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La festa multiculturale, luogo di incontro tra i popoli? (L.Caffagnini)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/08


 

La festa parla di casa

La festa è un elemento particolarmente importante nella vita delle persone che migrano, perché custodisce i colori, i sapori, la lingua, i suoni della propria terra. è una porzione di casa che viaggia per il mondo insieme a chi ha lasciato alle spalle affetti custoditi nell’intimo. Le comunità immigrate che vivono in Italia ci mostrano l’esistenza di feste e feste: ricorrenze religiose che segnano l’anno liturgico delle comunità confessionali, feste patronali, giornate che fanno memoria dell’indipendenza raggiunta da Paesi già colonizzati, a cui intervengono come ospiti alcune autorità; feste che sottolineano una fase della vita delle persone, festival artistici finalizzati alla conoscenza della cultura di un popolo, ma ci sono anche altri eventi che assumono il tono della festa: tornei sportivi, sfilate di moda, spettacoli di danze, concerti.

Tra le ricorrenze religiose che recentemente gli italiani autoctoni hanno iniziato a conoscere c’è Aid Al Fitr, la festa che attraverso la rottura del digiuno segna la fine del mese di Ramadan. Il numero crescente di musulmani e musulmane che vivono oggi in Italia e la curiosità che le loro tradizioni solleticano, fanno sì che se ne parli sempre di più sui giornali o nei programmi televisivi, ma spesso senza adeguati approfondimenti e limitandosi al risvolto folcloristico. Una spia della superficialità dell’approccio è la diffidenza “dei giorni feriali” che permane ancora verso l’universo dell’Islam, accompagnandosi sempre di più, soprattutto nel nord est, ad atteggiamenti e atti amministrativi che ledono la libertà di culto, già limitata dall’assenza di una legge sulla libertà religiosa.

Tra le feste religiose si trovano spesso citate e rappresentate sui giornali anche la Pasqua ortodossa, celebrata secondo il calendario giuliano, e caratterizzata da una molteplicità di tradizioni frutto della varietà di nazioni in cui l’Ortodossia è diffusa, o feste devozionali come quella del Senor de los milagros (il Signore dei miracoli) celebrata dalle comunità peruviane, il cui forte risvolto folcloristico attira l’attenzione di tanti. Le maggiori feste cristiane, patrimonio comune delle diverse confessioni, suscitano un processo di riconoscimento; al contempo i modi diversi nel celebrarle e le molteplici tradizioni a cui sono legate, sollecitano la meraviglia e possono favorire il desiderio di approfondirne la conoscenza.

La festa, religiosa o laica, è un luogo di riunione delle comunità in diaspora che si ritagliano uno spazio in cui continuare a comunicare attraverso la propria lingua, con il pericolo di chiudersi in se stesse, ma può diventare anche un canale di comunicazione tra vecchi e nuovi cittadini, tra credenti di diverse fedi. Come sta succedendo negli ultimi anni in cui gruppi famigliari o comunità di fede condividono i festeggiamenti di date importanti del calendario religioso, visitandosi nelle proprie case o nei luoghi di culto, come il Natale o la fine del Ramadan. Questa pratica si sta diffondendo attualmente nell’ambito del dialogo cristiano-islamico, ma da anni in alcune città a feste ebraiche come Pesach o Sukkot amici e amiche delle comunità, in dialogo da anni, vengono invitati a partecipare alla festa che diventa un  modo per approfondire la conoscenza delle espressioni di fede e delle tradizioni, ed è una delle vie più naturali per fare dialogo interreligioso o ecumenico.

I festival, pensati per continenti, o espressione della cultura di un Paese in particolare, mostrano la volontà degli immigrati riuniti in gruppi o associazioni nazionali o internazionali di dichiararsi, esplicitano il loro bisogno di vedere riconosciuta la propria identità che fatica a emergere dietro la maschera imposta loro: il migrante come alieno, forza lavoro, o delinquente.

