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I minori migranti e rifugiati (G.Gnesotto)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/09


Saper distinguere, all’interno dell’ampio settore degli immigrati e dei rifugiati, generi, fasce di età, provenienze, lingue, condizioni di partenza, status, situazioni che definiscono la consistenza del progetto migratorio, è un esercizio faticoso, ma rispettoso e fruttuoso.
Se ci poniamo di fronte a quella categoria di immigrati e di profughi, che per non avere raggiunto il diciottesimo anno di età sfugge, di solito, alle considerazioni negative e alle barriere culturali, può sembrare facile parlare di “speranza per il futuro”. La stessa condizione giovanile porta con sé la promessa di un futuro, la sorgente vitale che dal chiuso dell’io si apre al mondo in maniera positiva. E ricorderemo in questo nostro percorso le considerazioni importanti che gli ultimi due Papi hanno dedicato a questa che alcuni definiscono “età dell’oro”. Eppure è da tenere presente, per non cedere a facili ottimismi, la lezione che il filosofo Henry Bergson dà ne’ Le due fonti della morale e della religione. Si legge in quest’opera del 1932:
“L’uomo è un dio per l’uomo e l’uomo è un lupo per l’uomo: quando si formula la prima massima si pensa a qualche compatriota. L’altra riguarda lo straniero”. E di seguito: “Ancora oggi noi amiamo naturalmente e direttamente i nostri parenti e i nostri concittadini, mentre l’amore dell’umanità è indiretto e acquisito. A quelli noi andiamo direttamente, a questa arriviamo solo attraverso un giro; perché solo attraverso Dio, in Dio, la religione invita l’uomo ad amare il genere umano”.
Da questa premessa partono le nostre riflessioni sul tema della GMM, Giornata Mondiale delle Migrazioni.
Le parole del Papa
In occasione dell’Anno Internazionale della Gioventù (Nazioni Unite, 1985), Giovanni Paolo II scriveva ai giovani la Lettera Apostolica “Delecti amici”, in cui la giovinezza appare una tappa-chiave della vita di ogni uomo, e “voi siete anche la giovinezza della Chiesa. In voi c’è la speranza, perché voi appartenete al futuro, come il futuro appartiene a voi”.
Sono parole che ben si possono applicare anche a quella fase della vita che precede la maggiore età. Il Papa ricordava a tal proposito il Vangelo di Luca (Lc 2,52) in cui si legge che “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.
Con grande fiducia descriveva lo stato proprio della giovinezza, intesa come “età dell’oro”, in cui “palpita il desiderio di un’autentica fratellanza fra tutti gli uomini, senza divisioni né contrapposizioni né discriminazioni. Sì! Il desiderio di una fratellanza e di una molteplice solidarietà, lo portate con voi - e non desiderate certo la reciproca lotta dell’uomo contro l’uomo sotto qualsiasi forma”.
Infine incoraggiava: “Siete forti per la lotta contro il male, contro il vero male: contro tutto ciò che offende Dio, contro ogni ingiustizia e ogni sfruttamento, contro ogni falsità e menzogna, contro tutto ciò che offende ed umilia, contro tutto ciò che profana la convivenza umana e le relazioni umane, contro ogni crimine nei riguardi della vita”.
Papa Benedetto XVI, in occasione della XXIV Giornata Mondiale della Gioventù (5 aprile 2009) si rivolgeva ai giovani dicendo che la giovinezza è tempo della speranza, “perché guarda al futuro con varie aspettative. Quando si é giovani si nutrono ideali, sogni e progetti; la giovinezza è il tempo in cui maturano scelte decisive per il resto della vita. E forse anche per questo é la stagione dell’esistenza in cui affiorano con forza le domande di fondo: perché sono sulla terra? Che senso ha vivere? Che sarà della mia vita?”.
Tuttavia, il Papa rilevava nell’attuale società una “crisi di speranza”, che “colpisce più facilmente le nuove generazioni che, in contesti socio-culturali privi di certezze, di valori e di solidi punti di riferimento, si trovano ad affrontare difficoltà che appaiono superiori alle loro forze”.
Al termine del messaggio si delineava il compito, o meglio, l’urgenza, dell’evangelizzazione: “Come annunciare la speranza a questi giovani? Noi sappiamo che solo in Dio l’essere umano trova la sua vera realizzazione. L’impegno primario che tutti ci coinvolge e pertanto quello di una nuova evangelizzazione, che aiuti le nuove generazioni a riscoprire il volto autentico di Dio, che è Amore”.
I minori immigrati
Il XIX Dossier Statistico Immigrazione 2009, pone come dato di partenza la consistenza numerica degli immigrati regolarmente presenti nel territorio italiano: 4.330.000 includendo anche le presenze regolari non ancora registrate in anagrafe.
