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I centri di accoglienza "Stella Maris" (G.Martino)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/07


L’Apostolato del Mare nasce dall’iniziativa di alcuni gruppi di sacerdoti e laici dell’Apostolato della Preghiera. In Italia, in particolare, l’accoglienza dei marittimi viene spesso affidata ai religiosi scalabriniani coadiuvati dai gruppi di laici delle Conferenze della San Vincenzo.

Già prima del 1900 esistevano diverse iniziative missionarie cattoliche per fornire assistenza spirituale, sociale e materiale agli equipaggi che facevano scalo nei porti di Londra, Bootle, Montreal, New York, New Orleans e Sydney. Ma fu solo agli inizi degli anni ‘20 che l’attività dell’Apostolato del Mare internazionale, così come lo conosciamo oggi, venne ufficialmente approvata.

In Francia, nel dicembre 1894, gli Agostiniani dell’Assunzione avevano fondato la “Società delle Opere del Mare”, per fornire assistenza medica, materiale, morale e religiosa ai marittimi francesi e di altre nazionalità, soprattutto a quelli che praticavano la pesca d’altura al largo dell’Islanda, sui banchi di Terranova, nelle Isole Faroe. Più tardi, alla fine degli anni 1890, i membri della Società di San Vincenzo de Paoli iniziarono la visita regolare delle navi in numerosi porti della Gran Bretagna.

Fu nel porto di Glasgow che il Rev. P. Egger, gesuita, fondò il primo ramo dell’Apostolato del Mare, sotto l’egida della Società dell’Apostolato della Preghiera. Nel corso dei primi otto anni di attività (1899-1907) furono ammessi a far parte dell’Apostolato del Mare oltre 200.000 marittimi. Con la partenza di P. Daniel Shields SJ, uno degli animatori, il lavoro andò diminuendo per riprendere poi nuovo impulso al suo ritorno dal Sudafrica nel 1920. D’intesa con Arthur Gannon e Peter F. Anson, che continuarono ad essere gli ispiratori di questo gruppo dedicato alle visite a bordo ed animato da uno spirito internazionale, venne presentata alla Santa Sede una domanda di approvazione ufficiale delle Costituzioni del giovane movimento. Questa fu presto accordata con una lettera del Cardinal Gasparri, Segretario di Stato, del 22 aprile 1922, che trasmetteva l’ “approvazione e l’incoraggiamento” del Santo Padre, “con la certezza che una così nobile impresa, abilmente secondata dallo zelo di anime sacerdotali, tanto secolari che regolari, si estenderà sempre più lungo le coste dei due emisferi...”.

Nascita “ufficiale” dell’Apostolato del Mare

Queste parole si rivelarono davvero profetiche poiché, in qualche anno, quello che era nato come un movimento di laici volontari molto zelanti, era diventato un’organizzazione mondiale per la pastorale e il servizio sociale. Alla fine della seconda guerra mondiale, esistevano 80 centri attivi e un Consiglio internazionale con sede a Roma, sotto la direzione della S. Congregazione Concistoriale. La consacrazione definitiva dell’ “Apostolato del Mare” venne il 21 novembre 1957 con l’approvazione, da parte della Santa Sede, delle Norme e Costituzioni.

Questo apostolato di una Chiesa che si fa prossima, che si fa “casa lontano da casa” per i molti lavoratori del mare nasce e cresce sul volontariato laicale. Il primo approccio, le indicazioni per raggiungere il centro di accoglienza “Stella Maris”, le prime cure pastorali e informative vengono fornite da volontari laici che girano il porto e le aree cittadine di “reclutamento” delle città portuali.

Si tratta, inizialmente, soprattutto di marittimi italiani o europei. Le navi si fermano nei porti da 7 a 30 giorni consecutivi consentendo agli equipaggi di integrarsi con la città, con le realtà stanziali e le chiese vicine al porto.

Queste lunghe permanenze, necessarie a caricare e scaricare le navi “a mano” attraverso l’opera dei “camalli” del porto consente davvero di trovare nei centri di accoglienza per i marittimi, “Stella Maris”, un focolare, una casa, un’assistenza familiare ai primi bisogni, volti amici e una Chiesa che li aiuta a vivere la propria Fede e il collegamento con la famiglia anche durante i lunghissimi periodi di imbarco che facilmente arrivavano anche ai due anni consecutivi. Distanti da casa e dagli affetti dei propri cari, nei vari volontari (uomini e donne anche molto giovani) i marittimi riconoscono il coniuge, il fratello, la sorella o il figlio lontani.

Queste case e luoghi di accoglienza sono importanti anche per i tanti marittimi italiani in cerca di imbarco. Si parte dalle case lontane per trovare alloggio nella “Stella Maris” e poi, ogni mattina, ci si reca nelle piazze o si fa il giro degli uffici degli armatori offrendo la propria professionalità e voglia di lavorare. Alle volte queste attese sono davvero lunghe ed a questi periodi si aggiungono i lunghissimi imbarchi normalmente di 14-16 mesi. Nei porti lontani altri visi ed altri volontari aspettano di essere “casa lontano da casa” per questi “cittadini ad ore” offrendo un sorriso e portando una lettera giunta, magari da oltre un mese, con le notizie della famiglia distante.

