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Intervista a don Angelo Cazzetta, ex-missionario d'emigrazione (S.Ridolfi)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/07


Don Angelo Cazzetta, già missionario d´emigrazione, nasce a Cortina d´Ampezzo (Belluno) il 24.12.1919.

Compie i suoi studi dal 1930 al 1944 a Bressanone nel Seminario diocesano e nella stessa diocesi viene ordinato sacerdote il 29.6.1943.

Nel 1944 viene nominato Cappellano a Ridanna (Bolzano) e nel 1945 viene trasferito a Vipiteno, divenendo poi, dal 1954 al 1956, Direttore dello stesso Oratorio.

Il 25.4.1956, nominato missionario d´emigrazione, è destinato alla Missione Cattolica Italiana di Hannover in Germania. Nell´agosto del 1961 viene trasferito alla Missione Cattolica Italiana di Augsburg, ma già nel novembre dello stesso anno viene nominato Referente presso il Deutscher Caritasverband di Friburgo.

Rientra definitivamente in Diocesi il 31 marzo 1967.

Il Direttore della stampa Migrantes lo raggiunge a Cortina d’Ampezzo (Belluno) ove è ospite della sorella.

Caro don Angelo, con grande gioia ti rivedo dopo tanti anni, memore degli anni vissuti insieme in Germania, tu ad Hannover (dal 1956), io a Francoforte (dal 1955), sempre per i nostri emigrati. Ora voglio farti una domanda che non credo di averti mai fatto: come ti è venuta la “vocazione” di missionario degli italiani e specificamente in Hannover, nel nord della Germania?

Veramente sognavo l’Africa e in questo senso mi ero già manifestato. Ma un bel giorno (siamo nel 1956) il mio Vescovo Mons. Gargitter mi chiama e mi chiede di andare per il momento in Germania, un impegno - mi disse - di tre anni, anche per rispondere - aggiunse - alle pressanti richieste di Roma.

Quindi… una grande frenata: invece del caldo e della libertà d’Africa nel freddo nord di Germania, dove dicevano gli italiani - e lo hai riportato tu stesso nel nostro periodico “La Squilla” (ora “Corriere d’Italia”) - c’erano sempre “Regen und Kartoffeln” (pioggia e patate).

Proprio così perché venni destinato ad Hannover dove, ricordo bene, sono arrivato la vigilia del Natale 1956 e mi sono trovato sistemato in una piccola stanzetta di una casa di suore, il Marienheim, che doveva essere per me tutto, abitazione-ufficio-soggiorno. Veramente non potevo fare troppo il “residente”, dovendo assistere l’intero Land Nieder-Sachsen, che prima veniva curato dal missionario di Amburgo, don Alfredo Prioni (ufficialmente dal 1952). Si trattava della bellezza di un territorio due volte la Lombardia. Per fortuna che, data la mia formazione nel Seminario di Bressanone (Alto Adige, di lingua tedesca), conoscevo già la lingua e un po’ anche la mentalità tedesca.

E la “tua gente”, i nostri italiani, dove si trovava, cosa faceva?

Erano quasi tutti lavoratori agricoli e molto sparpagliati, salvo il piccolo gruppo della città (1.200 contro 300 circa). E mi resi subito conto che per conoscerli ed offrire loro il mio servizio di prete, dovevo io mettermi in movimento e rimboccarmi le maniche per venire incontro alle loro prime necessità, che erano comprensione con i padroni, rapporti con le autorità, questioni di salario, ecc. Ritengo sia stata per me una fortuna non disporre inizialmente né di auto né di conoscenze e di dover quindi andare di fattoria in fattoria spesso con un impiegato dell’Ufficio del Lavoro tedesco per rispondere alle esigenze dei nostri operai e stabilire relazioni. E debbo riconoscere che avevamo sempre buona accoglienza e che molti casi antipatici venivano risolti.

A proposito, io ricordo un tuo successivo articolo sul nostro mensile La Squilla “A colloquio con la mia VW” (perché in seguito la MIVA, quella organizzazione tedesca per la diaspora ti fece avere una Volkswagen, altrimenti non potevi lavorare) dove racconti dei viaggi in quelle pianure piovose e l’impiegato dell’Ufficio di Lavoro, scocciato dall’acqua e dalle distanze, che ti diceva “und immer diese Dinge vor der Nase”, e sempre questo arnese davanti al naso (il tergicristallo). Bei ricordi! Ma che dire in particolare del tuo lavoro di sacerdote?