Per la prima volta l’incidenza percentuale degli immigrati residenti sul totale della popolazione italiana (7,2%), supera la media europea (6,2%).
Ma il dato significativo riguarda i minori immigrati nati in Italia o giunti al seguito dei ricongiungimenti familiari: nel numero di 862.453, rappresentano più di un quinto della popolazione immigrata.
Sono minori che si inseriscono in una scuola italiana che ha una tradizione e una vocazione all’inclusione, pur soffrendo ancora dell’impostazione a classi differenziali, abolite solo nel 1977. Obbligano ad una sfida educativa in senso interculturale, che è stata colta in diversi documenti del Ministero della Pubblica Istruzione a partire dal 1989 e che è stata rilanciata dall’allora Ministro Giuseppe Fioroni con il documento dal titolo “La via italiana alla scuola interculturale”, la cui indicazione principale sta nell’assunto che “insegnare in una prospettiva interculturale vuol dire assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola, occasione privilegiata di apertura a tutte le differenze”.
L’orientamento demografico europeo e italiano
I dati anagrafici di tutti i Paesi europei mostrano che l’Unione Europea è sempre più un continente misto, perché è una terra che invecchia e che fa pochi figli. L’Italia è in testa a questa scarna classifica: è il meno prolifico dei paesi europei ed è la nazione a livello mondiale in cui si nasce di meno (1,2 figli per donna, rispetto alla media mondiale del 2,6) e con il 22% della popolazione che supera i 60 anni. A farci evitare la crescita zero da alcuni anni sono i bambini stranieri nati qui.
è ancora valido nelle sue analisi e considerazioni il Rapporto ONU del gennaio 2000 che aveva il significativo titolo “Migrazioni di ricambio: una soluzione per le popolazioni in declino e invecchiamento”. Si sosteneva che per il 2025 l’Europa avrà bisogno di 159 milioni di immigrati.
L’Italia, sono anni che i demografi lo sottolineano, avrebbe bisogno di 300.000 immigrati all’anno per scongiurare una deriva pericolosa dal punto di vista demografico ed economico, per il mancato ricambio di forza lavoro.
L’incontro tra culture
La grande sfida del millennio si gioca sulla cultura.
In una relazione dal titolo “Ripartire da Cristo. La visione ecclesiale per una società multiculturale e interculturale”, che il Card. Paul Poupard, tenne nel novembre 2003 in occasione del V Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati, si legge che “il terzo millennio è già caratterizzato dalla multiculturalità: persone nutrite da un’altra cultura, appartenenti ad un’altra religione, visibilmente differenti nel modo di vestire, di parlare, nella sensibilità e nella percezione del mondo e degli avvenimenti, sono diventate nostri vicini, nostri colleghi di lavoro, nostri amici. Gli ideali evangelici di libertà, uguaglianza e fraternità - così cari alla Repubblica Francese laica -, devono oggi affrontare un’incarnazione concreta, in una solidarietà umana che supera le frontiere delle culture all’interno delle nostre stesse società”.
è la caratteristica del nostro tempo: da società monoculturali a pluriculturali, a interculturali.
La sfida delle relazioni interculturali è connessa con la sfida educativa, vissuta attraverso un’accoglienza che non confonde il supporto di cui uno ha bisogno dalle relazioni. E la scuola è luogo di eccezionale lavoro per il riconoscimento dell’altro, il rispetto e la reciprocità. Non lo svuotamento di ogni identità, ma fruttuoso incontro di civiltà: un incontro di identità non in un quadro di tolleranza vuota, ma di condivisone intelligente.
Nelle scuole italiane questa convivenza e interazione culturale è in atto da molto tempo. I nostri ragazzi dispongono di un’esperienza diretta della multiculturalità e di una sensibilità verso i problemi degli altri, impensabili anche per chi è passato attraverso la rivoluzione culturale del ’68.
Una generazione sospesa
Nonostante la loro carta d’identità attesti la nascita in territorio italiano, gli 862.453 minori figli di genitori stranieri non hanno la cittadinanza italiana. Perché l’attuale legge che disciplina l’acquisizione della cittadinanza italiana è la n.91 del 1992, basata sul principio dello ius sanguinis, l’acquisto della cittadinanza per discendenza o filiazione. In Italia non vige il principio dello ius soli, l’acquisto della cittadinanza per nascita sul territorio.
Dunque i figli nati in Italia da genitori stranieri sottostanno all’art. 4, c. 2 della legge 91/92 secondo il quale non è sufficiente la nascita sul territorio dello Stato, ma occorre dimostrare la residenza legale ed ininterrotta fino al diciottesimo anno di età: solo allora, se si fa richiesta entro un anno, si può diventare cittadini italiani.
