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L’Oriente cristiano in casa nostra (B.Mioli)
Prevale l'immigrazione dall'est europeo

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/09


 
Il crescente esodo interpella la Chiesa
“Nei primi anni di questo secolo ci furono delle migrazioni massicce verso i continenti americani di popoli provenienti dall’Europa Orientale e dal Vicino Oriente; queste furono consolidate da nuove migrazioni dopo la seconda guerra mondiale. Negli ultimi tempi, i tristi avvenimenti del Vicino Oriente hanno sradicato, tra gli altri, centinaia di migliaia di cristiani, obbligandoli ad allontanarsi dalle terre dei loro antenati. Di conseguenza, milioni di cristiani appartenenti ad ogni tradizione orientale si trovano nell’Europa occidentale, nel Canada, negli Stati Uniti, in molti Paesi dell’America Latina e in Australia… Non sono più cugini lontani, bensì fratelli e sorelle che vivono ormai accanto ai cattolici della tradizione occidentale nelle diverse regioni del mondo”.
Così si legge in una Lettera circolare del 1987 della S. Congregazione dell’Educazione cattolica riguardante gli studi sulle Chiese orientali. A più di vent’anni di distanza quest’esodo si è eccezionalmente amplificato per quanto riguarda l’Europa e in particolare l’Italia. Secondo gli ultimi dati del Dossier Statistico Immigrazione 2009, che coincidono sostanzialmente con quelli dell’Istat, a capolista delle varie popolazioni presenti in Italia si sono collocati 800.000 romeni, seguono gli albanesi che sono sulla soglia del mezzo milione, quindi 150.000 ucraini, quasi 100.000 moldavi e altrettanti macedoni. Solo queste cinque etnie superano abbondantemente il milione e mezzo. In grande maggioranza sono ortodossi, i cattolici però non sono un trascurabile ritaglio di questi numeri, sono certamente minoranza, la quale però - date le regioni di provenienza di romeni e ucraini e degli stessi albanesi - non è trascurabile: basta considerare gli oltre 120 centri pastorali che sono stati aperti per gli ucraini, la settantina per gli albanesi e le diverse decine per i romeni sia di rito latino che orientale.
Prende quindi maggiore attualità quanto conclude la predetta Lettera pontificia: “Questa realtà comporta nuovi problemi di tipo pastorale, che riguardano l’educazione e la formazione cristiana, la vita religiosa della famiglia, i matrimoni misti fra cattolici di diversi riti e tra cattolici e ortodossi, la pastorale dei gruppi isolati, ecc. Ci si potrebbe domandare fino a che punto si conosca la vita liturgica e spirituale, le antiche tradizioni cristiane di questi nuovi vicini”. Lo stesso Concilio Vaticano nel Decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, esorta: “Tutti sappiano che il conoscere, venerare e conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli orientali è di somma importanza per custodire fedelmente la pienezza della tradizione cristiana e per attuare la riconciliazione dei cristiani d’oriente e d’occidente”. Dunque in primo luogo la maggiore conoscenza, da cui consegue apprezzamento e valorizzazione anche tra noi occidentali e tra noi italiani, di questo ricchissimo patrimonio spirituale di questi cristiani che ora, anche per la loro vicinanza geografica, anzi per la loro presenza e convivenza tra noi, a maggior titolo chiamiamo fratelli e con i quali ci poniamo in un reciproco rapporto di dare e ricevere.
Risposta della Chiesa italiana
La Chiesa anche in Italia fa gesti molto significativi di fratellanza e di servizio verso questi fratelli, sia cattolici che ortodossi, tanto che qualcuno - ma sembra senza ragione - esprime il lamento che la Chiesa mostri più attenzione a questi “fratelli separati” che a quelli che sono in piena comunione col Papa. Per gli uni e per gli altri si è generosi nell’offrire luoghi di culto e quanto serve loro per incontrarsi e celebrare le loro liturgie, le “parrocchie” degli ortodossi romeni superano già il centinaio e quasi ovunque loro punto di riferimento è una chiesa o cappella messa a loro disposizione dalle nostre diocesi. I centri di ascolto e di accoglienza che a centinaia sono disseminati su tutto il territorio sono aperti ugualmente a tutti gli immigrati, non importa la loro appartenenza religiosa; importa soltanto la possibilità di venire loro incontro, facendo loro sperimentare il calore della carità cristiana.
