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Tempo impegnato: consulte e partecipazione degli stranieri (A.Facchini/M.Spaggiari)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/08


 

Per affrontare il tema della partecipazione degli stranieri alla vita pubblica locale dobbiamo partire da una Legge dello Stato italiano tuttora in vigore.

Infatti con la legge 18 marzo 1994 n. 203, limitatamente ai capitoli A e B e con l’esclusione del capitolo C (riconoscimento del diritto di voto, e di eleggibilità, alle elezioni locali) lo Stato italiano recepisce la Convenzione europea sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, adottata a Strasburgo il 5 febbraio 1992.

Tale Convenzione mira a garantire, nella parte recepita dall’Italia, la libertà di espressione, di riunione e di associazione (capitolo A) e gli organi consultivi volti a rappresentare i residenti stranieri a livello locale (capitolo B).

In particolare il Capitolo B Organi consultivi volti a rappresentare i residenti stranieri a livello locale, prevede all’Articolo 5, che:

- si vigili “affinché nessun ostacolo legale o di altra natura impedisca alle collettività locali che hanno nei loro rispettivi territori un numero significativo di residenti stranieri, di creare organi consultivi o di adottare altre disposizioni appropriate a livello istituzionale per: provvedere ai collegamenti tra esse ed i predetti residenti; fornire un’istanza per il dibattito e la formulazione delle opinioni, degli auspici e delle preoccupazioni dei residenti stranieri sui temi della vita politica locale che li concernono da vicino, comprese le attività e le responsabilità della collettività locale interessata; promuovere la loro integrazione generale nella vita della collettività”;

- si incoraggino ed agevolino “la costituzione di determinati organi consultivi o l’attuazione di altre adeguate disposizioni a livello istituzionale al fine di una adeguata rappresentanza dei residenti stranieri nelle collettività locali che hanno nel proprio territorio un numero significativo di residenti stranieri”;

- si vigili “affinché gli stranieri che partecipano agli organi consultivi o ad altri dispositivi di ordine istituzionale possano essere eletti dai residenti stranieri della collettività locale o nominati dalle varie associazioni di residenti stranieri”.

Ci dovremmo dunque chiedere quali politiche nel corso di questi anni sono state promosse a livello nazionale per adempiere a quanto prescritto da una Legge dello Stato.

Nulla. Non siamo in grado di rintracciare un atto di programmazione e/o finanziamento statale riferito esplicitamente alla Legge 203/1994. Siamo consapevoli che nel panorama italiano non è la prima volta che una Legge rimane forma e non sostanza.

La discussione politica e scientifica sulle “Consulte” si è concentrata sul livello locale, ha ragionato sulle esperienze partecipative che in vario modo sono state promosse dai Comuni o dalle Province, ha evidenziato buone prassi ma anche limiti e criticità dei modelli.

Paradossalmente questa attenzione verso il basso, ci pare abbia messo però in secondo piano il tema di una mancata strategia nazionale su questi temi. Possiamo forse parlare di un autentico e sostanziale boicottaggio.

Non una linea di indirizzo, non un finanziamento nazionale a favore dei Comuni che coraggiosamente hanno tentato di individuare forme di partecipazione e  responsabilità nei confronti delle persone straniere a tutt’oggi escluse dal voto.

Anzi, i toni sprezzanti con i quali alcuni partiti politici affrontano il tema, evidenziano che non vi è alcuna consapevolezza del fatto che stiamo parlando di una Legge in vigore, e che in democrazia le leggi, a prescindere da come ciascuno la pensa, finché esistono, vanno rispettate.

La questione del voto amministrativo

Il tema delle Consulte è strettamente legato in Italia alla questione politica dell’introduzione del diritto di voto per i cittadini stranieri.

La società italiana è in sé sempre più differenziata, costituita com’è da una popolazione multiforme in cui al popolo sovrano dei cittadini si affiancano, con pari dignità, fasce di popolazione non in possesso della cittadinanza a cui il voto amministrativo deve essere riconosciuto se si intende operare nel riconoscimento di una società complessa e con l’obiettivo della coesione sociale secondo libertà, uguaglianza, parità di diritti e doveri.

