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Intervista a P.Atanasio, decano dei missionari per gli italiani in Australia (S:Ridolfi)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 3/08


 

Proseguiamo nel progetto di recuperare “memorie” di sacerdoti di emigrazione (SM 5/06 don E. Di Pasquale; SM 1/07 p. Peter Rofrano; SM 4/07 don A. Cazzetta) perché sono esperienze consolidate che non devono andare perdute. Questa volta è la XXIII Giornata Mondiale della Gioventù ad offrircene l’opportunità facendoci incontrare con il “decano dei missionari italiani di emigrazione” in Australia, fra Atanasio Gonelli, francescano cappuccino a Sydney.

Alcune note biografiche:

- P. Atanasio Gonelli, frate francescano cappuccino

- Classe 1923; toscano da Comano (Massa Carrara)

- Nel 1938 inizia il noviziato con i frati minori cappuccini

- Nel 1947 viene ordinato sacerdote

- Nel gennaio 1950 viene inviato in Australia.

Abbiamo incontrato piuttosto in fretta tra una Messa e la cena questo conosciutissimo frate cappuccino p. Atanasio Gonelli nella sua sede, la parrocchia St. Fiacre in Leichhardt di Sydney, l’11 luglio nel fervore appunto della “Giornata Mondiale della Gioventù” (GMG) con le aule della parrocchia “sequestrate” gioiosamente da “giovani pellegrini”.

P. Atanasio porta bene i 85 anni, è sempre disponibile e sorridente, guida ancora senza problemi la sua auto, è tuttora attivo nel ministero emigranti.

è stato un piacere intessere con lui un colloquio, in buona parte storico, cioè fatto di rimembranze, ma anche programmatico per lo sguardo rivolto alle giovani generazioni.

P. Atanasio, come le è nata questa vocazione di venire così lontano dall’Italia ad assistere i nostri emigrati?

Casualmente, quando nel 1947 me ne venne fatto proposta dal nostro Superiore, il Provinciale della Provincia Cappuccina di Parma. La Provincia aveva già inviato in Australia 8 frati a prendere il testimone dai cappuccini italo-americani venuti in questo paese su invito sia del Nunzio Apostolico, sia dell’Arcivescovo di Brisbane nel 1945. E fu precisamente Mons. La Rosa, impegnato in Nunziatura e che già stava interessandosi degli italiani- i non molti residenti e gli ancor più prigionieri- ad insistere per una continuità in questa assistenza morale e pastorale.

I primi tre cappuccini italiani vennero qui da Parma nel 1947. A questi se ne aggiungeranno altri quattro, tra cui io, alla fine del 1949. Di fatto venni in Australia nel gennaio 1950. E così sono divenuto il più anziano dei sacerdoti italiani ancora oggi residenti ed attivi in Australia. E pensare che a mia mamma, che mi chiedeva se l’avessi seguita in questo paese dove già si trovava mio padre, avevo detto che non sarebbe stato il caso!

Perché? La Sua famiglia è forse coinvolta con l’emigrazione?

Eccome! E non solo la mia famiglia, bensì tutto il nostro piccolo e povero paese di Comano in quel di Massa Carrara è stato un paese di emigranti, verso le Americhe sia del Nord sia del Sud in modo prevalente. Mio nonno materno Carlo Maloni venne in Australia, a Shepparton nel Victoria, già nel 1987. Rientrò poi in Italia per un breve periodo per ripartire verso l’Australia nel 1902. Mio babbo a sua volta voleva andare in Abissinia (attuale Etiopia) ad Harar nel 1937. Ma siccome non aveva la tessera del partito fascista non ne ottenne il permesso e allora si diresse, lui solo, in Australia, a Melbourne sempre nel Victoria  presso parenti. Là lo raggiunse un figlio nel 1948 e l’anno successivo l’altro figlio e mamma Ida. E infine, come detto, arriva anche il figlio frate. Tutti i tre figli, nati in periodi diversi, nei vari rientri di mio padre dall’emigrazione.

