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Immigrazione e opportunità ecumeniche (V.Paglia)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/09


Nel presentare i materiali per la Settimana di Preghiera per l’Unità di quest’anno, abbiamo scritto nell’introduzione firmata dal Metropolita Zervos della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, dal Professor Domenico Maselli e da chi scrive, a nome di tutti i cristiani italiani: “Vi è poi un altro fenomeno che ci riguarda da vicino e che chiede a noi tutti una rinnovata generosità. Ci riferiamo alla immigrazione cristiana nel nostro Paese. Si tratta di centinaia di migliaia di fratelli e sorelle sia ortodossi che evangelici, oltre che cattolici, che sono approdati in Italia per cercare una vita migliore. La loro venuta è come una preghiera rivolta anche a noi perché ricevano una risposta di amore. Anche l’ecumenismo italiano deve ascoltare questo grido: dobbiamo affinare le orecchie del nostro cuore, allargare la nostra mente e unire le nostre braccia per accogliere questi nostri fratelli e aiutarli a crescere anche nella fede”.
Dal Dossier Statistico Immigrazione 2009 ricaviamo che gli stranieri presenti regolarmente, cioè con permesso di soggiorno, in Italia sono oggi quasi quattro milioni. Un altro mezzo milione almeno sono gli stranieri irregolari (ma spesso non clandestini: sono i cosiddetti overstayer, che sono diventati irregolari). Non va poi trascurato il fatto che altri 50.000 bambini nascono da coppie miste, che pertanto non vengono computati come stranieri, come pure tanti fra quegli stranieri che hanno già acquisito la cittadinanza italiana, soprattutto in forza del matrimonio contratto con un cittadino italiano: dal 1992 al 2005 sono stati circa 150.000.
Come si distribuisce dal punto di vista religioso questa vasta realtà di stranieri presenti nel nostro paese? Circa la metà è cristiana, e tra essi la maggioranza è ortodossa (più di 1,2 milioni). Il diffuso timore di un’invasione musulmana dal sud del mondo si rivela infondato: l’immigrato è soprattutto europeo e cristiano (segnatamente ortodosso). E anche le paure di un’invasione dall’est sembrano infondate poiché l’ingresso di paesi est-europei nell’UE comporterà indubbi vantaggi economici per questi paesi e nuove opportunità lavorative. Per questo già si percepiscono i primi segni di flessione tra questi immigrati. Comunque, la paura della progressiva islamizzazione del Paese, la perdita della nostra identità, il turbamento dell’ordine pubblico sembrano più fantasmi che pericoli reali.
E tuttavia necessario un impegno costante per offrire dati obiettivi sulla presenza immigrata al fine di un’adeguata e tempestiva impostazione della nostra pastorale, colta di sorpresa da questo rapido intensificarsi del fenomeno migratorio e da questa presenza di cristiani di altre tradizioni. Credo però che possiamo alzare il tiro e porci in atteggiamento di fede imitando il Buon Pastore, che conosce ad una ad una le sue pecore e le chiama ciascuna per nome. Nonostante quanto ho fin qui ricordato, si tratta non di numeri, ma di volti umani, di fratelli che la Provvidenza ci mette davanti, quale “segno dei tempi”, ossia quale kairòs in vista del Regno dei Cieli. Non è ingenuità né utopia per noi credenti questa visione decisamente positiva delle migrazioni, pur essendo consapevoli - perché siamo tra quelli che più frequentano queste situazioni - delle scabrosità e del costo umano che esse necessariamente comportano. Dobbiamo aver fiducia che un rapporto costruttivo e sereno, cristianamente motivato, con gli immigrati avrà positivi effetti anche sull’ambiente civile e culturale in cui viviamo. Sarà una occasione preziosa per dare conferma che anche in questo campo la Chiesa si presenta come “mater et magistra”, “esperta in umanità”.
Vorrei fare qualche considerazione sugli immigrati ortodossi. Come ho detto, la presenza degli ortodossi fra gli immigrati dell’est europeo e dei Balcani si è fatta consistente ed è costantemente cresciuta in questo primo decennio del XXI secolo. La prima considerazione è che le migrazioni offrono una straordinaria e inedita opportunità per la causa dell’ecumenismo. Si legge nella “Lettera alle comunità cristiane su migrazioni e pastorale d’insieme”, dal titolo Tutte le genti verranno a te, pubblicata dal Consiglio Episcopale Permanente della CEI il 21 novembre 2004: “Uno spazio concreto di esercizio del cammino ecumenico, che sollecita gesti concreti di fraterna accoglienza, ci è offerto dal numero rilevante tra gli immigrati di cristiani non cattolici. […] La comunione di fede e di esperienze esistenziali è facilitata nei loro riguardi dalla condivisione di radici culturali comuni e dal riconoscimento della presenza tra loro di essenziali elementi di santificazione e di verità. Su questa base va fatto crescere il dialogo e la fraternità, aiutando queste comunità nell’esercizio della loro vita di fede, approfondendo la reciproca conoscenza, cercando momenti di comune lode del Signore Gesù” (n. 3). Qualche mese prima, il 1° maggio 2004, il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti emanava l’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, che dedica al tema un apposito titolo articolato in tre paragrafi (nn. 56-58). Cito solo le prime battute: “La presenza, sempre più numerosa, anche di immigrati cristiani non in piena comunione con la Chiesa cattolica, offre alle Chiese particolari nuove possibilità di vivere la fraternità ecumenica nella concretezza della vita quotidiana e di realizzare, lontano da facili irenismi e dal proselitismo, una maggiore comprensione reciproca fra Chiese e Comunità ecclesiali. Si tratta di possedere quello spirito di carità apostolica che da una parte rispetta le coscienze altrui e riconosce i beni che vi trova, ma che può attendere anche il momento per diventare strumento di un incontro più profondo fra Cristo e il fratello”.
