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Tempo non cronologico: i marittimi (G.Martino)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/08


 

La vita del marittimo si divide in due tempi fondamentali: la vita passata a bordo della nave ed il tempo dello sbarco trascorso in famiglia.

Vorrei sottolineare come, proprio questo altalenarsi di diversi periodi con diverse gestioni, non consenta alla gente di mare di acquisire una gestione veramente autonoma del tempo “non lavorativo”.

A bordo della nave non esistono sabati, domeniche, feste, ferie o altro. Se un marittimo si ammala per un periodo superiore ai tre/cinque giorni deve sbarcare per curarsi in quanto occupa un posto vitale che, non essendo operativo, non gli compete.

Il lavoro scandisce le giornate. Gli ufficiali fanno, in coperta e in macchina (a bordo delle navi passeggeri anche i commissari di bordo), i turni di guardia, di giorno e di notte. Le altre mansioni e cariche seguono invece il loro ritmo facendo sì che la manutenzione ordinaria e straordinaria della nave sia assicurata insieme ai pasti e alla pulizia degli ambienti domestici.

Durante la navigazione il ritmo lavorativo è sicuramente molto stressante, ma consente di impostare, insieme alla fatica, anche una certa ordinarietà di tempi e di gesti che permette al marittimo di organizzarsi la giornata ed i periodi di riposo. Anche se molte leggi internazionali non consentono di lavorare oltre le 11 ore, la media lavorativa supera abbondantemente questo limite legislativo.

Il problema è anche di carattere psicologico. Oltre a mangiare dormire e lavorare, normalmente almeno sulle navi da carico che sono la stragrande maggioranza, non vengono offerti altri stimoli né intellettuali né per l’attività fisica. Non rimane dunque che lavorare per non annoiarsi.

Esistono molte organizzazioni che hanno promosso, in accordo con la convenzione ILO 163, un miglior trattamento e stimolo della gente di mare quando è a bordo della propria nave. Vengono suggerite diverse attività a cominciare dalla lettura, ad una buona videoteca, ad una piccola palestrina, sino alla organizzazione stessa di piccoli gruppi culturali e comunque spazi di discussione che consentano la crescita individuale e la coesione di tutto l’equipaggio.

Tempo per la riflessione meditativa e lo svago

Alcuni, forse ancora troppo pochi, marittimi sono veri e propri testimoni della loro Fede. Attraverso strumenti semplici come il Rosario, il Vangelo e aiutando le altre persone dell’equipaggio a ricordarsi dei ritmi “di terra” e cioè delle domeniche e delle festività religiose, promuovono un tempo dedicato alla meditazione e alla preghiera sia personale che comunitaria.

La dimensione religiosa del marittimo è interamente lasciata all’iniziativa del singolo che trova, qualche volta, un supporto dai volontari della Stella Maris e dai cappellani del mare. Esistono, fra gli equipaggi, ministri straordinari dell’Eucarestia che viaggiano con i permessi ecclesiastici tradotti in varie lingue per, quindi, poter portare il Santissimo Sacramento a bordo delle loro navi trasformando, magari, una cabina in una vera e propria Cappella. La religiosità sulle navi è alquanto diffusa e praticata con grande senso di rispetto e di stima reciproca tra le varie fedi. La quasi totale assenza di mezzi multimediali, di “predicatori fanatici”, di coinvolgimento della vita pubblica e politica in quella religiosa consente un vero e proprio dialogo interreligioso oltre che ecumenico.

Quando, poi, la nave attracca nei porti la quotidianità del lavoro, delle abitudini di tutto l’equipaggio e, soprattutto, quella personale devono adattarsi alle esigenze degli operatori portuali. Su una sosta media di 8/10 ore il tempo per la libera uscita, ma impossibile per tutti, non è mai più di due o tre ore. Le nuove norme antiterrorismo hanno complicato sia burocraticamente che logisticamente la possibilità di uscire dalla nave, e raggiungere la città o una Chiesa o un supermercato o un centro sportivo. Queste limitazioni obbligano gli equipaggi ad una sosta forzata a bordo di quella nave che è stata la loro casa per lunghi mesi pur avendo del tempo libero da impiegare. Queste condizioni incidono pesantemente creando un senso di maggiore frustrazione e diversità da parte del “popolo di terra”.