Oggi, secondo il recente Motu Proprio “Stella Maris” di Papa Giovanni Paolo II, la messa in atto di una pastorale a favore dei marittimi del commercio, dei pescatori e delle loro famiglie, in qualunque regione, diocesi o porto, dipende chiaramente dalla Chiesa locale.

Nello stesso documento viene sottolineato il ruolo del laicato: “I cappellani e le autorità dell’Opera dell’Apostolato marittimo si sforzeranno affinché la gente del mare abbia abbondantemente i mezzi necessari per condurre una vita santa e riconosceranno e promuoveranno la missione che tutti i fedeli, e in particolare i laici, secondo la loro specifica condizione, esercitano nella Chiesa e nel mondo marittimo.”

Non è un caso che i Centri di accoglienza per i marittimi nei porti, siano stati tradizionalmente chiamati “Missioni per i Marittimi” (Seamen’s Missions). Anche quando i marittimi stranieri che facevano scalo nei porti erano meno numerosi di ora, la dimensione missionaria di questo apostolato già esisteva. L’Inchiesta dell’ICMA (International Christian Maritime Association) del l987 conferma che una certa percentuale dei marittimi che arrivano nei porti non sono cristiani e che molti di loro sono aperti all’annuncio della Buona Novella, che sentono forse per la prima volta. è necessario quindi che quanti sono impegnati nel ministero marittimo siano coscienti della possibilità e della responsabilità di essere testimoni della Buona Novella e di evangelizzare il mondo marittimo.

Esigenze dei marittimi e risposta pastorale

Il Papa bene inquadra questo mandato missionario dato a tutti gli operatori: “L’incremento della mobilità umana e il processo di globalizzazione hanno notevolmente influito sui flussi migratori e turistici e sull’attività della gente del mare. Sono aumentate le occasioni di incontro. Accanto però a notevoli vantaggi derivanti dal fenomeno, si registrano anche effetti negativi, dolorose separazioni e situazioni complesse e difficili. Penso, ad esempio, ai marittimi obbligati a vivere lunghi periodi di lontananza dalle famiglie; ai ritmi lavorativi stressanti, interrotti soltanto da brevi soste nei porti, ai quali tanta gente del mare è sottoposta; ai molti emigranti che solcano mari ed oceani in cerca di migliori condizioni di vita e non di rado scoprono amare realtà, ben diverse da quelle propagandate dai mezzi di comunicazione. (...) è importante non far mancare a quanti fanno parte della grande famiglia del mare un supporto spirituale. Va offerta loro l’opportunità d’incontrare Dio e di scoprire in Lui il vero senso della vita. è compito dei credenti testimoniare che gli uomini e le donne sono chiamati a vivere dappertutto un’«umanità nuova», riconciliata con Dio (cfr. Ef 2,15). (...) In ogni situazione, sarà necessario assicurare condizioni di lavoro più giuste e rispettose delle esigenze individuali e familiari, ed insieme ci si dovrà sforzare di proporre adeguate opportunità di coltivare la propria fede e la pratica religiosa. Ciò richiede l’impostazione di una pastorale attenta alle diverse condizioni, con forme di presenza apostolica adattate ai molteplici bisogni delle persone”. (Discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla XV Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio, Roma 2002).

Il popolo del mare è composto anche da quelle comunità la cui vita lavorativa, economica e sociale gravita attorno al mare. Quest’idea, se affermata e sviluppata, se diventerà consapevolezza e cultura, nel tempo potrà essere feconda di risultati positivi nei confronti dei marittimi e rappresentare una possibile via di uscita dalla situazione di emarginazione strutturale in cui si trova relegata la vita di chi lavora a mare. Da una parte, infatti, essa dà ai lavoratori del mare delle radici forti e delle espressioni consistenti a terra, dall’altra responsabilizza queste ultime a fare da trait d’union tra chi spende stabilmente a mare gran parte della propria vita e le comunità di terra. Questa idea può essere trasposta anche a livello ecclesiale e pastorale ed interpella le diocesi e le parrocchie nel cui territorio incidono le realtà portuali, diocesi e parrocchie che per loro natura possiamo definire marinare. Esse devono sentirsi, secondo lo spirito di quello che dice il Papa, parte o almeno partecipi della realtà del popolo del mare ed in necessaria interazione con esso.

