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I giovani e il mare (G. Martino)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/07


I marittimi sono giovani da sempre. Solo un giovane ha il coraggio di imbarcarsi lasciandosi tutto dietro alle spalle. Anche chi non ha il pane da mangiare, per se e la sua famiglia, affronta una vita così sacrificata ma anche questa necessità è tipica dei giovani, delle famiglie che non hanno niente e che non hanno altra possibilità. Giovane è anche il mondo che ruota attorno al trasporto via mare. Bisogna essere persone capaci di utilizzare le nuove tecnologie, conoscere i computers, viaggiare e parlare le lingue straniere. Il giovane è particolarmente fragile, dietro alla maschera della propria forza fisica e psicologica. Spesso questa parola “giovane” è sinonimo di acerbo, immaturo, incompleto, avventato o inesperto e spesso è vero. La giovane età media dei marittimi, però, non deve trarci in inganno. Essi sono persone maturate troppo presto, sono spesso “vecchi” nascosti da maschere di giovani visi. Sono “navigati” e provati da tante esperienze. Hanno rischiato la vita affrontando i mari, conoscono le lingue e le coste del mondo, hanno provato la solitudine e l’abbandono, hanno patito l’insicurezza di contratti che non valevano la carta su cui erano scritti. Sono però anche tanto umili. Non vantano la loro grande esperienza e non puntano il dito a giudicare le persone. Il marittimo si presenta così come è e questo affascina molto anche i giovani volontari che ad essi si dedicano.

Lo stesso Apostolato del Mare è molto giovane perché nasce ufficialmente nel 1957 sotto l’egida della Società dell’Apostolato della Preghiera. Nasce essenzialmente come un movimento di laici volontari diventando molto in breve un’organizzazione mondiale per la pastorale e il servizio sociale.

Laicato e gioventù sono sin dall’inizio la pietra miliare di questo apostolato perché anche i volontari erano spesso coetanei dei marittimi che spendevano un po’ del loro tempo per incontrarli e con loro pregare, scherzare conoscersi e ballare. Si, mentre nella mentalità cattolica il ballo era ancora una cosa disdicevole nei vari centri Stella Maris i cappellani e laici organizzavano le serate danzanti con gli equipaggi di passaggio.

Numerosi e di tante etnie sono ormai gli equipaggi che compongono lo staff di una nave. Sulle navi da crociera vi sono equipaggi di 1.500 persone divise tra i vari settori: coperta, macchina e camera; questi settori tradizionali della nave sono affiancati da numerosissime qualifiche da albergo o villaggio turistico. Gli equipaggi sono veramente simbolo di una globalizzazione del lavoro perché costituiti da razze e nazioni diverse poste fianco a fianco e con cultura, lingua, religione, usi alimentari e abitudini diverse. Si può capire perciò quanti e quali sono i problemi di convivenza, comprensione e armonia che genera il lavoro marittimo.

Il contatto con tutta questa umanità fa pensare, prima di tutto, alle famiglie che “orfane a tempo” mancano del papà, della mamma o di entrambi o magari dei figli stessi. L’azione di questo apostolato deve tendere con grande equilibrio su tre fronti: l’incontro del marittimo sulla nave, l’assistenza continuativa alla famiglia e la “promozione” dei testimoni a bordo. Dal Convegno di Houston di una dozzina di anni fa si è compreso come vadano sempre incoraggiati quanti vogliono prendere iniziative in questo senso. Tra questi giovani che vengono dalle parrocchie, dai gruppi di preghiera o dai movimenti ecclesiali è possibile scoprire la presenza di un militante cristiano, di un animatore, responsabile di un gruppo di preghiera a bordo, o di un gruppo di studio della Bibbia, oppure della celebrazione domenicale della liturgia. è importante individuare e sostenere queste “figure” a bordo coltivandole già negli Istituti Nautici, nelle scuole professionali, nei momenti di riposo a terra.

Questi testimoni della Fede (a volte ministri straordinari dell’Eucarestia) su qualunque nave si trovino, mancando la presenza del sacerdote, diventano segno efficace di quel Cristo che ha calmato le tempeste, ha camminato sulle acque e che nell’Eucaristia continua a restare sul mare insieme a questi uomini, forse dimenticati dagli altri uomini, ma non da Dio. Si comprende, dunque, che: o la Chiesa va incontro alla gente di mare o il marittimo rimane assolutamente solo nell’impossibilità fisica di avere qualsiasi contatto con l’istituzione, con la vita sacramentale ordinaria, con la vita comunitaria così ben organizzata per tutti gli altri fedeli.

