» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
Riflessioni pastorali di un Vescovo (G. Bonicelli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/08


L’Australia, si diceva una volta “continente nuovissimo”, confrontandolo col “nuovo” dell’America e col “vecchio” dell’Europa, Africa e Asia erano allora fuori gioco. Al di là della terminologia sarebbe anche logico chiedersi cosa ci sia di nuovo nella pastorale, cioè nelle tradizioni ed esperienze ecclesiali australi. Un problema di questo genere merita molto di più di qualche battuta, senza dire che sarebbe grottesco pensare di giudicare una realtà a dir poco composita dopo pochi giorni di permanenza sul posto. Quello che segue non va oltre una semplice proposta di riflessione. Potrebbe diventare un “aperitivo” per coloro che, un poco frettolosamente, visiteranno l’Australia in occasione delle “Giornate Mondiali dei Giovani” nel prossimo luglio 2008.

1. Primo rilievo: i cattolici. Sono molti in Australia coloro che si professano non credenti. Siamo ad una percentuale superiore a quella europea: il 15%. Ci sono poi i gruppi maggiori capeggiati dai cattolici (26%) che hanno doppiato gli anglicani rimasti per molto tempo i cristiani tipici del paese a causa delle vicissitudini storiche. Vicissitudini che oggi privilegiano i gruppi orientali. I musulmani sono, per ora, il 2%. Mentre i cattolici sono cresciuti e continuano a crescere. E anche per l’Australia l’effetto dell’emigrazione?

Quando gli inglesi, dopo la lunga parentesi che fece dell’ Australia la colonia penale dell’Impero, decisero di sviluppare un continente davvero privilegiato, vollero mantenerlo come espressione della cultura nordica europea: bianchi dunque e possibilmente protestanti. Le cose però non andavano avanti e la prima apertura fu agli irlandesi, nonostante questi fossero cattolici. Ma tutto andava a rilento. Negli anni Cinquanta si apre agli italiani, il cui gruppo etnico raggiunge oggi il milione di australiani. Sono bastati loro a far saltare gli equilibri confessionali, senza dire che la componente cattolica si è poi notevolmente rafforzata con l’apertura all’Asia, in particolare ai filippini, e poi all’America Latina.

Ho presieduto il 13 ottobre 2007 un pellegrinaggio di cattolici della regione di Sydney sul modulo di quelli tipici di Fatima di cui ricorreva proprio quel giorno il 90° dell’ultima apparizione. “Sono molti gli oriundi italiani” mi dissero per convincermi. “Venga”. Sono andato. In aperta campagna in una grande conca è stato costruito un Santuario alla Madonna di Czestochowa (i religiosi che lo curano sono i Paolini del Santuario polacco). Così bel bello c’erano 7-8 mila persone. Dopo la Messa tutti in corteo verso una grotta naturale. Sotto il baldacchino portavo il Santissimo, ma davanti c’erano diverse statue della Madonna di Fatima o di altre denominazioni. Mi pareva che anche il Signore sorridesse di queste “improprietà” liturgiche. Tutti a cantare, e tutti a pregare per un’ora. E quando prima del Tantum Ergo, in latino sia chiaro, feci il mio sermone, mi trovai davanti una folla variopinta di uomini e di donne dove agli italici e i nordici facevano compagnia migliaia di asiatici e di sudamericani. Senza dire che mi ci volle una buona mezz’ora a calcare quelle folle per tornare al Santuario. Tutti volevano una benedizione, toccarmi, present’armi una torma di bambini. Sconvolgente.

Bene, mi chiedevo: ma che tipo di cristiani avrà l’Australia?

2. Le Chiese locali con le loro cattedrali maiuscole, parrocchie, scuole, segretariati sociali sono coscienti di questo melting pot che si avvia ad essere il cattolicesimo australiano? Mi viene qualche dubbio, vedendo e ammirando l’ordine e il tono delle celebrazioni ufficiali. Tutto bene per quanti sono già integrati; ma e gli altri che si affacciano solo ora sulla scena? E successo anche per gli italiani.

Ho parlato con Vescovi e preti ineccepibili. Ma anche loro, e forse più di noi, sono frastornati del clima post-cristiano che va affermandosi. A Brisbane, magnifica città con il crisma di una modernità elegante, nelle guide e carte per i nuovi arrivati o per i turisti non ho trovato una indicazione per le cattedrali e per le chiese maggiori. Né tanto meno un richiamo alle componenti religiose che sono disponibili. Secolarizzazione perfetta, mi ha detto l’Arcivescovo. Solo che il “mercato delle idee”, se vogliamo chiamarlo così, non trova molte espressioni per rendere visibile una proposta religiosa e soprattutto cristiana.

Che cosa trovano i giovani?

Ho celebrato per gli italiani in una chiesa moderna. Un bel gruppo, veramente partecipante alla celebrazione con le risposte e i canti, come nelle migliori chiese italiane. Ma erano tutti anziani. L’emigrazione italiana si è bloccata agli anni Ottanta.

I figli, e ancora di più i nipoti, ce la faranno a non perdere il contatto con le tradizioni dei padri? La fretta di considerarli integrati solo perché parlano l’inglese e non l’italiano, favorisce la evangelizzazione o la tradisce? Problemi di questo genere si sono evidenziati anche in Europa e soprattutto in America. Mi chiedo se la Chiesa italiana ha fatto tutto il possibile, anche con iniziative unilaterali se necessario, come è successo con gruppi benemeriti di religiosi: scalabriniani, cappuccini, domenicani, salesiani ecc.

3. In questo contesto vanno collocate le iniziative per sensibilizzare la comunità italiana per aiutare i giovani italiani che giungeranno a Sydney. Sono due le piste: facilitare l’ospitalità sia in famiglie e club italiani che non mancano, o in istituzioni guidate da italiani. Secondo: preparare l’incontro dei giovani italiani oramai integrati in Australia e quelli che giungeranno dalla Penisola per l’occasione.

Sulla base dell’esperienza passata si prevede nel corso della settimana un “giorno degli italiani”, con un programma a parte. L’intento è evidente: far sentire il calore della terra in cui tutti riconoscono le proprie radici e arricchire tutti nello scambio di esperienze che toccano i valori, la cultura, la vita. Una forma originale di pastorale composita che può sostenere itinerari di grande impegno e una maggiore attenzione alla sensibilità specifica dei giovani.

A mio modo di vedere anche la vita pastorale australiana ne può beneficiare. C’è tanta gente, soprattutto giovani, che stanno a guardare. Se qualcuno stimolato anche da chi viene da fuori, si muoverà, qualche orizzonte nuovo si schiuderà. Mi pare che questo sia poi in definitiva il senso e lo scopo della Giornata Mondiale dei Giovani. Si tratta si una organizzazione che costa molto. Che sia almeno un investimento fecondo. Nel DNA delle migrazioni italiane non è mai mancata questa componente che oggi si aggiorna e si rinnova.