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Che cosa si fa in un Paese cristiano per annunciare Cristo a chi non é cristiano (F.Olivero)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/08


 

L’esperienza della Diocesi di Torino

E essenziale capire come nel tempo sia nata e cresciuta la risposta ai nuovi cittadini. Gli anni ‘60 e ‘70 vedono la Chiesa di Torino molto attiva sui temi della mondialità, del Terzo Mondo e dei nuovi arrivi tra di noi.

Una risposta positiva da oltre quarant’anni

Fin dall’inizio vi sono risposte positive organizzate, sotto la spinta delle Encicliche papali “Mater et magistra” (1961), “Pacem in terris” (1963) e “Popolorum progressio” (1967). Si apre una stagione feconda di riflessioni e iniziative promosse da cristiani torinesi aperti alla realtà di una mondialità sempre più coinvolgente, e in essa si situa la presa di coscienza dei cristiani sulla presenza straniera a Torino, in un primo tempo per la maggior parte studenti universitari maschi e in seguito soprattutto donne alla ricerca di un lavoro.

La prima esperienza organizzata nasce come “Comitato torinese borse di studio per studenti afro-asiatici” e, insieme, come “Centro cattolico torinese contro la fame nel mondo” (1962), con una campagna annuale “Quaresima di fraternità” (attiva ancora oggi) per finanziare le iniziative.

Dal 1975 prendono forma risposte di accoglienza maschile (studenti) e femminile (colf), con due sedi separate aperte quotidianamente. L’apertura del BIT (Bureau International du Travail (1966) dà nuova forza al “Centro genti e culture” e poi al CISCAST (Centro Internazionale Scambi Culturali Accoglienza Stranieri Torino), che diventerà il “Servizio Migranti Caritas” (1990) e poi “Ufficio Pastorale Migranti” (2001), Ufficio pastorale della Diocesi per le diverse categorie di migranti, sia sul piano dell’evangelizzazione che sul piano della testimonianza della carità a tutti i livelli, cercando di evitare fin dall’inizio ogni forma di assistenzialismo. Il settore femminile apre anche l’accoglienza.

A livello decentrato parrocchie, istituti religiosi, associazioni di volontariato aprono centri di ascolto, accoglienza, servizi (sanità, minori, vittime della tratta, donne con bambini, malati…); ben 84 in dieci anni.

Sul piano pastorale

Due coordinamenti orientano e verificano le scelte; il primo riguardante solo gli stranieri (Coordinamento pastorale immigrati), il secondo sia italiani che stranieri (Caritas - Migranti, collegamento pastorale diocesano) che mette a confronto le risposte sul territorio.

Quali sono state le scelte fatte in questi ultimi 40 anni e soprattutto in questi ultimi 15, in cui sono titolare dell’Ufficio? Vi sono due priorità:

1.   Assistenza agli immigrati cattolici, su cui sono state fatte alcune scelte: inserimento pastorale nelle comunità italiane (soprattutto parrocchie, movimenti, gruppi) e creazione di comunità etniche o di area culturale-linguistica per il servizio pastorale ai cattolici provenienti da altri Paesi (19 a Torino). E una proposta ultracentenaria nella Chiesa, sicuramente utile nei primi anni.

2.   Dialogo ecumenico coi Cristiani ortodossi, Copti ed Evangelici. Sono state concesse tre chiese agli ortodossi, utilizzate per due comunità rumene e per la comunità russa, e due ai Copti Egiziani, Etiopi ed Eritrei. Con gli Evangelici vi è rispetto e collaborazione sia sul piano pastorale che sociale (carità e giustizia). Vi è poi un “Gruppo di preghiera Ecumenico Nigeriano” di cristiani diversi che si ritrovano da 15 anni per un percorso di fede e formazione, la cui base è “la Parola” (La Bibbia).

Quali scelte con i cristiani

Su 164.592 residenti nuovi immigrati stranieri in Diocesi, il 50% sono cristiani (di questi il 23% sono cattolici, il 27% sono ortodossi e il 21% evangelici). I musulmani sono quanti gli ortodossi e i copti (25%), le altre religioni (induisti, confuciani, ebrei, buddisti, taoisti, sik) il 25%.

Il nostro impegno di evangelizzazione parte da riferimenti evangelici e dalle encicliche e direttive della Chiesa. Riportiamo quanto già da noi elaborato nel testo della rivista della CEI “Nella Chiesa nessuno è straniero”.

Segnaliamo che la Chiesa torinese ha fatto nascere da 12 anni il “Centro Peirone per il dialogo con l’Islam”, centro studi che elabora la rivista mensile “Al Hiwar” (“Il Dialogo”).

Verso gli stranieri non cristiani il nostro atteggiamento fondamentale è quello della promozione umana, della presentazione della figura di Cristo e dei profeti come è nei Vangeli e della testimonianza della carità, che hanno già valore di evangelizzazione e predispongono all’annuncio diretto del Vangelo, che deve rappresentare una prospettiva presente nel rapporto delle nostre comunità con stranieri di altre fedi.