Pronta e coraggiosa è stata la mobilitazione di organismi ecclesiali e di associazioni d’ispirazione cristiana nel prendere le difese dei romeni quando in Italia, a livello popolare, istituzionale e soprattutto di partito e di mass-media si è registrata un’ondata di contrarietà anche di colorito razzista nei confronti dei romeni, quasi addossando alla grande massa di questi immigrati atti incivili ed anche criminali da parte di una loro piccola frangia. L’Arcivescovo di Bucarest, Presidente della Conferenza Episcopale di Romania, il Metropolita Ioan Robu, lo scorso febbraio ha inviato una nobile lettera al Presidente della CEI, il Cardinale A. Bagnasco, nella quale, dopo aver espresso condanna per crimini commessi da alcuni suoi connazionali in Italia, ringrazia “per la buona e fraterna accoglienza che la Chiesa Cattolica d’Italia ha sempre manifestato alle comunità romene , mettendo a disposizione chiese e spazi per una adeguata pastorale”. E prosegue: “Sappiamo altrettanto quante volte la Chiesa d’Italia ha preso posizione a favore degli immigrati nello spirito di solidarietà e carità fraterna a tutti noto”. Il Presidente della CEI non ha tardato a rispondere ricordando che “tanti italiani in un passato anche recente sono stati migranti in terra straniera alla ricerca di un lavoro” e perciò “apprezziamo coloro che giungono in Italia per portare il contributo delle proprie energie ed essere parte nell’edificazione di una società più giusta”. E conclude: “Posso confermarle che non verrà meno il nostro impegno nella cura pastorale dei fedeli cattolici provenienti dalla Romania”.
...sia per gli immigrati cattolici...
Per questi cattolici c’è la particolare attenzione derivante e, se sono di diverso rito, vengono accolti a braccia aperte nelle nostre chiese di rito latino, però si fa loro presente che, se sul luogo è stata istituita una comunità di rito orientale, essi sono invitati a dare continuità alla loro tradizionale pratica religiosa frequentando quella comunità pastorale. Molti sono i sacerdoti di rito orientale inseriti nelle nostre diocesi non solo per una pastorale specifica per il loro gruppo etnico, ma pure per un servizio di pastorale ordinaria ai fedeli italiani; diversi di loro godono anche di bi-ritualismo. Tutti sono inseriti nel sistema di sostentamento del clero con pari trattamento dei sacerdoti italiani. Inoltre per il loro servizio specifico romeni, ucraini e albanesi hanno il sostegno di un coordinatore nazionale che si tiene in contatto con loro, periodicamente li raduna, provvede ad aiutarli o supplirli in caso di bisogno, li fornisce di utili sussidi, valorizza le varie forze pastorali presenti soprattutto a Roma per estendere la rete dei centri pastorali anche nelle diocesi dove non c’è un loro sacerdote a tempo pieno.
...che ortodossi
Per i cristiani ortodossi non ci sono minori attenzioni. Nella Lettera alle Comunità cristiane su Migrazioni e pastorale d’insieme del 2004 si legge: “Uno spazio concreto di esercizio del cammino ecumenico, che sollecita gesti concreti di fraterna accoglienza, ci è offerto dal numero rilevante tra gli immigrati di cristiani non cattolici. Tra loro si fa sempre più consistente, in termini assoluti e percentuali, la presenza degli ortodossi, provenienti soprattutto dai Paesi dell’Est europeo. La comunione di fede e di esperienze esistenziali è facilitata nei loro riguardi dalla condivisione di radici culturali comuni e dal riconoscimento della presenza tra di loro di essenziali elementi di santificazione e di verità”. Come si legge nel Direttorio ecumenico per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo, “se sacerdoti, ministri o comunità che non sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica non hanno un luogo né oggetti liturgici necessari per celebrare degnamente le loro cerimonie religiose, il Vescovo diocesano può loro permettere di usare una chiesa o un edificio cattolico e prestar loro gli oggetti necessari per il culto”. Di fatto nel 2008 erano 92 le “parrocchie” ortodosse romene in Italia, quasi tutte ospitate in ambienti cattolici.