Una emigrazione, quindi, con la famiglia del sangue e anche con quella dello spirito, la famiglia cappuccina, per mettersi al servizio di altri emigrati in questo “nuovissimo mondo”: come era la situazione allora di questi emigrati? Restano ancora altri cappuccini della prima ora?

Se pur successivamente a me, altri cappuccini italiani vantano una lunga presenza in Australia: fra Luciano Rocchi (Hawthorn, Victoria), fra Francesco Merlino (Wynnum Central, Queensland), fra Felice De Candia (Newton, South Australia), tutti esperti di quella prima emigrazione italiana che veniva qui, ignara della lingua e delle condizioni di lavoro, ma con grandi speranze e tanta voglia di lavorare e bisogno di stare insieme. I primi si sono raggruppati qui a Wooloomooloo e Darlin Ghurst, verso la cattedrale, a Surrey Hill, e poi si sono concentrati nella zona di Leichhardt, formandovi un po’ alla volta “la piccola Italia”, favoriti dal fatto che una agenzia immobiliare aveva iniziato a vendere case agli italiani in questa zona. Pensi che in una sola strada si contavano ben 93 famiglie italiane. Gente semplice, povera, non di rado analfabeta, ma di buon cuore ed anche di tanta fede: le mamme pregavano molto. Le Messe venivano celebrate nei vari luoghi di concentrazione italiana fino a grandi distanze, anche 650 km: una volta al mese a New Castle, Scone e via dicendo. Allora non c’era presenza né assistenza di Consolato o di altri enti assistenziali italiani.

L’ACI decolla in parrocchia nel 1951. E già l’anno successivo al Congresso Eucaristico Internazionale di Sydney circa 400 ragazze e ragazzi di ACI sfilavano in processione.

Da dove venivano e cosa facevano i primi emigrati italiani?

Negli anni ’50-’60 i lavori molto pesanti ed umili degli uomini (pensate ai tagliatori di canna da zucchero nel Queensland!) mettevano a dura prova la loro resistenza fisica e morale, tanto che abbiamo dovuto registrare anche suicidi di persone che avevano venduto tutto e realizzato nulla. è nota la rivolta di Bonegilla vicina ad Albury, nei confini tra Galles del Sud e Victoria, il campo di accoglienza dove erano ammassati oltre un migliaio di italiani, senza prospettive di un lavoro. Marciarono insieme dal campo alla città e il Governo rispose con i carri armati! Credo sia stata la manifestazione di protesta più forte e di massa mai vista.

Le donne lavoravano nelle fabbriche, nelle maglierie, dividendosi tra lavoro e figli.

Poi diversi gruppi regionali presero un indirizzo a loro più congeniale: gli eoliani con il mercato della frutta, i friulani con il terrazzo, molti meridionali in agricoltura, tanti altri nei vigneti di Griffith. Nel tempo e con perseveranza la maggioranza riuscì a trovare una sistemazione decente, anzi ottima. Anche alcune grandi ditte italiane come la Transfield e la EPT (Electric Power Transmission) hanno svolto un buon servizio.

E quali sono stati i vostri strumenti, i metodi di assistenza spirituale agli italiani qui emigrati?

Come accennavo, la nostra pastorale consisteva soprattutto nell’accostamento personale. Noi andavamo dove erano gli italiani. In seguito sono stati loro a venire da noi. E per raggiungere periodicamente e con continuità anche i più lontani abbiamo fondato un periodico, La Fiamma, nel 1948, prima bimensile, poi settimanale, quindi bisettimanale e infine trisettimanale. Era un grosso impegno, ma molto utile e seguito. Negli anni d’oro abbiamo superato le trentamila copie. Poi quando si è reso necessario acquistare una tipografia, non avendone le forze, abbiamo ceduto il giornale ad un diretto collaboratore, il defunto sig. Costanzo, il quale a sua volta lo ha poi passato all’editore del nuovo giornale sorto a Melbourne, Il Globo. E così si sono unificate nella medesima proprietà le due testate italiane e sono cessati anche alcuni antagonismi. Durante la guerra veniva già pubblicato Il Risveglio, di tendenza comunista. Per una più globale e dettagliata informazione, dal 1959 fra Panciroli avviò la pubblicazione annuale di un “Almanacco” con i recapiti ed i riferimenti più importanti per la nostra gente. Altrimenti il nostro è stato un tipico servizio pastorale, predicazione e sacramenti soprattutto.