I marittimi sono molto sensibili alla visita di qualcuno che comprenda i loro problemi, e certamente sono felici di accogliere il cappellano o i volontari che si recano a bordo a visitarli. In effetti, si possono apprendere molte cose parlando con i marittimi della loro vita, del loro impegno nella vita marittima internazionale, e soprattutto della costante preoccupazione per la famiglia lontana. Da parte loro, essi apprezzano l’opportunità di incontrare qualcuno che li metta al corrente degli ultimi avvenimenti nel mondo, soprattutto delle notizie del proprio paese.

P. Tom McDonough, che fu cappellano del porto di New Orleans per 30 anni, diceva che questo “è un apostolato che mette a dura prova le suole delle scarpe”. è vero che bisogna camminare molto per andare da una nave all’altra a cercare questo “gregge sperduto”.

Andare in mare come marittimi significa soffrire i più profondi disagi del migrante; comporta trascorrere anni della propria giovinezza in un ambiente innaturale, separato dalla terra ferma, lontani dagli affetti, membri di un raggruppamento molto ristretto e privo spesso di rapporti interpersonali; il che aumenta conseguentemente il senso di solitudine e di lontananza.

La separazione per lunghi periodi di tempo dalla patria, dalla comunità locale e dalla famiglia priva il marittimo del senso di appartenenza e causa ansietà. Quando è sposato si sente tagliato fuori dal corso normale della vita famigliare; non è mai presente nei momenti più significativi (battesimi, comunioni, matrimoni di familiari o amici, Capodanno, Natale...). La modernizzazione della gestione delle navi container e bulker (merce sciolta) comporta soste sempre più brevi nei porti, causando tempi pressoché nulli per lo svago, il contatto almeno telefonico con la famiglia ed il divertimento. “Bandiere di comodo”, o registri navali senza controllo, mirano ad associarsi con nazioni compiacenti che fanno molte meno domande riguardo agli standard di sicurezza, alle regole di ingaggio, di tirocinio e salariali rispetto alle tradizionali nazioni “di navigazione”. Dando la priorità alla politica dei costi, per le compagnie di navigazione e gli armatori è sempre più allettante la prospettiva di cambiare bandiera (to flag out), ossia registrarsi sotto una bandiera di comodo o in un registro navale senza controllo (open register). Per i marittimi ciò significa condizioni di lavoro più dure, salari più bassi e minori diritti, quantunque ciò non sia una regola assoluta.

Da tempo si lavora con le fasce più giovani per sensibilizzare le città che hanno un porto almeno ad accorgersi che per la loro città transitano decine di migliaia di questi “cittadini ad ore”. Si vuole incrementare l’inserimento nel normale itinerario scolastico con un percorso di conoscenza , informazione e divulgazione di un mondo così vicino alla realtà territoriale, da non essere quasi “ visto”.Vuole essere un modo gioioso e divertente per raccontare un mondo di invisibili, che ogni giorno si fermano per poco nei nostri porti, portando con sé, non solo il proprio bagaglio di umanità, ma tutta una serie di bisogni ai quali i tanti volontari in Italia e nel mondo cercano di dare una soluzione e un appoggio. Inoltre, si cerca di condurre i bambini verso importanti riflessioni, in maniera semplice, ma al contempo, efficace; vuole tuttavia lasciare spazio e consentire la interiorizzazione, anche attraverso la conoscenza di altrui esperienze, i temi proposti. Si possono così, confrontare diverse esperienze consentendo ai ragazzi di elaborare collettivamente le risposte alle problematiche relative, avvalendosi di volontari esperti che portano un bagaglio di esperienze umane e pratiche necessarie alla comprensione di questo mondo. L’elemento fondamentale che lo caratterizza è l’intento di far incontrare e agire alunni ed adulti lavoratori;attraverso l’attuazione di questa iniziativa saranno messi in relazione, il mondo della scuola e quello portuale, in una sorta di scambio vicendevole proposte e risorse.