Alcuni si richiamano al principio liberale di Rousseau del “diritto di ciascuno di partecipare alla formulazione delle leggi che lo riguardano”, altri collocano il diritto di voto degli immigrati dentro il processo di “manutenzione” della democrazia convinti che la partecipazione politica faciliti l’integrazione e la ricerca di interessi comuni; altri ancora tendono a sottolineare che una democrazia non può permettersi di privare a lungo del diritto di voto una cospicua minoranza (che ad esempio nel 2010 si avvicinerà al 10% della popolazione in Emilia-Romagna) e che contribuisce ormai per oltre l’11% al Prodotto Interno lordo dell’Italia.

L’obiezione tecnico-politica più frequente da parte di chi si oppone al voto amministrativo per gli stranieri attiene alla questione della cittadinanza.

è vero, l’acquisizione della cittadinanza italiana permette la piena inclusione politica delle persone con la possibilità di esercitare il diritto di voto a livello politico e locale.

Ma non tutte le persone straniere possono o vogliono acquisire la cittadinanza italiana; perché occorrono determinati requisiti, perché sarebbero costretti a perdere quella di origine, perché intendono mantenere diritti in materia di successione nel paese di origine, perché non escludono un rientro nel loro paese di origine, ecc...

Quindi si deve andare verso una modifica della attuale Legge 91/92, una legge troppo restrittiva che non ha esempi analoghi in Europa in quanto prevede sostanzialmente la concessione di cittadinanza dopo 10 anni di residenza o  tramite matrimonio con un cittadino italiano.

Purtroppo questo tema è scomparso dall’agenda politica. Eppure continuiamo a pensare che occorrono modifiche per facilitare l’acquisizione della cittadinanza per minori e nati stranieri in Italia; ed anche per le persone straniere adulte abbassando  il numero di anni per conseguire la cittadinanza ed inserendo un requisito minimo legato alla conoscenza di base della lingua italiana (livello scuola elementare), e alla conoscenza dei principi fondamentali della Costituzione Italiana.

Quindi diritto di voto amministrativo per gli stranieri e riforma della cittadinanza sono due questioni distinte ma dovrebbero procedere insieme: in questo modo il cittadino straniero che decide di rimanere tale voterebbe solo per le elezioni amministrative  continuando a votare alle elezioni politiche nel proprio paese di origine, invece il cittadino straniero che acquisisce la cittadinanza italiana voterebbe in Italia in entrambi i casi.

Modalità di partecipazione

La già citata Legge 203/94 è stata interpretata in modo piuttosto vario dalle autonomie locali italiane che, con varie sfumature, si ricollegano a due modelli principali:

- la Consulta (o Consiglio);

- e il consigliere aggiunto.

La prima è un organo collegiale, formato da un certo numero di persone, rapportate alla consistenza numerica degli stranieri presenti in un dato territorio ed elette dagli stranieri ivi residenti, con la competenza di intervenire presso le istituzioni e su loro richiesta con un parere non vincolante.

I secondi partecipano stabilmente alle sedute del Consiglio Comunale senza diritto di voto.

Le esperienze in Emilia-Romagna

La nuova legge regionale 5/2004 “Norme per la integrazione sociale dei cittadini stranieri”ha innovato l’impianto normativo regionale al fine di intervenire per assicurare una maggiore coesione sociale tra cittadini italiani e stranieri.

è stata la prima legge regionale in materia di immigrazione in Italia dopo la riforma del Titolo V, e con sentenza della Corte Costituzionale n.300 del 2005 è stata ritenuta totalmente legittima.

Si tratta di una legge imperniata sui principi di parità dei diritti e doveri, su un accesso universalistico al sistema dei servizi di welfare e sulla negazione di servizi separati per stranieri. Una legge per costruire il dialogo, rispettare le differenze, contrastare il razzismo e la xenofobia, promuovere partecipazione e cittadinanza attiva. In questo senso la legge regionale ha istituito la Consulta regionale per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri, optando per una composizione mista: 18 rappresentanti di cittadini stranieri di cui due per ciascuna provincia, e 16 rappresentanti di soggetti che a vario titolo si occupano di immigrazione (associazioni datoriali, sindacati, enti locali, terzo settore, scuola, lavoro, Consigli Territoriali).

Tra le attività più importanti della Consulta (istituita nel febbraio 2005) : la discussione dei Programmi triennali Immigrazione 2006-2008 e 2009-2011, il tema della difformità di trattamento degli enti locali in materia di rilascio dei parametri abitativi, la partecipazione alla stima di fabbisogno di manodopera, la costituzione di un gruppo di lavoro sulle politiche di contrasto alle discriminazioni, la richiesta al Governo di procedere in tempi brevi all’aumento della durata dei permessi di soggiorno ed al passaggio agli enti locali delle competenze sui rinnovi dei permessi.