La festa cerca casa

Parlando della festa occorre osservare anche quanti e quali spazi nelle nostre città sono messi a disposizione delle comunità immigrate che desiderano riunirsi: ancora pochi, nonostante ormai siano trascorsi quarant’anni dall’arrivo in Italia dei primi immigrati, originariamente studenti, e in un secondo tempo migranti economici, oltre che persone in fuga da situazioni di miseria e di guerra. In genere le prime ospitalità ai gruppi sono state accordate da parrocchie o congregazioni religiose, e in questi locali sono nate le prime feste dei popoli, progenitrici delle feste multiculturali o multietniche, anche su iniziativa o con l’appoggio di parroci diocesani impegnati nel settore della carità, oppure nella pastorale delle migrazioni o missionaria. Gli ospiti sono sempre stati, prevalentemente, appartenenti a gruppi cristiani, e non necessariamente cattolici, ma si è verificato anche il caso di qualche parrocchia che ha ospitato nei suoi locali credenti musulmani, recentemente non senza destare critiche da una certa parte politica che ha espresso le sue lamentele ai vertici diocesani.

Le amministrazioni comunali, a parte qualche eccezione, faticano a mettere a disposizione i loro locali: quando ciò non è dovuto a mancanza di sensibilità dipende anche da un fenomeno di contrazione degli spazi pubblici dovuti a politiche di dismissione del patrimonio immobiliare comunale per far fronte a spese sempre più ingenti della macchina amministrativa. Succede così che l’ospitalità venga ricercata nelle realtà del volontariato e dell’associazionismo, e la risposta a un bisogno diventa il modo per creare rapporti di conoscenza e di collaborazione da cui possono nascere nuove storie.

Dalla Festa dei popoli alla Festa multiculturale: il laboratorio parmense

Prendiamo ora in esame due esperienze locali, la prima a vita breve ma che costituì il primo esempio nella provincia di Parma di una manifestazione che coinvolse migranti di diversi continenti. Parliamo dall’esperienza di Ozzano Taro, un paese della pedemontana parmense. Alla fine degli anni ’80 il parroco, che svolge anche il ruolo di Direttore della Caritas, s’inventa una Festa dei popoli per offrire un momento di ritrovo in una parrocchia che ha a disposizione tre campi sportivi e servizi collegati. La collaborazione tra volontari della Caritas, parrocchiani e missionari saveriani porta alla realizzazione di una settimana di incontri, partite di calcio, spettacoli, cucina. «C’erano credenti cristiani, musulmani e buddisti  - ricorda don Franco Minardi -. Ogni gruppo nazionale esprimeva frammenti della propria cultura attraverso la recitazione e la cucina. Il pubblico era composto da italiani e immigrati che stavano a tavola insieme. Avevamo coinvolto anche il Vescovo di Parma, Benito Cocchi, che celebrava la Messa mentre in un campo i buddisti giocavano a calcio, e due Vescovi cattolici africani. Fu una bella esperienza di integrazione. Alcuni di questi ragazzi poi trovarono lavoro nelle industrie della zona». La Festa dei popoli, un’iniziativa nata e svoltasi nella spontaneità si ripetè fino al 1990 ma cessò quando, per motivi di salute, il prete dovette lasciare l’incarico diocesano.

