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Il tempo: invisibile nastro trasportatore della nostra esistenza (S.Ridolfi)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/08


 

Quando nel Consiglio di Redazione della nostra rivista abbiamo discusso sul presente numero dedicato al tempo - e inizialmente si pensava semplicemente al suo uso nel mondo della mobilità - ci siamo accorti ben presto dell’ampiezza e complessità del tema da noi scelto: tempo vissuto e tempo sperato, tempo donato e tempo negato, tempo calcolato e tempo percepito; valutazione diversa e uso diverso del tempo; passato - presente - futuro... Cos’è in definitiva il tempo? è denaro, vita, kairós...? E a cosa serve? Donde un tipo di “discernimento”. E fin dove ci appartiene? ... questo attimo fuggente...

Insomma, la discussione, per affascinante che fosse, ci ha fatto comprendere i molti limiti ed i tanti aspetti di questa dimensione umana in cui tutti siamo avvolti.

Ed è stato spontaneo il riferimento ad un grande esploratore dell’animo umano, S. Agostino, che a questa problematica dedica praticamente tutto il libro XI delle sue Confessioni. E che al cap. XIV così risponde alla domanda “cos’è il tempo?”: “Se uno me lo domanda, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più”.

Senza addentrarci troppo in così pur invitanti considerazioni filosofico-psicologiche, alcuni punti fermi cerchiamo di tenerli possibilmente ben chiari.

Primo: è proprio di noi creature, con particolare riferimento agli uomini, di non poter esistere se non nelle condizionanti coordinate dello spazio e del tempo.

Secondo: il valore tempo è una nostra necessaria categoria mentale che ha un riscontro oggettivo nel movimento o mutamento che esiste in natura. Lo stesso S. Agostino dopo l’affermazione citata prosegue affermando di sapere con sicurezza almeno quanto segue: “Se nulla passasse non esisterebbe il tempo passato e se nulla arrivasse non esisterebbe il tempo futuro e se nulla fosse non esisterebbe il tempo presente...”. E con questo ha aperto la strada alla concisa definizione che ne dà il grande sistematizzatore S. Tommaso che definisce il tempo  “misura del cambiamento sulla base di un prima e di un poi”.

Terzo: ma è appunto la forte componente soggettiva del tempo a darne il significato esistenziale legato alla esperienza personale e/o collettiva (un’ora di malattia è immensamente più lunga di una giornata tra amici; il momento di una conquista supera la fatica di secoli di ricerca e via dicendo).

Quarto: interviene a questo punto il progetto divino, il suo irrompere nella storia dell’uomo, fondamentalmente con Gesù di Nazareth, per dare un senso nuovo e pieno a tutto, il dono (kairós) per una pienezza (pleroma).

Quinto: in questo quadro universale e infinito di salvezza e di senso si muovono le singole e collettive esperienze umane, tutte rispettabili e complementari, da non misurare però con “l’efficienza”, ma da valutare per il “senso” che hanno o che danno.

In questa luce vanno lette e vogliono muoversi le riflessioni riportate in questo numero della rivista, che ci presentano ottiche diverse e complementari sul tempo, sul suo significato ed uso e la cui importanza e valore stanno nella maggiore o minore realizzazione della persona umana nella sua specifica e intangibile dignità, nella inalienabilità dei comuni diritti e doveri fondamentali e nelle sue connaturali e profonde esigenze interiori, ivi compreso il bisogno della esperienza del divino.