali1, i missionari di emigrazione e le associazioni degli emigrati. Anzi in questo ambito delle migrazioni davvero si può affermare che l’economia (il bisogno, il guadagno) non è primaria, bensì funzionale alla prioritaria attenzione per un bene morale e sociale (la famiglia).
L’ampia trattazione sulla famiglia come prima comunità educante che viene sviluppata in questo numero della nostra rivista, conferma tale attenzione aggiornandone motivazioni e valutazioni.
Ma sia anche permesso riassumere qui alcune osservazioni.
Prima. Le migrazioni, quand’anche fossero di soli uomini o di sole donne, hanno comunque una radice e ragione familiare ed a questa prima o poi riconducono. Lo aveva compreso, bisogna riconoscerlo, molto chiaramente una professionista della educazione, la prof. on. Maria Federici, che proprio su questa constatazione e necessità ha fondato nel 1946 un’associazione laica per gli emigrati, l’ANFE (Associazione Nazionale per le Famiglie degli Emigrati): la famiglia che nasce con il matrimonio, che cresce nell’unità (donde i ricongiungimenti), spesso purtroppo ferita ( le “vedove bianche”, gli “orfani della frontiera”, ragazze “au pair” in Inghilterra…), che ha bisogno di una fede.
Ed è per questo che l’ANFE fece parte negli anni ’40 del Consiglio UCEI (Ufficio Centrale per l’Emigrazione Italiana) ed ha poi continuato lungamente a collaborare con gli Uffici della Chiesa italiana. Ma, va riconosciuto, quasi tutte le altre Associazioni degli emigrati, se pur non con istituzionale sottolineatura, riconoscono l’importanza della famiglia e la assistono.
Seconda. I tempi che passano e le società che si evolvono pongono le famiglie di fronte a nuove esigenze e responsabilità, non di rado le espongono a nuovi rischi e difficoltà ed in ogni caso richiedono rinnovati ruoli. Molti articoli di questo numero approfondiscono i detti aspetti che comunque non intaccano, o almeno non dovrebbero intaccare, le ragioni native della famiglia anche se bisogna constatare che spesso ne costituiscono un ostacolo piuttosto che un aiuto. è ciò che appare dalle difficoltà inutili per un lavoro utile (come i braccianti agricoli), dalle condizioni più impedienti che favorevoli a proposito di ricongiungimenti familiari, da certi atteggiamenti di difesa dovuti a timori che non favoriscono l´integrazione od inclusione sociale.
Il vizio di fondo è sempre quello, lo si dica o meno, di considerare ossia le migrazioni umane come un fenomeno esclusivamente o almeno prevalentemente economico e non come un fenomeno umano e culturale e in ogni caso alla lunga certamente benefico.
Terza. La famiglia è il “luogo socio-culturale” primario per la crescita di nuove generazioni e conseguentemente per il rinnovo e la crescita della società civile ed ecclesiale. è pertanto un errore puntare sui giovani, ignorandone o trascurandone le famiglie che vanno invece sostenute nella loro necessaria unità e non sempre facile coesione perché possano svolgere a pieno la nativa missione educativa in dialogo costante con il contesto civile ed ecclesiale in cui vivono.
La preoccupazione di salvare il patrimonio culturale del passato è giusta, ma essa non deve essere miope e tanto meno rivolta a perpetuare un passato, bensì preveggente e creativa nelle nuove condizioni, ossia la modernità e il futuro. Il quale sarà allora la risultante dell’incontro e dialogo tra le due diverse esperienze e culture, quella nativa e quella locale, e ciò sia nella società sia nella Chiesa.
Si prospetta così all’orizzonte culturale il traguardo della unità famiglia della umanità, composta da tanti, da tutti i diversi popoli e le diverse etnie. A questo la Chiesa concorre efficacemente con il principio e la prassi della comunione, che la governa; comunione che è unione vitale che si esprime e cresce nelle diversità, e questo è cattolicità.