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Formazione scolastica dei ragazzi Rom e Sinti (F.Schiavon)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/08


Sono due gli interventi autorevoli a proposito di Rom e Sinti agli inizi del 2008:

1. la Risoluzione del Parlamento europeo del 31 gennaio 2008 su una strategia europea per i Rom e Sinti;

2. le considerazioni del Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) del febbraio 2008.

Nel primo documento al numero 14 la Commissione “ribadisce che l’accesso a pari condizioni ad un’istruzione di qualità dovrebbe essere una priorità nell’ambito di una strategia europea per i Rom; sollecita la Commissione ad intensificare i suoi sforzi per finanziare e sostenere negli Stati membri azioni intese ad integrare i bambini rom sin dalla più tenera età nei sistemi di istruzione ordinari, esorta la Commissione a sostenere programmi che promuovano azioni positive a favore dei rom nella scuola secondaria e superiore, includendo la formazione professionale, l’istruzione degli adulti, l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e l’istruzione universitaria”.

Nel secondo Documento, al numero 20, il Comitato resta molto preoccupato per la bassa frequenza scolastica dei bambini Rom e raccomanda che lo Stato membro aumenti i suoi sforzi per favorire l’inclusione nel sistema scolastico di tutti i bambini di origine rom e che si proceda a migliorare il dialogo e la comunicazione tra insegnanti e bambini Rom, comunità Rom e genitori, anche tramite un maggior ricorso a insegnanti specializzati e mediatori scelti tra i Rom.

Questi due ultimi documenti ripropongono, ancora una volta alcune domande che Pinuccia Scaramuzzetti si poneva nella sua relazione al V Congresso della Pastorale per gli zingari a Budapest, in Ungheria nel 2001: “Perché in tutti i Paesi la scolarizzazione dei bambini che vivono nei “campi nomadi” non raggiunge risultati soddisfacenti? Perché i bambini rom vanno o non vanno a scuola? La famiglia considera la scuola un ambiente educativo?”.

Per cercare di rispondere a queste domande vorrei quindi dare ancora voce alla relazione di Budapest di Pinuccia Scaramuzzetti e riportare alcune parti del suo intervento. Purtroppo le sue riflessioni sono ancora attuali a giudicare dalle due esortazioni di organismi europei qui sopra riportate.

La scuola come spazio di contrattazione sociale

L’unica esperienza scolastica della maggior parte dei bambini Rom e Sinti che vivono nei campi registra una frequenza piuttosto saltuaria alla scuola elementare. L’approccio è faticosissimo e riproduce inconsapevolmente all’interno della scuola la conflittualità che esiste tra zingaro e non zingaro nel mondo degli adulti. L’educazione scolastica diventa, in molti casi, un tentativo di salvaguardare (cioè “salvare”) questi bambini, proponendo loro un modello educativo in competizione con quello familiare.

Carlotta Saletti Salza descrive molto bene la contraddizione esistente fra ambiente scolastico e ambiente domestico. Quello che in molti casi dalla famiglia rom viene riconosciuto rendere educativo l’ambiente scolastico, non sempre corrisponde a ciò che la scuola riconosce come occasione educativa. Lo sfasamento ambientale sarebbe allora evidente solo per il genitore che, date certe condizioni, permette al bambino di partecipare a qualcosa di educativo in un ambiente che di per sé educativo non è: educativa è la presenza dei fratelli maggiori o di altri bambini rom; la presenza dei ‘vecchi maestri’ che “guardano” i bambini; la presenza del mediatore culturale che controlla direttamente l’incolumità fisica del proprio figlio. Ultimo, ma non di certo meno importante, il ruolo di responsabilità del bambino assegnatogli dagli adulti e, quindi, la sua autorevolezza nel decidere se frequentare o meno l’ambiente scolastico.