Il cristiano giudica negativamente e si dispiace se i non cristiani a causa della migrazione perdono il genuino senso religioso e si lasciano attrarre dal fascino del consumismo materialista dell’occidente. Perciò il migrante di fede diversa dalla nostra va sostenuto nel conservare la dimensione trascendente della vita, invitandolo a praticare la sua fede religiosa e a viverne gli autentici valori anche nel Paese di immigrazione. In questo spirito si giungerà alla conoscenza, alla stima e all’accettazione reciproca, e lo straniero verrà messo in grado di comprendere qualcosa di più sul cristianesimo, sulla sua non identificazione con l’occidente o con una determinata cultura.

Resta scontato che emerge con particolare forza ed urgenza il problema del rapporto con gli immigrati aderenti all’Islam.

Da quanto precede, risultano alcune responsabilità pratiche che sono alla base delle nostre scelte:

-          la prima è di non trascurare affatto il fenomeno dell’Islam, lo esige anche solo il suo aspetto quantitativo, essendo l’Islam la seconda religione in Italia (alla pari con gli ortodossi), professata da circa un quarto degli immigrati nel nostro Paese;

-          è necessario comprendere e rispettare, come autentico valore, la fedeltà ragionevole alle proprie tradizioni;

-          il cristiano è consapevole e deve testimoniare che il rispetto, l’accoglienza, la solidarietà e quindi il rifiuto di ogni discriminazione verso gli immigrati, non sono solo un’esigenza umana, ma anche e soprattutto un’esigenza che scaturisce dalla fede in Gesù Cristo e dall’adesione al Vangelo della carità;

-          è compito di tutti, e dei credenti per primi, aiutare gli immigrati ad inserirsi armonicamente nel tessuto sociale e culturale della nazione che li ospita, e ad accettarne civilmente le leggi e gli usi fondamentali;

-          con la loro testimonianza di vita più autentica, sobria e spirituale i cristiani devono apertamente condannare alcuni falsi valori diffusi nei paesi dell’occidente, come il materialismo e il consumismo, il relativismo morale e l’indifferentismo religioso, il rifiuto della fede: sono ostacoli e tentazioni forti anche per gli immigrati, che si superano solo col dialogo rispettoso;

-          le comunità cristiane per evitare inutili fraintendimenti e confusioni pericolose non devono mettere a disposizione, per incontri di fedi religiosi non cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto cattolico, come pure locali destinati ad attività parrocchiali. Così pure, prima di promuovere iniziative di cultura religiosa o incontri di preghiera con i non cristiani, occorrerà ponderare accuratamente il significato e garantire lo stile di un rapporto interreligioso corretto, seguendo le disposizioni della Chiesa locale;

-          i pastori d’anime curino con particolare attenzione la preparazione al matrimonio misto che è un grande segno di integrazione.

Alcune riflessioni dettate dall’esperienza:

-          il messaggio guida potrebbe essere: “Nella Chiesa nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessuno” (Giovanni Paolo II);

-          la presenza di singoli e di gruppi stranieri è l’occasione provvidenziale (il kairòs in senso biblico) per riflettere sulla nostra stessa fede, vissuta a confronto con religioni e culture diverse, con le quali attraverso le migrazioni si è venuti a più diretto contatto. Questo contatto può portare a una revisione e purificazione anche dei nostri comportamenti religiosi;

-          benché siamo convinti della nostra fede e aperti a tutte le occasioni per approfondirla e proporla, è doveroso rispettare nel fratello di altra religione la convinzione di professare la fede “vera”, aiutandolo a vivere la sua fede, senza lasciarla;

-          l’aspetto spirituale di qualsiasi cultura con le sue autentiche espressioni religiose è un elemento positivo per i singoli e la società, fa parte di quell’impegno a proporre i valori fondamentali che il cristiano dovrebbe avere particolare intuito per cogliere e valorizzare. Un rapporto ancora più stretto di stima, di scambio di valori e di esperienze va instaurato con le altre Chiese e le comunità ecclesiali che condividono con noi un preziosissimo patrimonio che scaturisce dalla rivelazione divina In questo settore vi sono esperienze di “avvicinamento al Cristianesimo” senza conversione, fatto con 53 giovani e adolescenti musulmani: 50 incontri settimanali di grande interesse. I risultati: partecipazione, volontariato in Associazioni cattoliche, animazione sociale, rispetto della diversità di fede;

-          ogni confessione religiosa ha bisogno di spazio fisico per esprimersi. Non spetta alla comunità cristiana procurare questi spazi per gli aderenti ad altre religioni non cristiane, essa tuttavia può acconsentire e adoperarsi perché la società civile venga incontro a queste legittime esigenze;

-          infine il dialogo con i referenti delle comunità è essenziale per mantenere la stima reciproca.

Quanto detto per l’Islam vale per le altre fedi (Buddismo, Scintoismo, Confucianesimo, Sik e religioni naturali) non cristiane: il dialogo è l’unica strada possibile per valorizzare le persone credenti immigrate.

Dobbiamo aiutare a mantenere la fede che è l’essenziale, sarà poi Dio (e non noi) a cambiare e convertire il loro cuore, se incontreranno credenti cristiani credibili e rispettosi.