L’intervento dei volontari della Stella Maris, quando una nave si trova nei porti, è sempre rispettoso delle tempistiche di questi equipaggi costretti ugualmente, anche se con la nave attraccata a terra, a lavorare. Nei corsi di formazione spesso parliamo di una “pastorale in cinque minuti” nella quale tentiamo di creare un aggancio, un ponte di normalità tra la nave della terra, tra gli equipaggi delle loro famiglie. La semplice telefonata veicolata attraverso i volontari piuttosto che il Vangelo o il rosario donato con gioia o meglio ancora la preghiera del “Padre Nostro” comunemente accettata e gradita dai componenti di tutte le religioni del mondo sono motivo di distensione, di comunione e segno di vera fratellanza fra i componenti dell’equipaggio stessi delle nostre Chiese locali che li accolgono.

Sulle navi passeggeri, che imbarcano in modo permanente un cappellano di bordo attraverso l’ufficio per la pastorale marittima, esiste un riferimento generico al benessere degli equipaggi ed uno specifico all’uomo di Dio, il sacerdote cattolico. Questa bella figura di “ufficiale al welfare e cappellano di bordo” ha proprio il compito di organizzare o meglio di animare ogni momento della vita dell’equipaggio che non sia scandito dagli orari lavorativi. Questo consente al Cappellano di bordo di essere il perno di ogni attività extra lavorativa ed il riferimento di quanti neppure ne conoscono la dimensione religiosa ed ecclesiale. E come nei collaudatissimi oratori di Don Bosco che il sacerdote, facendosi interprete del “tempo libero” dei suoi marittimi, anche attraverso attività ludiche, sportive o di intrattenimento genera un contatto personale ed individuale con ognuno dei 1.300 membri di questi numerosissimi equipaggi composti fino a 50 diverse nazionalità.

I tempi dell’accoglienza

Il marittimo vive perennemente la dicotomia che lo tiene sospeso tra la vita di bordo e quella a terra. Quando sta sulla nave pensa costantemente alla sua famiglia e non vede l’ora di sbarcare per rinfrancarsi, riposarsi e godere finalmente degli affetti dei suoi cari. Quando, però, si ritrova finalmente in famiglia non riesce a riprendere i ritmi della quotidianità dei suoi familiari e ripensa con nostalgia alla vita lavorativa, si sente inutile e passa il tempo che gli rimane senza saperlo impiegare perché qualunque impegno volesse affrontare non avrebbe mai la possibilità di portarlo a termine. Ogni due mesi il marittimo italiano imbarca per altri cinque mesi mentre quello straniero per altri dodici.

La vita a terra è una vita scandita dai ritmi delle stagioni, dagli impegni scolastici e dalle festività civili e religiose. I volontari, normalmente, nelle nostre parrocchie si impegnano da settembre a giugno e lasciano poi ogni loro attività nel periodo estivo. Per quanti lavorano si cerca di concentrare gli impegni nel weekend. Nessuno ha mai pensato di strutturare un impegno “a misura di marittimo”.

L’abbonamento alla palestra è annuale o stagionale, l’impegno in parrocchia è di poche ore una o due volte alla settimana ma per tutto il periodo scolastico. Il volontariato non si può fare due mesi sì e dieci mesi no: o ci si impegna con continuità oppure risulta inutile ogni sforzo, non bisogna cominciare ciò che non si può portare a termine. Davvero questa è la condizione psicologica del marittimo di fronte ai vari impegni che gli si prospettano, inclusi quelli familiari.

La posizione del marittimo di fronte al tempo libero è dunque quella di chi sta sulla difesa, di chi non sa se e come verrà accettato, di chi, dopo aver tentato diverse esperienze, vive disilluso ed incapace di trovare una sua collocazione sia nella sua vita familiare che in quella di bordo che in quella parrocchiale o dovunque gli venga richiesto di professare la propria fede. Ancora una volta ritorna il significato dell’accoglienza della gente di mare nei molti porti italiani. Un’accoglienza di una Chiesa che sa farsi prossima con discrezione, senza differenze di cultura, razza, lingua, popolo o religione. Un’accoglienza che, anche solo per un attimo, vuole diventare appunto un “ponte” tra il mare e la terra per chi lavora e chi è rimasto a casa ad aspettare, da una Chiesa nascosta che solca i sette mari e le nostre chiese territoriali.

Tempo libero? Forse il tempo meglio usato dal marittimo è quello speso ad ammirare meditabondo gli orizzonti tra acqua e cielo. Spesso si sorprende un uomo di mare intento a perdere lo sguardo nell’orizzonte, nella contemplazione delle opere di Dio, nella ricerca di una meta che non conosce o meglio ancora nell’adorazione di chi piccolo e impotente ammira la grandezza del Creatore.