Finora l’ Apostolato del Mare è stato per lo più opera di singoli, sacerdoti o laici, che hanno dedicato se stessi, in genere con molto entusiasmo e spirito di abnegazione, a questa forma di apostolato ritenuta straordinaria, in quanto fuori dalla prassi pastorale ordinaria delle comunità cristiane. Non mi sembra, però, che il futuro della pastorale marittima possa essere prefigurato in questa direzione. Il singolo passa, la Chiesa resta! Credo che i tempi siano maturi perché l’opera dei precursori singoli e carismatici sfoci in una responsabilizzazione della Chiesa nei confronti della gente di mare. In questo senso fondamentale è il ruolo delle comunità marinare, diocesi e parrocchie, che hanno la vocazione ad essere comunità ponte o comunità di frontiera fra il popolo del mare ed il popolo di terra, trovandosi ad essere partecipi di entrambe le realtà. Sono queste comunità che devono prendersi il carico pastorale del mondo del mare nelle sue varie espressioni. A seconda della situazione locale esse debbono preparare e seguire quelli che vanno per mare per guadagnarsi la vita, sostenere ed organizzare le loro famiglie, accogliere fraternamente i marittimi di passaggio, etc. La pastorale straordinaria nei confronti della gente di mare si trasformerà così in pastorale ordinaria, uno dei settori in cui si esprime normalmente l’impegno della comunità. Tutto questo oggi non è per nulla scontato. Nelle diocesi e nelle parrocchie di mare per lo più non c’è alcuna consapevolezza dell’impegno che esse hanno nei confronti del popolo del mare, anzi esiste quasi una censura riguardo al mondo marittimo (di cui sarebbe molto interessante cercare le cause). Tuttavia è in questa direzione che bisogna andare, è per la crescita di questa consapevolezza che bisogna convogliare tutte le strategie pastorali e gli sforzi dell’ Apostolato del Mare. Altrimenti il futuro della pastorale marittima sarà sempre gramo. Negli anni passati si è coniato quasi uno slogan per stimolare un interesse maggiore della Chiesa nei riguardi della gente di mare: “Ad ogni porto il suo Cappellano!”. Credo che questo slogan, più opportunamente, debba essere cambiato in: “In ogni porto una comunità cristiana che accoglie e si prende cura del popolo del mare!”. Certo il Congresso Mondiale dell’Apostolato del Mare a Houston ha dato delle preziose indicazioni perché la gente di mare possa sentirsi e fare una esperienza di Chiesa anche a bordo, con ministeri e momenti propri pre-eucaristici per esprimere una fede vissuta, condivisa e testimoniata. Ma un posto alla mensa eucaristica delle comunità-ponte, le comunità marinare, deve essere sempre preparato per loro, perché l’esperienza di bordo possa confluire, completarsi ed essere sostenuta dall’esperienza della piena comunione ecclesiale.

Aspetti organizzativi dell’Apostolato del Mare

L’attuale organizzazione dell’Apostolato del Mare in Italia prevede una importante componente associativa sia a livello locale (diocesano) che a livello nazionale. Queste realtà si pongono al servizio della pastorale ecclesiale apportando tutte le peculiarità e capacità del mondo laico ai servizi forniti ai marittimi. La stessa “casa lontano da casa” non potrebbe esistere senza una vera famiglia che accoglie.

Lo scorso 2006 è nata la Federazione Nazionale Stella Maris Italia. Trattasi di persona giuridica alla quale sono chiamate ad aderire le associazioni Stella Maris di vecchia e nuova costituzione presenti nei porti italiani. La nascita della Federazione ha un duplice intento: un miglior coordinamento e l’elevamento dello standard dell’assistenza offerta nei singoli centri Stella Maris attraverso l’apporto particolare del laicato.

Nello stesso anno si è successivamente costituito il Comitato Nazionale per il Welfare della Gente di Mare. Solo una struttura laicale come la Federazione poteva essere tra i soci fondatori di un così importante organismo deputato a favorire il coordinamento tra le Autorità pubbliche e gli Organismi privati che a vario titolo sono impegnati nel settore. Dal Comitato Nazionale viene ora l’impulso affinché in ogni realtà portuale italiana, dove se ne avverta una concreta necessità, nasca un Comitato Locale per il Welfare, che si faccia portatore delle istanze locali presso il Comitato Nazionale.

Ultima esperienza, ma solo in ordine cronologico, è stata quella dei volontari del servizio civile. Una dozzina di ragazzi, nelle varie associazioni in Italia, hanno fatto l’esperienza di offrire un anno per la gente di mare. Questa importante attività ha consentito una loro crescita umana dedicata al servizio di questi “ultimi”, ma ha anche favorito il coordinamento e la collaborazione tra le singole Stella Maris in Italia.

Bilancio positivo

Il bilancio può dirsi decisamente positivo in una perfetta sinergia tra le varie componenti ecclesiali. Il laicato prende consapevolezza delle proprie responsabilità pastorali assieme all’autonomia delle competenze sue proprie in relazione con le varie autorità pubbliche e marittime sempre in piena comunione con la Chiesa locale e nazionale.

Se è vero, come è vero, che questa recente esperienza laicale deve avere tempo per crescere e responsabilizzarsi maggiormente verso tutto il mondo marittimo è altrettanto vero che questo ambito porta intrinsecamente il binomio del “cappellano e la comunità dei volontari”. Binomio spesso criticato in nome di un efficientismo aziendale che il nostro apostolato rifiuta rimanendo fedele alla primordiale intuizione di offrire una casa, una Chiesa, lontano da casa.