Anche se i numeri non erano alti, riconosco che erano però molto incoraggianti, mi riferisco ora alla frequenza alle periodiche Messe domenicali in campagna, viste le grandi difficoltà di movimento (lavoro e distanze) che trovava questa gente laboriosa, proveniente per lo più dal Sud Italia. Celebravo invece con regolarità mensile in Hannover, nella cappella del Marienhaus. E poi mi rendevo disponibile per le altre esigenze pastorali. Nella Caritas diocesana di Hildesheim, già esperta di assistenza agli italiani durante la guerra, ho trovato un buon sostegno. E poi la POA-ONARMO italiana ha inviato una brava assistente sociale, Livia Fumagalli. E così pian piano il lavoro si sviluppava con maggiore organicità e migliore adeguatezza alle necessità. Per il resto allora (anni ‘50-60) che si aveva soltanto un povero sussidio da Roma (300 marchi mensili), sono state le suore a permettermi di vivere.

E intanto gli anni passavano…

Proprio così. Perché i tre anni indicatimi dal Vescovo alla mia partenza sono diventati undici. Ma non tutti passati ad Hannover. Perché nel 1961 mi venne proposto di andare a Friburgo, nella sede centrale del Deutscher Caritasverband, come coordinatore degli assistenti sociali italiani in Germania. La Caritas tedesca infatti, fedele alla ispirazione del suo fondatore (1897), Mons. Lorenz Werthmann (1958-1921), aveva accettato di assumere in pieno il servizio sociale agli italiani in Germania.

E d’intesa con la POA-ONARMO italiana aveva assunto molti giovani italiani, ragazzi e ragazze, per questo servizio, erano già una sessantina. In successione quindi al dr. Giacomo Maturi mi venne affidato questo compito di coordinamento e sostegno agli assistenti sociali Caritas per gli italiani in Germania, compito che ho svolto fino al mio rientro in Italia, 1967. è stato un lavoro interessante e tutt’altro che facile. Preoccuparsi della loro formazione; curare i rapporti, qua e là anche conflittuali, con i missionari di emigrazione e quelli non sempre entusiasmanti all’interno delle Caritas diocesane o parrocchiali; sciogliere nodi contrattuali o personali… insomma un complesso di interventi che mi obbligava a tenere continuamente incontri, a fare visite e sopraluoghi, a partecipare a convegni. Avevo fortunatamente il pieno sostegno e la collaborazione del Presidente della Caritas nazionale, il prelato G. Huessler, e del dirigente di settore Dr. K. Poeltzl.

Sei rientrato ancora giovane (48 anni) e penso non ti sarai messo a riposo…

Macchè! Mi son fatto ventun anni di galera… come cappellano a Bolzano. Un’esperienza radicalmente diversa dalle precedenti, ma in cui quanto precedentemente fatto mi è senz’altro tornato utile. La pazienza dell’ascolto, lo sforzo di comprensione e solidarietà, la disponibilità al servizio sono tornate tutte di attualità. E la gente che ho incontrato in quelle condizioni, e poi anche fuori, è stata davvero meravigliosa. Certo, la prigione è di sua natura mortificante. E ci vuole tanta comprensione. Ed anche tanta fede perchè questa dà speranza.

Torniamo molto indietro nel tempo, ai tuoi primi anni di vita, visto che ci troviamo in questo accogliente albergo di Cortina d’Ampezzo. Che mi puoi dire?

Nacqui proprio in questo piccolo albergo in cui ci troviamo ora, che è guidato da mia sorella Germana. Allora era una casa appena acquistata da mio padre; parliamo del 1919. Nacqui la sera della vigilia di Natale; mi chiamarono così Angelo Natale: Angelo in memoria del mio fratellino primogenito, scomparso pochi mesi prima all’età di cinque anni, Natale per ricordare la nascita di Gesù. All’epoca ero il quarto figlio.

Nel 1931 eravamo già otto fratelli (viventi), due maschi e sei femmine. Nel settembre dello stesso anno entrai in Seminario a Bressanone della cui diocesi Cortina faceva parte. Il mio unico desiderio allora era di studiare per farmi prete. E così è stato.

Ora trascorro serene giornate in questa casa con l’assistenza di mia sorella. Ho dovuto però ridurre gli impegni pastorali a causa dell’età avanzata.

Recentemente nel 2006 la Missione Cattolica Italiana di Hannover ha celebrato il 50° di fondazione. E ovviamente sei stato ricordato. Ma ci attendevamo (pure io ero presente) una tua testimonianza, alcuni ricordi.

Sono stato avvisato e invitato, ricordo bene, dall’attuale missionario don Gianni Paganini che ringrazio. So di avere inviato un semplice saluto. Possiedo anche un diario contenente la memoria di questi laboriosi anni, i tanti ricordi e le diverse annotazioni. Nonostante le richieste di pubblicazione, ho ritenuto opportuno non divulgarne i contenuti, almeno fintanto che sono in vita.

E sorride don Angelo! Grazie e tanti auguri!