A pochi chilometri di distanza, sette anni più tardi, nasce la Festa multiculturale. La manifestazione è ideata a Parma ma trova ospitalità nella cittadina di Collecchio, in un parco pubblico offerto da un Comune con amministratori sensibili alla questione immigrazione e culture. Nuova nella denominazione, ma non nell’idea, la Festa si ispira anche a una piccola esperienza multiculturale precedente legata alla marcia Genova-Assisi del 1992, quinto centenario della conquista dell’America. L’iniziativa, di cui quest’anno si è svolta la XII edizione, è ideata da un gruppo di obiettori di coscienza che avevano conosciuto le realtà immigrate parmensi e nel 2004 fondano un’associazione di associazioni, Forum Solidarietà, che dal 1997 gestirà il Centro di servizi per il volontariato per la provincia di Parma. La Festa esordisce lo stesso anno: è un progetto che parla di immigrazione, si rivolge a indigeni e immigrati e da questi ultimi, già organizzati in gruppi, chiede e offre partecipazione. Gli elementi della Festa costanti nel tempo sono la cucina multietnica - gestita dalle comunità immigrate o in collaborazione, che sposa tortelli d’erbetta e cous cous, spiedini e kebab; gli spettacoli - concerti, danze etniche, video -, i banchetti commerciali con prodotti del mondo, a partire da quelli equo-solidali; stand di informazione sulle associazioni e sulle comunità immigrate; spazi di discussione su diverse tematiche: dalle migrazioni, ai diritti umani, alla pace, all’ecologia. Partita un po’ in sordina e svolta in un solo fine-settimana, mentre oggi copre due week-end, ben presto la Festa inizia ad attirare un pubblico allargato grazie al frizzante clima che esprime, alla sua offerta culinaria e artistica, fino a raggiungere migliaia di presenze. Mentre gli immigrati partecipano vivacemente allo svolgimento della Festa, faticano a entrare nell’organizzazione e a offrire il loro apporto. Il coordinamento che li coinvolge, denominato Associazione degli immigrati di Parma e provincia, subisce progressivamente un indebolimento, mentre crescono le singole identità nazionali. C’è da notare che  il modulo della Festa è stato pensato da italiani, e le prospettive con cui la manifestazione viene affrontata sono un po’ diverse. “Alle associazioni promotrici della Festa - rileva Giacomo Truffelli di Forum Solidarietà -, sta a cuore la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla multiculturalità, le comunità esprimono bisogni e problemi più concreti, sono focalizzati sulle dinamiche interne, inoltre non si è ancora abituati a lavorare insieme. La Festa era sentita dai migranti come una festa degli italiani. Col tempo le cose sono un po’ cambiate. Noi ci siamo un po’ decolonizzati, le comunità esprimono maggiormente il loro rapporto con il territorio, si pongono la questione culturale”. La Festa multiculturale realizza un incontro tra i popoli anche oltre quei due week-end all’anno tra giugno e luglio dal Parco Nevicati? “In situazione l’impatto sul pubblico è forte. Tra gli organizzatori si sono instaurati legami, cresce la fiducia e nascono collaborazioni tra associazioni e comunità”. è difficile fare una valutazione più estesa, se non osservare che anno dopo anno i partecipanti aumentano, così come i quintali di tortelli e cous cous cucinati.

Un mese di festa: l’Ottobre africano

Concludiamo questa ricerca sulle feste con un’esperienza nata anch’essa nel laboratorio multietnico di Parma, otto anni fa. L’Ottobre africano è frutto di un percorso che vede dal 2000 tre amici del Burkina Faso, Rwanda e Senegal, denominatisi Le Reseau (la rete), organizzare occasionalmente incontri di musica e poesia, african party, mostre fotografiche. Inizialmente solo con le proprie energie, poi con la collaborazione di nuovi aderenti al gruppo, infine con il patrocinio e la sponsorizzazione dell’amministrazione comunale che ha portato nel 2003 alla nascita di un evento annuale a tema che si svolge in ottobre proponendo proiezioni cinematografiche, letture poetiche, musica, presentazione di libri, conferenze e cucina africana. Giunto alla sesta edizione, sul tema “Migrazione, identità, culture”, l’Ottobre africano conta oggi il sostegno di diversi enti locali, aziende, ed è organizzato da Le Reseau insieme a diverse comunità africane.

Nell’organizzare il Festival, Cleophas Dioma ha realizzato quello che non trovava in una festa organizzata da italiani, alla quale ha continuato a partecipare, pur a momenti alterni: “un lavorare con, invece che un lavorare per; una maggiore assunzione di responsabilità, un confronto più forte, una maggiore attenzione alla cultura”. All’evento itinerante tra locali, biblioteche, teatri, librerie, aule universitarie, che ha avuto come tappa anche una visita delle comunità in municipio, la gente si incontra, si incuriosisce, assaggia cibi. C’è chi diventa ospite fisso anno dopo anno, chi non si fa più vedere, chi non sapeva niente dell’Africa e poi si è fatto due viaggi. “Lavorare al progetto ha unito le comunità di Eritrea, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Camerun, Burkina Faso, ed è stato un pretesto per fare gruppo”. E ha portato alla redazione di una lettera aperta alla città - nei giorni della vicenda che ha coinvolto un giovane ghanese fermato da una pattuglia di vigili municipali -, in cui dieci comunità africane di Parma si rifiutano di “essere il capro espiatorio di situazioni di disagio della società italiana non imputabili alla nostra immigrazione” e si presentano per sfatare gli intramontabili luoghi comuni sugli immigrati. Tra le iniziative che citano come mezzi per far conoscere la loro cultura figurano l’Ottobre africano e le feste multiculturali.