Nei due testi citati si parla di “fraternità ecumenica” e di “esperienze esistenziali” espresse “nella concretezza della vita quotidiana”, con “gesti concreti di fraterna accoglienza”. Vale la pena esplicitare maggiormente questo stile di rapporto che ha tutto il calore e, si spera, l’efficacia di una autentica testimonianza evangelica. Mi limito a mettere il risalto - a titolo di esempio - tre aspetti di questa testimonianza. In primo luogo, la gratuità dell’aiuto fraterno: fra quanti si accostano agli oltre 3000 centri di ascolto della Caritas italiana, quasi la metà sono immigrati dell’Europa Centro Orientale, in particolare dalla Romania, dall’Ucraina e dalla Moldavia. Cito la Caritas, ma sappiamo bene che in questo campo operano tantissime altre realtà ecclesiali, parrocchie, istituti religiosi, le Suore di Madre Teresa, la San Vincenzo, la Comunità di Sant’Egidio, le Api-Colf e Acli-Colf, i Patronati di ispirazione cristiana, i Centri per la Vita e i Consultori familiari. Questi operatori non sono funzionari stipendiati. Nel loro lavoro sono rese concrete le parole del vangelo. Penso solo alla parabola del Buon Samaritano. E - a mio avviso - per entrambe le parti in causa un’autentica esperienza esistenziale di ecumenismo.
In secondo luogo, si manifesta il vero volto del cristiano cattolico e della sua Chiesa, perché in tali circostanze questo volto viene presentato, con semplicità e senza ostentazione, al fratello ortodosso. Insomma senza maschere si assume un volto di amici e di fratelli. Non c’è ombra di proselitismo in questo stile di rapporto. C’è poi ragione di attenderci che questo rapporto ecumenico, instaurato qui in Italia, abbia una positiva ricaduta anche lontano da noi. Gli immigrati, particolarmente dell’Est Europeo, sono in continuo contatto col Paese di origine. C’è modo di raccontare anche nel dettaglio che cosa succede in Italia. Tanti di loro non mancano di far presente la novità - veramente una novità - di incontrare gente accogliente, premurosa, fraterna particolarmente fra i cattolici impegnati, che nella loro professione cattolica non trovano motivo di freddezza e di distacco verso gli altri cristiani. E anche questo serve, forse più a lunga scadenza, per la causa dell’ecumenismo.
Il dialogo teologico vero e proprio, è iniziativa auspicabile, ma coinvolge soprattutto gli esperti, tanto più che i flussi dall’Europa dell’Est portano in Italia un’immigrazione povera, e per di più da Paesi dove il problema ecumenico è ancora piuttosto acerbo. Rimane però indiscussa l’importanza che nella pastorale ordinaria i nostri fedeli siano debitamente informati, l’approssimazione e l’irenismo possono portare a forme di relativismo nefasto per la fede nostra e quella dei nostri interlocutori. In questo senso è lodevole l’iniziativa che sta per vedere la luce di un Vademecum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici, curato dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e dall’Ufficio nazionale per i problemi giuridici della CEI.