Una caratteristica del mondo giovanile è la solitudine. Possiamo dire che essa è uno degli elementi della vita in mare. Per questo, il ministero marittimo è fortemente contrassegnato dalla preoccupazione dell’ospitalità e dell’accoglienza, in nome della comunità cristiana locale. Le visite a bordo sono un’espressione de questa ospitalità, che esige che si lascino le proprie abitudini per ricevere con tutta cordialità gli equipaggi che arrivano. L’ospitalità è la virtù che ci permette di uscire dalla ristrettezza dei nostri timori e di aprire le nostre case allo straniero, coscienti che la salvezza ci arriva sotto forma di un viaggiatore stanco. L’ospitalità trasforma un discepolo ansioso in un testimone poderoso, un proprietario sospettoso in un donatore generoso, ed un settario chiuso di mente in una persona aperta alle idee ed alle intuizioni nuove. Malgrado le preoccupazioni e le tensioni della vita moderna, noi siamo chiamati a praticare l’ospitalità ed a promuoverne la tradizione nelle nostre comunità, con la parola e con l’esempio. Come qualcuno ha saputo brevemente esprimere: “Non ci siano stranieri tra noi, ma soltanto persone che non abbiamo ancora incontrato”.

Una esperienza ormai fondamentale nell’apostolato del mare italiano è quella dell’anno di volontariato del servizio civile che dà una particolare forza al volontariato locale che da solo non riesce a garantire la “professionalità” e continuità richiesta da questo servizio che deve essere fatto per molte ore al giorno, ma tutti i singoli giorni dell’anno e particolarmente quando le persone sono normalmente in vacanza e i negozi chiusi per “supplire” con i servizi di minima accoglienza anche coloro che transitano di domenica, durante l’estate o magari semplicemente la domenica.

La determinazione del progetto ci ha impegnato a “mettere le cose in ordine” per non snaturare il volontariato locale ma anche per consentire al giovane del servizio civile di crescere nella conoscenza e anche nella responsabilità. La difficoltà maggiore è stata quella di modificare i percorsi formativi di un volontariato locale che facilmente si identificava nel cappellano responsabile secondo uno schema antico di parrocchia. Il nuovo schema riprende in parte la struttura aziendale dei porti e delle navi stesse nella quale comunque il fine rimane il servizio e non il profitto. Il progetto parte da una lunga esperienza nell’accoglienza della Gente di Mare in Italia ma solo recentemente condivisa nella progettazione e nella attuazione con altre associazioni e uffici ecclesiali ed ora, attraverso i Comitati di Welfare Marittimo, anche con le altre istituzioni marittime e civili.

L’esperienza del servizio civile del 2006/2007 ha aiutato a meglio comprendere ed inserire i giovani volontari in un’ottica di servizio ma anche di personale qualificazione su molti rami organizzativi e la multidisciplinarietà che coinvolge il welfare marittimo (diritto privato, diritto internazionale, diritto marittimo, organizzazione del volontariato, organizzazione del servizio a bordo, organizzazione dei servizi e, soprattutto, capacità di management del volontariato e della comunicazione ad intra e ad extra). Il progetto è dunque partito da una maggiore consapevolezza che il marittimo è lo stesso ovunque e viaggia da un porto all’altro. è necessario dargli in tutti i porti un minimo standard in cui si possa immediatamente ritrovare. I singoli centri Stella Maris, prima più autonomi, da questa consapevolezza hanno sentito di dover maggiormente lavorare in rete. La prima esperienza di servizio civile su un progetto nazionale ha maturato questa convinzione. è necessario avere un collegamento continuo con tutti i centri del mondo sia per gestire le emergenze in velocità che per dare una “casa lontano da casa” che sia davvero simile nelle strutture e nel modo di accogliere. Uno degli obiettivi è anche quello di formare i tanti giovani volontari. Si vuole sempre più investire in questi giovani che, come formatori del domani, devono essere in grado, come moderni missionari di “girare” nei vari Centri Stella Maris portando la propria esperienza di volontariato e professionalità in questa accoglienza anche alle nuove comunità che si aprono al mondo marittimo nei porti italiani ed esteri.

Mi piace terminare con le parole “rubate” da una giovane ad un forum. Non riesco a pensare ad un migliore augurio per l’Apostolato del Mare quando Claretta dice: “Forza, entusiasmo, gioia, creatività e perché no anche caparbietà! Sono solo alcune delle caratteristiche che contraddistinguono noi giovani. Ma siamo capaci di viverle fino in fondo? Siamo capaci di impegnarci con tutte le nostre forze per ottenere quello che vogliamo? Crediamo in ciò che facciamo? Se la risposta è sì, e leggendo i vostri interventi sono sicura che sia sì, ognuno di noi farà grandi cose per la sua vita, per la sua famiglia, per la sua città, per il suo territorio, il suo mondo! Del resto, come ho letto da qualche parte un po’ di tempo fa, per vivere bene non bisogna fare cose straordinarie, ma fare quelle ordinarie straordinariamente bene. Quindi, viviamo la vita e saremo speranza per noi e per quelli che abbiamo intorno”.