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Un tempo per scrivere, un tempo per leggere (C.Simonelli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/08


 

«è questa la disgrazia che abbiamo noi, in paesi tanto poveri e isolati, signore, signor gabelliere, o come Sua Grazia si chiama: succedono cose del genere e poi non abbiamo mai chi le racconti!»1.

Così la filosofa andalusa Maria Zambrano conclude un suo testo, intessuto di riflessioni, ricordi, racconti. Il punto di vista che ci ripromettiamo qui, in forma di veloce ricognizione, è prendere in considerazione un luogo importante della relazione migrante, rappresentato dalla scrittura: scrittura in lingua madre e scrittura nella lingua altra, quella che si è imparato come mezzo di scambio, o quella che abitualmente si parla, nel caso di “seconde e terze generazioni”. Sempre comunque scrittura che si è contaminata, scrittura che, a certe condizioni, spalanca mondi e visioni. E la “certa condizione” richiesta è, al minimo, che ci prendiamo il tempo di leggere: anch’esso tempo aperto, anch’esso tempo di incontro, anch’esso luogo di possibile comunione.

La lingua dell’altro/a

Il mondo degli autori francofoni e anglofoni è da lungo tempo abituato, data la diffusione anche coloniale di queste lingue, al fenomeno di scrittori bilingui che scelgono l’idioma europeo per comunicare. Alcuni/e vi hanno anche riflettuto splendidamente, come Assia Djebar2 in Queste voci che mi assediano. Scrivere nella lingua dell’Altro (Saggiatore 2004). L’autrice compie un percorso attraverso la propria scrittura con la chiave prevalente dell’essere “fra due”: fra due “mondi”, fra due generi, fra due lingue. Anzi le lingue si aprono a ventaglio e diventano, appunto “voci che assediano”, linguaggi plurali: il berbero materno, l’arabo letterario della preghiera e l’arabo dialettale, il francese dei colonizzatori di ieri, il linguaggio della danza e del corpo. Il libro è introdotto da una poesia, che ben si presta ad aprire anche la nostra ricognizione:

Già da gran tempo ormai / sempre fra corpo e voce

e questo beccheggiare di lingue

nel movimento d’una memoria da scavare / da soleggiare

rischi della mia scrittura / d’involo / d’esilio

d’incessanti partenze / segni della sabbia ancestrale.

Scrivere è una strada da aprire.

...Il beccheggiare delle lingue, certo / sarebbe non rinunciare

alla speranza… / Scrivere è una strada da aprire

Scrivere è un lungo silenzio che ascolta.3

Fra questa letteratura meritano almeno una menzione due libri, pure tradotti in italiano, che, con diversa strategia, “fanno fare un tuffo” nella realtà giovanile delle periferie. Il primo è lieve e gradevole, come il sabato pomeriggio di una ragazzina, ma tutt’altro che banale. Potrebbe rimandare ad una “periferia come cantiere di un domani possibile”: questo, per molti aspetti, è Kif kif domani4, la cui autrice, pensata da vari protagonisti del libro come “immigrata” di seconda generazione, dice di sé, a buon diritto, di essere “parigina con genitori marocchini”. è un libro intelligente, adatto anche ai più giovani e, appunto spalanca un mondo senza urtare nessuna suscettibilità. Molto più duro e impegnativo è invece Londostani di Gautam Malkani (Guanda 2007): come si capisce dal titolo si riferisce al mondo giovanile di provenienza indopakistana che vive nelle periferie londinesi e parla inglese, con termini di’importazione che rendono il linguaggio, anche nella abile traduzione italiana, caratteristico e gergale. La situazione descritta è però di disagio, di bande di ragazzi che lo esprimono in forme violente, sconosciute all’esperienza dei loro genitori.

Questa letteratura non è però cosa riservata alle grandi capitali ed alle più diffuse lingue europee: anche in Italia esiste una produzione di questo tipo, che di giorno cresce e può contribuire a costruire un tempo migliore fra tutti noi.