Avete anche assunto ed avviato forme di religiosità popolare?

Tante! La nostra gente, particolarmente, ma non soltanto dal meridione, molto legata alle native tradizioni paesane: processioni, novene, devozioni…E noi di Leichhardt abbiamo accettato, su pressione appunto della gente, di portare e di vivere qui, come possibile, le devote tradizioni popolari. Ed in questo tutti si sono resi molto attivi. Abbiamo quindi nel nostro calendario le devozioni popolari alla Madonna del Terzito e a S. Lucia (Isole Eolie), alla Madonna delle Grazie di Gallico, a S. Giovanni di Gerace, al SS. Crocifisso di Grotteria (Calabria), alla Madonna dei Martiri (Molfetta), a S. Gerardo della Maiella (Abruzzo), alla Madonna del Rosario e S. Bartolomeo (altre parti delle Isole Eolie), alla Madonna di Corsignano (Giovinazzo)… oltre ai molto invocati santi francescani, S. Francesco di Assisi e S. Antonio da Padova. Ora sta fortemente crescendo la devozione a S. Padre Pio da Pietrelcina con i suoi numerosi gruppi di preghiera.

Una spiegazione su questa residenza di assistenza pastorale: Saint Fiacre. Non sembra un nome italiano.

E difatti S. Fiacre è un santo irlandese. E dagli irlandesi abbiamo ereditato la parrocchia. è noto che sono stati gli irlandesi a impiantare qui le prime comunità cattoliche. Avevano tante vocazioni.

Questa parrocchia si trova in una felice posizione geografica per la comunità italiana come mostra anche l’attività sacramentale degli anni ’50-’60: quasi mille battesimi, 450 matrimoni, pochi funerali qui a Leichhardt. Ora la situazione è notevolmente mutata: 120 battesimi, 80-90 matrimoni e tanti funerali.

Stiamo vivendo una entusiasmante “Giornata Mondiale della Gioventù” ed è ovvio interrogarci sui giovani che sono il futuro delle nostre comunità.

è chiaro che ora nessuno o ben pochi lavoratori vengono dall’Italia, almeno di quegli emigrati che un tempo accettavano i lavori più umili e lavoravano così intensamente (anche di domenica) tanto da trascurare spesso la chiesa. Dagli anni ’70 abbiamo notato un calo di partecipazione giovanile. La seconda generazione si è rivelata subito diversamente interessata e rivolta più alla situazione locale che alle esperienze originarie dei genitori. Anche con la lingua italiana essi hanno spesso non poche difficoltà. Sopravvive invece in loro più a lungo il dialetto.

Occorre senz’altro inventare una appropriata pastorale giovanile in maggiore unione con la Chiesa locale, la quale per altro ha non pochi problemi con i propri giovani in un paese, come l’Australia di oggi, di tendenza secolarizzante e con il benessere e l’efficienza al centro degli interessi.

E infine, come sono stati i rapporti con la Chiesa locale?

C’è stata certamente all’inizio- e non è del tutto finita- una difficoltà di comprensione, per parecchi insormontabile, a causa della lingua, ma sostanzialmente anche per la mentalità.

Ancora oggi gli anziani preferiscono frequentare le numerose S. Messe italiane celebrate in varie chiese. Ed i giovani non sono stati agganciati. è una difficoltà da superare.

Forse gli attuali movimenti ecclesiali - neocatecumenali, carismatici, gruppi di P. Pio ecc. - riusciranno a unire maggiormente la nostra gente con le comunità locali.