Dunque, nascono qui, parlano la nostra lingua e studiano nelle nostre scuole, si esprimono nei nostri dialetti, ma non sono italiani. Sono italiani-non italiani, una sorta di ospiti nella loro stessa patria.
Sono le cosiddette Seconde Generazioni: ragazzi nati in Italia, che vivono la loro infanzia e la loro adolescenza esattamente come e assieme ai loro coetanei italiani, ma con la differenza che hanno come inquietante compagno di strada un permesso di soggiorno.
Sono i nostri “senza terra”: nella stragrande maggioranza dei casi, poco o niente hanno a che vedere con il paese di provenienza dei propri genitori, e non sono riconosciuti dall’Italia. Si sentono italiani, ma la legge non lo consente: sono una “generazione sospesa”.
Il miraggio della cittadinanza
A fronte di un’immigrazione stanziale e di una crescente sensibilità per i diritti dei minori, quasi tutti gli Stati europei hanno introdotto, o rafforzato se già l’avevano, l’elemento dello ius soli ovvero dell’acquisto della cittadinanza per nascita sul territorio.
Raramente, comunque, nei singoli ordinamenti viene applicato un criterio puro: nella maggior parte dei casi viene adottato un sistema misto. Lo ius sanguinis è il criterio prevalente in Svizzera, Svezia e Giappone. Lo ius soli è invece dominante in Francia, Paesi Bassi, Belgio, Regno Unito, Stati Uniti, Brasile e Argentina.
Su tale specifico punto, nel corso della passata legislatura, erano state presentate numerose proposte per riformare la legge sulla cittadinanza. In particolare, nel 2007 era allo studio un testo unificato, che derivava dall’esame di 18 proposte, in cui si faceva la scelta di introdurre il principio dello ius soli con un sistema misto, cioè sottoposto a specifiche condizioni.
Con il cambio di Governo il testo non ebbe più corso, e non se ne parlò più finché nel settembre scorso non venne presentato un testo “bipartisan”, firmato da 50 deputati appartenenti a gruppi parlamentari diversi. Secondo tale proposta, riceve la cittadinanza italiana chi, nato in Italia, ha almeno uno dei due genitori che risiede legalmente nel territorio dello Stato da un minimo di 5 anni; chi è arrivato in Italia quando aveva al massimo cinque anni e vi ha risieduto legalmente fino alla maggiore età; il minore che completa almeno un ciclo di studi in Italia.
Nella relazione introduttiva si legge che la proposta “mira a fare sì che il minore nato in Italia da un nucleo familiare stabile acquisisca i pari diritti dei coetanei con i quali affronta il percorso di crescita e il ciclo scolastico; in tal modo si evita il crearsi di una «terra di mezzo», dove i bambini nati da genitori non italiani crescano con un senso di estraniazione dal loro contesto, pericoloso per il futuro processo di integrazione e di inserimento sociali del minore”.
I minori immigrati, una speranza
Negli “Orientamenti pastorali per l’immigrazione” dal titolo “Ero forestiero e mi avete ospitato” (1993) si legge che la Chiesa è impegnata in un’azione educativa intesa a coltivare il rispetto per il diverso, e l’accoglienza. Una concezione mercantile dell’uomo e della società finisce per essere miope e contraddittoria.
I minori immigrati, se posti in contesti di riconoscimento e di rispetto, hanno tutte le potenzialità per spingere verso la comunione, l’inclusione positiva e arricchente, sia nel contesto sociale che ecclesiale.
L’accoglienza si dovrà tradurre in nuove strategie di evangelizzazione, con l’ausilio di tutti coloro che negli Uffici diocesani hanno la responsabilità nei diversi settori in cui opera la Chiesa. Allo stesso tempo, è già in atto un notevole impegno nella maggior parte delle Diocesi italiane affinché sia garantita una pastorale specifica inserita nella pastorale ordinaria. Per dare un’immagine concreta di cosa questo voglia dire, è sufficiente sfogliare l’annuario dei Centri pastorali per gli immigrati cattolici nella Chiesa italiana: sono oltre 700 i Centri, con l’impegno di quasi 2.000 sacerdoti appartenenti alle diverse etnie rappresentate nel territorio italiano.
I minori migranti che vivono in Italia sono, in tale contesto, la speranza concreta che la corretta integrazione, qual è quella che valorizza la persona con il suo patrimonio di cultura e di tradizioni, è una via fattibile e che la Chiesa è veramente la casa di tutti, il luogo in cui tutti si sentono a casa.