Il vento e la sabbia

Un’esperienza pilota in questo senso è El Ghibli, rivista online di letteratura della migrazione, che ha iniziato le sue pubblicazioni nel 2003. Il suo progetto editoriale vede attivi scrittori e scrittrici che si esprimono soprattutto, anche se non unicamente, in italiano: come dicono brillantemente loro stessi hanno delle chiare identità, cioè sono «euro-asiatici, italo-americani, afro-italiani, euro-stranieri, afro-europei, euro-americani»! Adesso sul loro sito si possono leggere anche scritti di studenti “italo/italiani” che entrano nel gioco dello scambio e vogliono comunicare in questo modo. Penso che la migliore presentazione possano farla i redattori stessi. Queste sono le parole con cui Pap Khouma nel numero 0 dell’anno 0 (giugno 2003) dava il via all’iniziativa:

«El Ghibli è il nome che abbiamo scelto per la nostra rivista della nascente “letteratura della migrazione”. El Ghibli è un vento del Sahara. è uno di tanti venti che migrano naturalmente, ma che ogni anno depositano su Italia, Spagna, Grecia, Albania e ancora più a nord un milione di metri cubi di sabbia calda. La sabbia, la terra di El Ghibli, dalla notte dei tempi sbarca qui sulla nostra penisola e ha sempre portato con sé milioni di strani, diversi, fastidiosi, piacevoli elementi pieni di vita e con tanta voglia di cambiamenti.

El Ghibli, la nostra rivista on-line, pubblicherà racconti, novelle, poesie, opinioni, riflessioni... di scrittori migranti: quelli che hanno scelto l’Italia e la sua lingua ma anche quelli che sono migranti in altri paesi. Ci sarà spazio per le opere di scrittori autoctoni: quelli che non hanno mai lasciato la propria terra. Scriveremo e pubblicheremo testi e poesie in italiano e in altre lingue.

El Ghibli è nata soprattutto per occuparsi di Letteratura, quindi di scrittori tout court. E questo il nostro modo per promuovere una cultura di accoglienza, una pacifica convivenza tra individui di provenienze, lingue, religioni, etnie e culture diverse.

El Ghibli sarà aperta al confronto e alla collaborazione con riviste, associazioni, scuole, alunni, università, professori, singoli, in Italia e all’estero. Noi della redazione desideriamo, in questi tempi non felici per troppi popoli, insieme a voi - nostri futuri lettori e collaboratori - e attraverso lo strumento della letteratura e del pensiero umanistico, portare semplicemente i nostri granelli di sabbia per contribuire alla costruzione di un universo senza prevaricazioni.

El Ghibli non vuole rivoluzionare né la maniera di scrivere né il modo di fare letteratura. Ma, inevitabilmente, noi di El Ghibli aggrediremo la lingua di Dante, nel senso buono del latino aggredi o ad-gredi, cioè incontrare, andare verso l’altro, dare e ricevere. Anche noi spargeremo i nostri granelli di parole diverse, strane, piene di vita. Il nostro desiderio più grande è confrontarci, imparare umilmente dalle storie degli altri.

La redazione e i collaboratori di El Ghibli risiedono in Italia, Inghilterra, Svezia, Francia, Stati Uniti, Asia, Africa, Europa, Sudamerica. Siamo euro-asiatici, italo-americani, afro-italiani, euro-stranieri, afro-europei, euro-americani, neri, bianchi, gialli, credenti, atei, animisti, ciascuno di noi possiede una chiara identità e delle solide radici»5.

Madre piccola

Un po’ di tempo lo prendiamo anche per far presente un’opera, la sua autrice ed il contesto che le ha fatte conoscere entrambe: si tratta di Madre piccola, romanzo della scrittrice italosomala Cristina Ali Farah6, che è stato presentato al concorso LinguaMadre, alla fiera del libro 2006, ed ha anche vinto l’estate appena trascorsa il Premio Vittorini 2008, con la motivazione che il volume «dà un serio contributo alla sprovincializzazione della letteratura italiana contemporanea»7.

LinguaMadre è il format voluto nella Fiera del Libro di Torino dalla Regione Piemonte, ed è dedicato «alle identità culturali, ai meticciati, alle ibridazioni e agli incroci che hanno immesso nuova linfa nella mappa dell’espressività contemporanea, e si è imposto come uno degli incontri più graditi ai visitatori della Fiera»8. E, nel contesto del format, l’evento è specificamente anche «un Concorso Letterario Nazionale, ideato da Daniela Finocchi, destinato alle donne straniere residenti in Italia, con una sezione dedicata alle donne italiane. Il concorso è giunto alla quarta edizione. La premiazione avviene nella giornata di chiusura della Fiera e i racconti selezionati sono raccolti in un libro. Sono state oltre 250 le partecipanti all’ultima edizione e più di 50 le presentazioni svolte lo scorso anno in tutt’Italia»9.