Come è noto, in base alle indicazioni del Concilio, più volte è stata ricordata, anche direttamente dal Santo Padre, la liceità e gioiosa disponibilità da parte cattolica per una certa communicatio in sacris tra cattolici e ortodossi. Nell’Enciclica Ecclesia de Eucaristia viene ricordato quanto già confermato della Ut unum sint: “è motivo di gioia ricordare che i ministri cattolici possono, in determinati casi particolari, amministrare i sacramenti dell’Eucaristia, della Penitenza, dell’Unzione degli infermi ad altri cristiani (ortodossi)… che desiderano ardentemente riceverli, li domandano liberamente e manifestano la fede che la Chiesa Cattolica confessa in questi sacramenti”.
In alta percentuale questi immigrati lavorano nell’ambito della collaborazione familiare, dove per lunghe ore o per l’intero giorno condividono con le famiglie italiane lo stesso tetto e la stessa mensa: in questo rapporto di stretta familiarità e confidenza è facile trovare l’occasione per una conversazione anche di carattere religioso, per la lettura in comune di un passo della Bibbia, per una preghiera a Maria, magari l’Akatistos, il meraviglioso inno del quinto secolo alla Theotokos, alla Madre di Dio. Occorre la finezza del parroco per valorizzare questa presenza di colf e badanti per autentici gesti ecumenici come questo o, ancor più, per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Non meno apprezzabile è l’attenzione della S. Sede nell’aver invitato lo scorso anno come “delegato fraterno” Mons. Siluan Span al Sinodo dei Vescovi sulla Bibbia. Sono attenzioni che non mancheranno di avere una positiva ricaduta anche nelle Chiese ortodosse di provenienza di questi immigrati. Altrettanto apprezzamento va alla Chiesa italiana per il Vademecum che essa si presta a varare per orientare le nostre parrocchie a un rapporto corretto e uniforme con questi fratelli in fatto di azioni liturgiche e di amministrazione dei sacramenti.
Un appello ai singoli cristiani
Abbiamo finora parlato di posizioni ufficiali della S. Sede e della Chiesa italiana, ma un discorso va fatto anche ai singoli cristiani che vedono un segno e un richiamo molto eloquente e, per così dire, seducente, della loro condizione di Popolo di Dio in cammino, del cammino concreto di questa massa di immigrati su tutte le strade del mondo e della storia. Tutti, anche gli analfabeti, sono capaci di quell’apostolato del sorriso, del saluto, della cordialità fraterna che non rimane in superficie perché parte dal proprio cuore e penetra nel cuore del fratello, poco importa se cattolico od ortodosso. Per entrare in maggiore sintonia con lui forse si procura anche un’icona bizantina o entra in una sua chiesa per partecipare, una volta tanto, ad una divina liturgia, di impostazione notevolmente diversa dalla nostra ma pure ricca di tanto contenuto di fede e di tanti messaggi. Non comprenderà quella lingua, quello stile di canto, quei gesti ripetuti con martellante insistenza, ma certamente lo colpirà il senso dell’arcano, del Dio grande e misterioso a cui va l’amore e la confidenza ma pure il sacro rispetto, la prostrazione verso la sua maestà. Tutto questo lo troviamo anche nelle nostre liturgie, ma in quella orientale - parliamo in particolare di quella a noi più vicina, la bizantina - tutto è maggiormente accentuato, anche la partecipazione dell’assemblea con il segno di croce ripetuto con martellante frequenza, l’altrettanto frequente inchinarsi e il rispondere ad alta voce e coralmente alla proclamazione, ripetuta per oltre un centinaio di volte, dal presidente o da chi lo assiste: “Christòs anèste - Cristo è risorto!”. Già da questi tratti intuiamo che si entra in un’alta spiritualità non diversa dalla nostra, ma con suoi elementi caratteristici che possono essere arricchenti anche per noi. Come può essere arricchente la dimensione contemplativa della loro preghiera, vera preghiera del cuore. Non c’è dubbio che anch’essi hanno qualcosa da imparare da noi: scambio di doni o, con più esattezza, aiuto reciproco per attingere tutti dall’unico Spirito, “datore di ogni dono”.
Viene spontaneo rivolgerci al cielo con gratitudine, perché grazie alla presenza di tanti fratelli immigrati tra noi la Chiesa è sollecitata e facilitata, secondo il ripetuto auspicio di Giovanni Paolo II, a “respirare a due polmoni”.