Cosa è cambiato dopo l’11 settembre?

Dietro l’Islam italiano si è andata radicalizzando una linea che tocca la maggior parte delle moschee influenti dalle piccole alle grandi, tanto da far scrivere un libro di interviste a Magdi Allam dal titolo: “Bin Laden in Italia: viaggio nell’Islam radicale”.

Non fanno eccezione le sale di preghiera del Piemonte, anche se qualche Imam è più aperto e dialogante.

Appena dopo i fatti dell’11 settembre alcune sale di preghiera hanno apertamente invitato al terrorismo e ad aderire alla “resistenza” in alcuni Paesi in guerra (Iraq, Afghanistan in particolare).

Credo che la “doppia verità” espressa da diversi Imam che guidano i centri di preghiera ne hanno trasformato il ruolo.

In quasi tutti i casi la scuola di arabo nata qua e là è diventata “scuola coranica” che non aiuta l’integrazione di fratelli e sorelle, ma, insieme alla conoscenza delle radici arabe instilla un profondo senso anti-occidentale facendo passare laicità come corruzione, non aiutando a distinguere legge coranica e legge civile laica.

è essenziale la costruzione di un Islam laico, coraggioso, dialogante, europeo: senza questo la nostra ingenuità non li aiuterà a crescere, integrarsi, diventare in pieno cittadini.

Religioni e sicurezza

Voglio fare una distinzione ed una premessa prima di iniziare: la fede non è uguale a religione; le religioni sono l’espressione storica di valori di fede e possono avere interpretazioni molto diverse.

Il cristianesimo, integrista per lunghi periodi, disposto per questo anche alle Crociate, oggi ha relegato l’integrismo a pochi gruppi. Altre fedi (v. Islam) hanno nel loro seno, molti che - cercando sicurezza - diventano integristi, disposti ad eliminare chi è diverso. è una premessa dura, questa sull’Islam, ma va detta perché, anche in Italia, è così. Ma non riguarda il normale credente, ma alcuni credenti e responsabili di comunità, e molti convertiti.

Noi dobbiamo rispettarci come persone, uomini e donne, difendendo i diritti essenziali, mettendoci insieme a respingere ogni ipotesi riguardante l’imposizione di limiti alla “dignità” di essere uomini e donne, colpevoli solo di non essere regolari (o, dice qualcuno, “clandestini”) venuti per cercare pane e lavoro nel nostro paese, spesso in condizioni disperate.

Dobbiamo contrastare la marea montante, il linguaggio, la cultura di autentico e violento egoismo volto a difendere la nostra identità civile, fomentando la barbarie che alcuni manovratori dello Stato hanno voluto introdurre con il reato di clandestinità per chi viene da paesi diversi, trasformando i centri di identificazione in vere e proprie carceri (parole di Mons. Sebastiano Dho, Vescovo di Alba).

L’Italia ha una presenza di circa il 50% di cristiani tra ortodossi, cattolici, evangelici e circa il 50% di altre fedi: islam, buddismo, taoismo, sintoismo, ebraismo, non credenti, credenti nelle religioni naturali. Questo non è impoverimento, ma una nuova risorsa con cui confrontarsi, dialogare, rispettando le convinzioni di ciascuno, frutto di altre culture ed esperienze. E la tolleranza è il primo passo, l’interazione, l’integrazione rispettosa e la valorizzazione il secondo.

Che cosa fare sul piano della sicurezza

1.   Fedi (religioni) e sicurezza possono convivere senza creare alcun problema, se vi è la comprensione e il rispetto dei valori diversi. Non sono le diverse religioni (o il non credere) causa di tensioni, ma il loro uso strumentale, finalizzato a sopraffazioni. E questo vale per l’Italia, l’Europa e per ogni paese: quindi fine dell’intolleranza nei confronti del diverso! (Buona soluzione è la Commissione interfedi presente per esempio in Piemonte).

2.   Ogni religione ha alla base valori grandi, se è sopravvissuta nei secoli. Sono questi che dobbiamo evidenziare! Non, come avviene da parte di gruppi ignoranti, insultarci, emarginare il diverso, crederci i migliori per paura di perdere in cultura e sicurezza. Siamo tutti alla “ricerca della verità”: noi cattolici con 16 comunità immigrate in Torino e altrettante in Piemonte, le chiese ortodosse orientali o copte, le chiese evangeliche, le moschee del Piemonte, i credenti di altre fedi ed i laici.

3.   Dobbiamo mettere insieme - e questa è l’occasione - tutte le forze per contrastare leggi che vanno contro lo spirito della costituzione: ad esempio reato di clandestinità, rimpatrio dei non-regolari, diritto a vivere in famiglia e ricongiunzione familiare, diritto di tutti ad una vita sicura nativi ed immigrati (lavoro, casa, salute, cultura, scuola).

La sicurezza è diritto di tutti, non degli italiani o dei cristiani. Ripeto: di tutti. Le morti di questi giorni, gli assalti razzisti o bullisti devono finire.

Lavoriamo per un clima nuovo e diverso perché in questo paese nessuno si senta straniero, e noi italiani non giudichiamo stranieri (estranei) nessuno.