Il romanzo fa scorrere vicende di vita, di cronaca, di storia, di guerra, di migrazione, presentate dai tre personaggi, due donne, cugine/come/sorelle, e da un uomo. Protagonisti sono, in fondo, la vita, tout court, e, insieme, la diaspora somala. Ed anche il tempo: tempo che scorre e scivola via (p. 80), tempo che come in un’istantanea si dilata e sembra fermarsi di fronte alla morte (p. 140) o anche nel ricordo felice di una visita di amiche al Museo, davanti alla metope del Partenone (p. 119). Alla fine della vicenda, ecco lo squarcio di futuro aperto dalla gravidanza, confidata da Domenica/Axad (italosomala, tornata in Italia, terra materna) alla cugina/ostetrica Barni che vive a Roma:

«Quali sono i miei programmi? Sorella mia, ora che ti ho ritrovata, vedo la trama svelarsi. (...). Oggi ho riconosciuto una trama di luce. Mi sono svegliata quasi all’alba. Le farmacie erano chiuse e ho cercato quella di turno. Fretta: tanta da non aspettare. Le barrette, sai quelle del test? L’ho fatto due volte. E ho visto due linee rosa, nitide, delinearsi. Dritte con forza, come noi due, Barni. Io non ho mai avvertito tanta forza in un desiderio. Quella che sento oggi, che se tutto andrà bene avrò un figlio, figlio del mio futuro. Barni mia, io voglio che questo figlio nasca qui, terra mia madre di cui conosco risvolti della memoria, segreti della parola»10.

Il miglior consiglio che si può dare? Quello di prendersi del tempo per leggerlo e lasciarsi trasportare a fare un viaggio, al di là delle frontiere:

«Sedetevi, su! Rilassatevi. Gustate un bicchiere di tè alla menta. E soprattutto, mettevi comodi. Vi porto a fare un viaggio. Io mi sento, ora, la stessa età dei miei racconti… Vorrei dirvi il peso delle parole. Vorrei sfogarmi prima del grande sonno. Raccontare, è un nobile compito. Devo adempierlo con onore. Bisogna che i nostri figli e i nostri nipoti sappiano dove sono le loro radici, bisogna che se le portino in testa per poterle a loro volta comunicare. (...). Cammina, kebdì, viaggia, ma prendi, ti prego, cammini familiari alle mie carovane... Tu e io sulla stessa strada, i tuoi libri e i miei racconti uniti insieme. O, altrimenti, tu e i tuoi libri con questa gente e io che cammino nelle tue storie, in luoghi al di là degli odi e delle catene»11.

 

 

 

1 Maria Zambrano, Delirio e destino, 275

2 Assia Djebar è nata a Cherchell, in Algeria. Vive attualmente tra la Francia e gli Stati Uniti. Scrittrice francofona, regista e studiosa delle tradizioni musicali berbere, è oggi molto seguita dal pubblico italiano. Sono molte infatti le sue opere tradotte in italiano. Ne ricordiamo solo le principali: Donne d’Algeri nei loro appartamenti (Giunti, Firenze 2000); Nel buio della notte algerina (Giunti, Firenze 1998); Le notti di Strasburgo (Saggiatore, Milano 2000); Vasta è la prigione (Bompiani Milano 2001)

3 Assia Djebar, Queste voci che mi assediano, Saggiatore, Milano 2004, 13;18

4 Faiza Guène, Kif kif domani, Mondadori Milano 2005: l’autrice è francese, figlia di immigrati algerini ed è ancora studentessa: frequenta la facoltà di sociologia ed ha…vent’anni!

5 Pap Khouma, Editoriale, in El Ghibli, 0/2003 (©2003-2008 El-Ghibli.org: accesso 17/10/2008)

6 Cristina Ali Farah, Madre piccola, Frassinelli Cles (TN) 2007

7 Dalla presentazione in “Combonifem” 6/7(2008): Cristina Ali Farah, che ha pubblicato acnhe delle poesie nell’opera collettiva Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano (Le Lettere, 2006), redige quest’anno una delle rubriche,a  punto, della rivista Combinifem

8 Cfr. www.fieralibro.it [accesso: 17/10/2008]

9 Ibidem

10 Cristina Ali Farah, Madre piccola, 134-135

11 Malika Mokkedem, Gente in cammino, Giunti. Firenze 1994, 9; 276-7.