La citata Istruzione pontificia richiama il Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo al n. 137: “Se sacerdoti, ministri o comunità che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica non hanno un luogo, né oggetti liturgici necessari per celebrare degnamente le loro cerimonie religiose, il Vescovo diocesano può loro permettere di usare una chiesa o un edificio cattolico e anche prestar loro gli oggetti necessari per il loro culto”. Di fatto sono già molte le chiese cattoliche concesse “in uso” a Chiese ortodosse. In Italia è presente anche il vescovo Siluan Span, che è stato invitato come ospite all’ultimo Sinodo dei Vescovi in Vaticano. Di questa apertura ecumenica della Chiesa italiana è molto apprezzata dal Patriarcato di Bucarest. Per le altre Chiese ortodosse, specie quella russa, è lo stesso: sono sorte parrocchie spesso ospitate in chiese cattoliche o chiese concesse in uso. Si fa strada la prassi di partecipare alle celebrazioni delle feste di Natale o di Pasqua ortodosse, che ricorrono in data diversa dal rito latino; un’attenzione ecumenica che dagli ortodossi talora viene ricambiata. Per le problematiche legate all’amministrazione dei sacramenti a fedeli orientali non cattolici rimando al testo degli Uffici della CEI citato. Ricordo solo l’Enciclica Ut unum sint dove si legge: “E motivo di gioia ricordare che i ministri cattolici possono, in determinati casi particolari, amministrare i sacramenti dell’Eucaristia, della Penitenza, dell’Unzione degli infermi ad altri cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma che desiderano ardentemente riceverli, li domandano liberamente, e manifestano la fede che la Chiesa cattolica confessa in questi sacramenti” (n. 46). Naturalmente il tutto con le opportune cautele e condizioni e in “determinati casi particolari”. Altri settori della pastorale comportano preziose possibilità per gesti di ecumenismo, come negli ospedali e nelle carceri dove cristiani cattolici e non cattolici - insieme a fedeli di altre religioni - sono mescolati e mostrano spesso le stesse identiche esigenze spirituali e morali. E buona opera di misericordia da parte del cappellano, della suora o di altri operatori pastorali in visita all’ospedale avere premurosa attenzione anche per i non cattolici.
La presenza e l’attività di proselitismo dei movimenti religiosi alternativi tra gli immigrati e ancor più tra gli zingari in Italia è molto intensa. L’attenzione di organismi e operatori pastorali deve tradursi in seria preoccupazione pastorale. Parte degli immigrati già aderiva a movimenti di questo tipo nel Paese di origine, molti però vi sono attratti qui in Italia. La Migrantes ha tenuto su questo fenomeno un primo seminario già nel 1998. E un problema strettamente legato al nostro impegno ecumenico, perché non tutti i movimenti e gli adepti sono in posizione fortemente polemica e ostile verso la Chiesa cattolica; in diversi casi è ancora possibile il dialogo nonché il ricupero di tanti nostri fedeli che, pur avendo sentito il fascino della nuova proposta religiosa, non hanno del tutto voltato le spalle alla nostra Chiesa. Una nostra troppo irenica e ingenua posizione verso tali realtà, come ad esempio la cessione di locali per il loro culto, potrebbe essere vista da protestanti e ortodossi come un affronto verso di loro e compromettere il nostro reciproco rapporto. 
Da diverso tempo conviviamo con la differenza religiosa a causa delle migrazioni e, quest’ultima è una realtà ormai incarnata nella società in cui viviamo. Fino al Concilio il concetto di molteplicità religiosa era assente dalla nostra educazione. La diversa situazione sociale attuale, la riflessione su di essa, ci impone di interrogarci oggi in modo differente, più positivamente critico. Anche in Italia, che è sede del papato, e che quindi rappresenta in modo più unitario la nostra fede, sussiste la molteplicità religiosa; dobbiamo essere disposti ad affrontarla con animo sereno e costruttivo.
L’Europa 50 anni rappresentava più del 20% della popolazione mondiale, ora è poco più del 10%, tra 50 anni sarà il 5%: diventiamo sempre più piccoli! Non tutti i paesi ricchi assistono a questo decremento. Gli Stati Uniti tra 50 anni avranno 100 milioni di abitanti in più, essendo un paese demograficamente equilibrato. Il paese maggiormente a rischio è l’Italia. Dal 1993 la popolazione italiana è in diminuzione, ma il dato è poco considerato per l’arrivo costante di immigrati. Dal 1990 la popolazione non è mai diminuita, e non per il saldo tra nascite e decessi, ma a causa del fenomeno migratorio. Il male peggiore di un calo simile, è il decremento di minori, giovani, l’incremento di anziani. Questo fatto sbilancia il nostro sistema produttivo. Pertanto è necessario ragionare in maniera sensata: se vogliamo consentire benessere alla nostra popolazione, non lo possiamo prevedere senza l’immigrazione. Il fenomeno migratorio naturalmente comporta dei problemi: accoglienza, casa; tuttavia anche le scuole in Italia senza immigrati sarebbero in crisi.
Quale atteggiamento avere nei confronti di coloro che hanno fedi religiose diverse dalla nostra? Senza smentire che siamo portatori della fede che ci è stata data in dono, non possiamo non considerare che Gesù ci ha dato anche il comandamento dell’amore verso il prossimo. L’amore a Dio può essere condiviso. Testimoniamo la nostra fede in Dio così come l’abbiamo appresa da Gesù e nello stesso modo l’amore per gli altri. In questo gli altri riconosceranno che siamo discepoli di Gesù Cristo e troveremo insieme un grande apprezzamento, perché chi vive veramente la carità, viene ammirato dai musulmani, così come dai buddisti o induisti.