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"Ero straniero e mi avete ospitato" (G. Tassello)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/07


Enzo Bianchi, Ero straniero e mi avete ospitato, Milano, Rizzoli, 2006. 123 pagine.

Il noto fondatore e priore della Comunità Monastica di Bose non è nuovo a riflessioni bibliche e teologiche sulle migrazioni. Già in precedenza aveva dedicato al tema interi numeri di “Parola, Spirito e Vita”, la rivista biblica da lui diretta.

Si tratta di riflessioni e sussidi assai preziosi poiché l’Italia è chiamata a confrontarsi con un fenomeno ormai non più nuovo e quindi non interpretare solo da un’ottica di emergenza, ma di un dato strutturale che va affrontato non a livello emotivo o meramente assistenziale ma esige risposte che siano autenticamente umane. Il volume è infatti dedicato “agli uomini, alle donne e ai bambini che, andando verso il pane e sognando la nostra accoglienza, sono morti da stranieri nella acque del Mediterraneo, mare che avrei voluto che potessero amare e sentire come ‘nostro’ come io lo sento e lo amo”.

Enzo Bianchi ricorda come la presenza dello straniero in mezzo a noi diventa un invito e principio ispiratore per la chiesa  a vivere la sua presenza nel mondo in qualità di straniera e pellegrina. I migranti l’aiutano a riscoprire la sua condizione di stranierità, che il Vangelo definisce come “stare nel mondo senza essere del mondo”.

Riscoprire questa dimensione le consente di “misurarsi adeguatamente con l’irriducibile dialettica tra appartenenza e differenza, tra solidarietà e diversità, tra convivenza civile e alterità” (p. 15). L’A. prosegue affermando: “Stranierità allora significa, anche per la chiesa, riconoscere gli assetti culturali come provvisori e transitori, e distinguere la verità - eccedenza che supera tutti e che nessuno può possedere - dalle sue definizioni” (p. 15).

Per i cristiani vivere come stranieri e pellegrini significa “non strutturare la loro presenza sui modelli politici mondani: per i credenti l’essere nella storia deve far emergere la ‘riserva escatologica’, quella attesa vigilante dei ‘cieli nuovi e terra nuova’ che è costitutiva della loro identità e che fonda la loro prassi anti-idolatrica” (p. 17).

L’A. cerca nel Vecchio e nel Nuovo Testamento spunti  e motivazioni per rispondere in modo adeguato alla sfida dell’immigrazione. Enzo Bianchi si chiede quale debba essere la prassi dell’accoglienza, virtù che nella storia si è dipanata in tanti modi, e che senso abbia accogliere qualcuno senza potergli fornire casa, pane, vestiti e, soprattutto, una soggettività e una dignità nel corpo sociale in cui viene inserito.

Il volume offre spunti interessanti a tre livelli per una prassi credibile e feconda dell’ospitalità.

Nella prima parte Enzo Bianchi  si basa su dati ed interpretazioni del patrimonio scritturistico per cogliere il percorso dello straniero nella Bibbia. Il testo è un’ampia rielaborazione di un precedente saggio dell’A. apparso sulla rivista “People on the Move” nel 1996. Il secondo livello si sofferma sulla domanda che il Signore rivolgerà ponendo l’ospitalità come criterio di vita e di discernimento della sua presenza. Nella terza parte del libro l’A. parla della “deontologia dell’accoglienza”, modalità concrete  di praticare l’ospitalità nel contesto culturale ed economico odierno.

L’A. ricorda che “fare spazio all’altro significa arricchire la propria identità, aprirle orizzonti nuovi, mettere ali alle nostre radici” (p. 19).