La legge 5/2004 dedica inoltre al tema della partecipazione e rappresentanza a livello locale un apposito articolo (art.8) esplicitando il pieno sostegno della Regione a promuovere una effettiva partecipazione ed il protagonismo dei cittadini stranieri nella definizione delle politiche pubbliche.

Non sarebbe quindi realistico attendersi una messe di risultati concreti particolarmente estesa. Cerchiamo di individuarne alcuni.

Conclusioni operative

Il risultato principale ottenuto dall’esperienza delle Consulte locali nella regione Emilia Romagna è l’attivazione di percorsi e pratiche di comunicazione fra Enti Locali e popolazione migrante. Può apparire un risultato modesto, se non si tiene in considerazione la carenza di strumenti ed opportunità di conoscenza reciproca fra migranti e pubblica amministrazione e la straordinaria complessità del fenomeno migratorio, i cui caratteri sono in continua, rapidissima mutazione. Nelle aree meno urbanizzate, dove di norma sono assenti forme significative di associazionismo fra migranti, le Consulte hanno rappresentato e rappresentano l’unica forma di comunicazione fra l’Ente locale e una quota di cittadini residenti che supera frequentemente il 10%.

Le esigenze di informazione e formazione dei migranti hanno prodotto, a Modena in particolare, specifiche iniziative: una campagna per la sicurezza stradale ed una guida multietnica, denominata “Modena cambia”.

Quasi ovunque, le attività di comunicazione tendono a strutturarsi ed organizzarsi, prendendo le mosse dall’esperienza e dalle opportunità offerte dalle Consulte.

Spesso, le Consulte divengono promotrici della realizzazione di Centri interculturali permanenti. La più recente esperienza in questo senso è rappresentata dalla Consulta del Comune di Monzuno (BO), promotrice dell’attivazione di un Centro ottenuto dalla ristrutturazione di una Stazione ferroviaria dismessa.

Una ulteriore azione concreta realizzata in questo campo è la realizzazione, per iniziativa della Consulta comunale di Cesena, del sito www.nuovicesenati.it, un originale forum cittadino che amplia le opportunità di comunicazione e conoscenza reciproca fra vecchi e nuovi cittadini e la pubblica amministrazione.

Frequentemente, le Consulte accompagnano l’Ente locale di riferimento nell’attuazione di particolari iniziative di interesse dei migranti: è il caso delle esperienze di Ravenna di autocostruzione di alloggi economici e di attivazione dei servizi anagrafici proposti dalla sperimentazione ANCI per il trasferimento ai Comuni delle competenze in materia di rinnovo dei permessi di soggiorno, e di Forlì con l’attuazione di un Protocollo provinciale contro le discriminazioni.

Non mancano però alcuni esempi di positiva dialettica tra Consulte ed Enti Pubblici: il giovane Consiglio dei cittadini stranieri ed apolidi della Provincia di Bologna, eletto democraticamente il 2 dicembre 2007 da 9.200 persone straniere, ha recentemente ottenuto una revisione delle linee di indirizzo provinciali in materia di call-center evitando la prescrizione di chiusura domenicale, e si è attivato affinché si realizzino i percorsi formativi per la qualifica di mediatore interculturale.

Frequentemente, i migranti eletti nelle Consulte hanno scoperto spazi e opportunità insospettate promuovendo nuove associazioni nel territorio e dunque smentendo chi temeva una contrapposizione tra associazionismo migrante e Consulte elettive.

Per le ragioni sovraesposte, dobbiamo riconoscere che queste giovani forme di partecipazione alla vita pubblica non sono affatto semplici, né lineari: è latente il rischio di confusione istituzionale, di frustrazione dei componenti e di considerare le Consulte forme di associazionismo assistito, che esime i partecipanti dall’assumere pienamente proprie responsabilità personali.

Ciononostante, l’esperienza soggettiva della partecipazione alle Consulte, pur nei suoi limiti e contraddizioni, rappresenta una sorta di apprendimento delle tecniche e dello spirito del lavoro politico pubblico, una scuola di cittadinanza capace di mettere in campo nuove energie e competenze, preziose per l’arricchimento del tessuto democratico del nostro Paese.