Per la scuola questi non sono valori, ma disvalori. La scuola spesso evita di iscrivere più di un alunno “nomade” nella stessa classe o in una stessa attività didattica; dice al bambino che a scuola non deve parlare la sua lingua e gli evita l’apprendimento delle lingue straniere perché ritenuto inutile; nega l’identità familiare mentre accetta quella di comodo (ndr. cioè quella stereotipa); sollecita la frequenza regolare; lava i bambini perché devono essere puliti per raggiungere il fine dell’integrazione scolastica. Questa abitudine, comune nelle classi Lacio Drom, sembrava appartenere ai tempi passati, ma in qualche comune è ancora in uso.

Come fa notare Ana Gomes, negli anni ottanta la scuola nasce come uno spazio sociale di imposizione e di mobilità insieme. Ancora prima di avere il permesso di sosta al campo le famiglie rom e sinti avevano il permesso, se non l’obbligo, di mandare i propri figli a scuola e la scolarizzazione diventa vincolo, strumentale all’ottenimento del permesso di sosta nel campo.

La mediazione culturale

Il bambino rom o sinto se vede nella scuola una figura della quale riconosce l’appartenenza allo stesso suo ambiente vivrà con minore estraneità la sua vita scolastica e non potrà non avvertire l’autorevolezza di una persona che conosce la sua famiglia e le sue abitudini. Si sentirà d’altra parte tutelato verso quelle forme di discriminazione che possono sussistere anche nella scuola ed aiutato a comunicare il vissuto suo e della sua gente con quei mezzi e quella dignità che potrebbero renderlo comprensibile e ben accetto agli altri.

Un’indicazione del Consiglio di Europa sottolinea l’importanza della mediazione culturale, in particolare nel caso di bambini zingari. Occorre notare a questo proposito che la comunità aveva già provveduto a svolgere una funzione di difesa in questo senso. Il bambino verrà mandato a scuola quando è pronto; e per questo deve imparare qualcosa che gli permette di rimanere a scuola da solo. Molto spesso la responsabilità sui fratelli minori spetta ai fratelli o, se questi non ci sono, ai cugini o agli zii. Il genitore affida al bambino precisi compiti affinché a scuola si occupi del fratello: i primi giorni dovrà rimanere sempre con lui e se le maestre non li lasciano stare nella stessa classe dovrà periodicamente andare a controllare nella sua classe che tutto vada bene.

Progetti

Come in molti ambiti del sociale certi progetti sono affidati alle cooperative, così anche progetti educativi di supporto all’attività scolastica vengono affidati ad associazioni, cooperative, istituti che hanno una competenza generica nell’ambito dei minori, della devianza o dell’handicap. Non è raro che chi vince l’appalto non conosca affatto i rom e solo dopo aver avuto l’incarico cerchi di formarsi una veloce competenza. Per fortuna qualche volta il progetto nasce dalla conoscenza e dalla necessità.

Nel progetto della Direzione Didattica di Verona (1995) si legge: “Il bambino zingaro riceve nella sua famiglia l’educazione ad essere un vero e giusto zingaro. L’educatore scolastico spesso non ha conoscenza di dover proporre dei modelli che almeno non siano palesemente ostili a quelli della famiglia, atteggiamento che lo emarginerebbe in qualunque processo educativo”. Ma c’è qualche maestro/a che si preoccupi di essere emarginato? Spesso inoltre non trasmette agli altri alunni l’immagine del bimbo rom come appartenente ad altra cultura, ma semplicemente come un soggetto in situazione di difficoltà che deve imparare a diventare come loro. La conseguenza è che il rapporto viene vissuto nel migliore dei modi con “prudente diffidenza” da entrambe le parti e con la preoccupazione di limitarlo al minimo: minima frequenza, soprattutto per quello che riguarda la lunghezza curricolare da una parte, minimo interesse (non personale, ma istituzionale) dall’altra.

Fin qui le riflessione di Pinuccia Scaramuzzetti. Le esortazione rivolte nei due documenti citati all’inizio dell’articolo dimostrano come, a distanza di tempo, le cose non siano cambiate e che c’è ancora tanta strada da fare…